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La difficoltà nei videogiochi

Troppa scelta può nuocere all'equilibrio di un prodotto?

SPECIALE di Dario Rossi   —   22/07/2015

Non è facile parlare di difficoltà nei videogiochi, è un argomento che ha presentato così tante declinazioni che è quasi impossibile trarne un quadro nitido, ma ci vogliamo comunque provare. Badate bene, giochiamo d'anticipo specificando che in questo articolo non abbiamo intenzione di parlare di titoli eccessivamente facili o difficili, c'è un lato soggettivo davvero troppo ingombrante per essere escluso dall'equazione, ma della responsabilità dei programmatori in questa parte così delicata nella fruizione di un prodotto videoludico. Parliamoci chiaro, premettendo che è impossibile generalizzare: il mercato dei videogiochi è cambiato, abbandonando l'intransigenza di un tempo in favore di un approccio più aperto alle scelte del giocatore. La decisione del livello di difficoltà non è propriamente una novità, tutt'altro, ma è indubbiamente vero che i videogiochi prima avevano un timbro preciso e incontestabile, era il giocatore a doversi adeguare a una sfida già decisa a tavolino. In fin dei conti si tratta anche della filosofia del "gioco": ci sono delle regole da imparare, e tali regole implicano anche un livello di sfida. Questa premessa è in grado di scatenare le due grandi scuole di pensiero, quella tra chi predilige la "sfida" in un prodotto e chi invece cerca semplice intrattenimento. Non sono facili da conciliare e sono entrambe legittime e forti, per questo gli sviluppatori si sono adeguati, seguendo anche l'inesorabile massificazione del prodotto videogioco. Ma in tutto questo fantastico universo di indulgenza, non si rischia di compromettere l'equilibrio di un videogioco?

Alla fine è sempre lo sviluppatore a decidere le regole, anche quelle nuove

La difficoltà di scegliere

Se la cosa può interessarvi, chi scrive non gradisce moltissimo la presenza dei livelli di difficoltà in un videogioco, nonostante ci sia una voce interiore che esulta rivendicando la libertà di scelta, sicuramente importante. Ma grandi poteri comportano anche grandi responsabilità e in questo caso è in ballo la fruizione di un prodotto, magari lungamente atteso, assolutamente mai indipendente dalle esigenze dell'investimento.

La difficoltà nei videogiochi

In soldoni, i videogiochi costano e quando si arriva ai titoli di coda sentiamo il bisogno di sentirci completamente appagati. Torniamo quindi a quella maledetta schermata di selezione: se quello che ci aspetta è un'avventura da più di cento ore, allora quella scelta non può essere effettuata con leggerezza e non è mai avulsa da numerose implicazioni di diverso genere. Sarà stata quella giusta? Chi scrive forse preferirebbe adeguarsi a un livello già definito da chi magari ha più dimestichezza col codice in oggetto, perché ognuno ha i suoi ruoli e in questo caso c'è chi i giochi li fa, e chi li gioca. Ovviamente correndo il rischio di qualche inevitabile "rage quit" o l'etichettatura di prodotto di nicchia, roba da poco? No. Al publisher interessano soprattutto le vendite e arrivare a una fetta più ampia di utenza possibile, ecco perché la scelta rappresenta un portale verso mondi infiniti, ma c'è anche un'altra strada percorribile, come ha dimostrato Peter Molyneux con la saga di Fable e Ubisoft con Assassin's Creed: concepire giochi completamente privi di qualsiasi sfida, che puntino solo al fattore intrattenimento per compiacere la scuola dei "pantofolai", che sono tanti, tantissimi. E sapete cosa c'è? È sicuramente preferibile una svolta a suo modo radicale di questo tipo piuttosto che lasciare tutti i parametri, insieme ai sensi di colpa, nelle mani del giocatore.

La difficoltà nei videogiochi

Parola d'ordine: Relax

La filosofia adottata per Fable trovò sublimazione nel secondo, splendido capitolo, concepito come un gioco di ruolo action innovativo per certi versi, ma classico nell'essenza. Combattimenti, esplorazione e tutti gli ingredienti che sarebbe lecito aspettarsi, escluso un particolare insignificante: Fable 2 era praticamente impossibile morire, grazie all'enorme indulgenza del titolo (la difficoltà era inesistente) e a una serie infinita di caratteristiche studiate per agevolare il giocatore.

La difficoltà nei videogiochi

Eppure non era un limite, quanto una caratteristica: annullando il tasso di sfida l'attenzione si rivolgeva naturalmente su altri aspetti, e il prodotto di Lionhead aveva tanto da dare e mostrare. Molyneux insegnò al mondo che non bisogna essere necessariamente dei maestri nella manipolazione di sfide equilibrate per creare un videogioco; un videogioco ha infinite sfaccettature, l'importante è scoprire una cosa che sai fare bene, spingendola al limite. Il caso Assassin's Creed probabilmente non è altrettanto volontario e lucido, Ubisoft non è mai stata in grado di proporre un sistema di combattimento convincente per il suo franchise più celebre, preferendo optare per un eroe onnipotente che sbaraglia i nemici richiedendo uno sforzo minimo al giocatore. Gli stessi elementi ambientali, studiati per evitare lo scontro diretto, venivano depotenziati per l'assenza di qualsiasi minaccia in grado di attivare un senso di pericolo. Problemi imputabili a uno scarso game design? Può darsi, non vogliamo giudicare la cosa in questo articolo, ma resta il fatto che, incidentale o meno, questo rimane uno degli ingredienti che ha decretato il successo del franchise. Un protagonista invincibile e con il pilota automatico, in maniera che anche le fasi platform non rappresentino un grande problema. Vero che negli anni le cose sono cambiate e Assassin's Creed Unity è stato il primo a cercare di uscire da questo circolo vizioso, proponendo combattimenti più impegnativi. Almeno ci è capitato di assistere alla sequenza di morte del protagonista...

La difficoltà nei videogiochi

Ti faremo tanto male

Dalla parte opposta ci sono produzioni come quelle di From Software, parliamo dei vari Souls e del recente Bloodborne per PlayStation 4. Anche queste opere sono intenzionate a prendere una posizione precisa, non lasciando al giocatore i mezzi per gestire la propria soddisfazione, ma in questo caso parliamo dell'esatto opposto: dei sadici e irriducibili giochi al massacro concepiti per spingere ai limiti le proprie capacità. O quantomeno per metterla alla prova seriamente.

La difficoltà nei videogiochi

Una prova del fuoco digitale in grado di mietere molte vittime. Si tratta della posizione più difficile in assoluto, non ci sono dubbi, se un Fable 2 può essere paragonabile al kolossal da famiglia, un Demon's Souls è l'opera estrema del regista d'essai, che può trasformarsi in un caso o rimanere un culto per pochi eletti. Non che le opere di Hidetaka Miyazaki siano proprio codici visionari compresi da una manciata di iniziati, ma rimane indubbio che si tratti di una strada in salita e non priva di buche. Sicuramente la tracotanza nel voler intraprendere percorsi senza compromessi è in grado di suscitare grande ammirazione e alimentare la propria fama, però non tutte le cose cambiano come ci si aspetterebbe, e non tutti siamo uguali davanti a un controller. Alla fine, e lo ribadiscono i dati nel caso di Bloodborne, sono in tanti ad acquistare ma in pochi ad arrivare ai crediti finali. Certo, molti si esalteranno per statistiche che corroborano il valore della loro impresa nell'aver completato un titolo impegnativo, ma in un certo senso anche questo è sinonimo di mancanza di equilibrio.

Per pochi, ma anche per tutti

Tra le varie interpretazioni agli estremi dei livelli di difficoltà, rimangono quelli che cercano di proporre la propria visione, magari anche con severità, ma sempre con uno sguardo (interessatissimo) alle esigenze di massa. È il caso di Alien: Isolation, il titolo rivelazione del 2014 che ha nobilitato l'identità perduta del survival horror. The Crative Assembly ha programmato il gioco secondo uno spirito radicale di altri tempi: eliminare l'auto-save, una feature praticamente consolidata nell'industria moderna, era già clamoroso di suo, ma anche ridurre i punti di salvataggio e addirittura cancellare la zona franca tipicamente abbinata (in breve si può morire anche mentre si salva) era a dir poco dirompente. Tuttavia, fin dall'inizio il prodotto metteva a disposizione tre livelli di difficoltà che facilitavano non poco la vita della povera Amanda Ripley. Non soddisfatti, e forse a seguito di qualche critica, ne hanno aggiunti addirittura due nuovi per esacerbare le due estremità: Principiante e Incubo, per cercare di avvicinarsi alle due filosofie sopraccitate.

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Un caso più emblematico è quello di The Witcher 3: Wild Hunt, che nella fase di transizione da due capitoli "di nicchia" a un terzo episodio lanciato con una abnorme spinta mediatica, ha portato un campo di possibilità ragguardevole. Il titolo è comunque meno impegnativo dei precedenti, già dal sistema di combattimento semplificato, ma giocarlo al livello di difficoltà più basso elimina quasi del tutto la sfida, tanto da rendere poco significativi anche i potenziamenti di Geralt, che assumono un ruolo di effetto placebo e niente più. La strategia Fable 2 però qui perde forza, nel senso che è lapalissiano l'atteggiamento indulgente dello sviluppatore per quella che non è una linea che esprime la natura del titolo, laddove in quello di Lionhead ne rappresenta la stessa natura. È difficile che una forzatura non arrivi al pettine, prima o poi e il giocatore, anche il più pigro, se ne accorge sempre e questo non finisce per fare bene all'equilibrio di un prodotto.

Tutto al suo posto

Qual è quindi il senso di questa lunga dissertazione sul livello di difficoltà di un prodotto? Che gli sviluppatori devono stare attenti alle implicazioni negative derivate da un eccesso di libertà offerta al giocatore, poiché potrebbe essere confusa per il rifiuto della responsabilità (sono cavoli del giocatore) e alterare la fruibilità del prodotto fino a comprometterne l'equilibrio. La stessa identità artistica di un videogioco, che esiste sempre, può essere a repentaglio. Come detto, sarebbero preferibili idee chiare intraprese con determinazione, anche a scapito dei consensi globali, che fanno però indubbiamente comodo. Questo non significa che si debba produrre un titolo frustrante e concepito solo per pochi eletti del controller, mentre all'opposto se vuoi proporre un prodotto per le masse, nessuno vieta di conquistarle con nuovi parametri. La tradizione, l'eredità e il pregresso sono importanti, ma alla fine è sempre lo sviluppatore a decidere le regole, anche quelle nuove.

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