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Professionismo virtuale

Come Riot Games sta evolvendo il panorama dell'eSport

SPECIALE di Umberto Moioli   —   21/08/2014

Ogni mese milioni di giocatori utilizzano Raptr per tener traccia delle proprie statistiche in game. Non si parla dell'utenza PC nel suo insieme, ma comunque di una fetta sufficientemente vasta da dare un'indicazione di quali sono i trend attualmente in voga nel mondo del PC gaming. Bene, a leggere le statistiche ufficiali League of Legends lo scorso luglio deteneva quasi il 20% del totale delle ore spese online, doppiando il suo primo competitor, DotA 2. Sono numeri impressionanti che diventano ancora più significativi quando si pensa che, il gennaio scorso, erano circa 27 milioni gli utenti che si connettevano giornalmente per fare una partita al multiplayer online battle arena sviluppato da Riot Games. Questo successo planetario non risparmia nessuna regione geografica e non passa evento o fiera di settore che League of Legends non venga celebrato da qualche torneo, competizione per il miglior cosplay o incontro con gli sviluppatori. La massima espressione di questo movimento è ovviamente la sua scena competitiva, cresciuta negli anni fino a diventare una delle più organizzate del panorama mondiale. Una realtà fatta di atleti professionisti, format quasi televisivi, premi milionari e decine di milioni di spettatori che viaggiano per migliaia di chilometri o si connettono online su Twitch. Durante la recente GamesCom 2014 ci siamo seduti in compagnia di Jason Yeh, capo dell'e-sport nella sede europea di Riot Games, per discutere della Season 4 che si appresta a raggiungere le fasi finali del suo svolgimento e di quelli che saranno le mosse future del publisher.

Riot Games e il sogno di rendere gli eSport qualcosa in più che un fenomeno passeggero

Solo l'inizio

Il 2014 è stato un anno importante per Riot Games in Europa e in particolare in Germania, dove per la prima volta è stato creato un team dedicato alle League Championship Series di League of Legends. La sfida più impegnativa, ci spiega Jason Yeh, è creare uno spettacolo che sia godibile sia per chi si presenta di persona all'evento, sia per chi lo guarda da casa.

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In quest'ottica assume un peso sempre maggiore la localizzazione dei contenuti, come le telecronache che da qui al futuro saranno supportate con crescente attenzione e impegno. "Ci siamo accorti che ci sono moltissimi appassionati di League of Legends che guardano le partite professionistiche anche non giocate nelle loro regioni di riferimento. Quindi, ad esempio, gli europei osservano spesso i match giocati in America e in Asia. Allo stesso tempo vediamo come un fenomeno crescente la scelta di alcuni canali nazionali, come alcune televisioni francesi, di passare i tornei tradotti nei rispettivi idiomi e questo sembra essere un grosso incentivo a seguirci per il pubblico. Perché anche in Paesi dove la gente ha un alto livello di conoscenza dell'inglese, si osserva poco sport in inglese e si cerca sempre la propria lingua. Un discorso simile vale per la decisione di quando tenere i tornei, quale giorno della settimana e a quale orario". Riot è insomma consapevole che, per quanto eventi spettacolari e coreografici come quelli di quest'anno a Londra, Parigi e Colonia, ma soprattutto come la finale di Seul del prossimo ottobre, siano una cartolina importante per promuovere i loro prodotti, l'aspetto su cui si devono maggiormente impegnare è la fruizione dei contenuti online, il coinvolgimento di chi può osservare quello che accade unicamente seduto sulla propria sedia o poltrona a casa. Per questo lo stadio dove si terranno le finali di questa stagione, lo stesso utilizzato per l'epilogo dei Mondiali di Calcio 2002, verrà dotato di un numero mai così elevato di aree per le interviste, per le iniziative di colore e per gli approfondimenti, tutti ripresi e godibili di persona oppure via Internet.

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Più interessante della logistica c'è la direzione che la società sta cercando di intraprendere oramai da qualche tempo per far evolvere il panorama degli e-sport nel loro insieme: anziché concentrare tutti i fondi sul singolo montepremi di un torneo o di pochissimi tornei, c'è la ferma volontà di spalmare i guadagni su un numero maggiore di team, dargli modo di costruirsi una loro fan base, avere un seguito che gli dia dei vantaggi concreti e una continuità che è difficile avere se per restare a galla devi a tutti costi vincere. A cavallo delle stagioni, ad esempio, in futuro ci saranno iniziative volte proprio a rafforzare l'immagine delle squadre con l'utenza. E a tal proposito: "gli e-sport hanno ancora da imparare dagli sport giocati live. Molti team famosi di queste discipline sono attivi da più di cento anni e hanno un forte, fortissimo radicamento nell'area geografica dove sono collocati. Caratteristiche che li rendono differenti dalle squadre di League of Legends. Possiamo però di certo imparare dalla stabilità delle loro leghe, dall'organizzazione e dal modo in cui si promuovono, ma anche e forse soprattutto dal peso dei premi per le vittorie sul totale dei soldi a loro disposizione. Se prendi ad esempio il bonus in denaro che riceve il vincitore della Champions League, si tratta di un grosso riconoscimento ma non è la principale fonte di guadagno, non è il modo in cui i club pagano i loro atleti tutti i mesi. Noi vogliamo una soluzione simile dove quanti più team possibile abbiano modo di trattare i loro giocatori come dei professionisti, anziché dare cifre enormi solo ai due o tre più vincenti. Così facendo ci sono anche maggiori probabilità che le squadre minori possano crescere nel tempo". Proprio per colmare il distacco tra i giocatori professionisti e gli altri, quindi per propiziare il ricambio di personaggi sulla scena, è stata introdotta la lega Challenger, una sorta di prima divisione che introduce gli aspiranti "pro" all'idea di giocare a giorni e orari prestabiliti ma li abitua anche alle difficoltà gestionali che sono inevitabili quando si inizia a fare sul serio.

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In futuro, specialmente in un panorama diviso in tante piccole realtà come l'Europa, Jason Yeh ci ha anche detto di voler organizzare sempre più tornei e manifestazioni locali, come quelle che al passato Lucca Comics hanno dato modo alla community di raccogliersi e incontrare Riot Games. All'estremo opposto ci saranno programmi volti a garantire o quantomeno propiziare una carriera successiva all'attività di atleta virtuale, perché in molti investono gran parte del loro tempo perseguendo questo sogno e magari riuscendoci, ma devono fronteggiare un drastico calo di competitività, quindi la prospettiva di doversi ritirare, già prima dei trent'anni. Tanti piccoli tasselli di un puzzle che in questi ultimi tempi ha visto società come Riot Games - ma anche Valve e Blizzard - sostenere gli e-sport come mai prima d'ora era stato fatto. In passato c'erano stati altri momenti di gloria per questo genere di movimenti, tutti più o meno usciti ridimensionati dopo l'entusiasmo iniziale, ma per la prima volta c'è davvero la percezione che gli atleti virtuali, le loro storie e le sfide seguite con passione da tantissimi fan sparsi per il globo siano qui per restare.