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Ritorno in patria

Italia, Nord America, Giappone e ancora Italia: l'avventura di Massimo Guarini, Creative Director di Ovosonico

INTERVISTA di Umberto Moioli   —   12/11/2015

La storia di Massimo Guarini è la storia di molti altri italiani impegnati all'estero nell'industria dei videogiochi, e non solo: parte dall'Italia e si trasferisce all'estero, si fa conoscere e si sposta in diverse realtà dalle quali assorbe nuove conoscenze e lascia il suo segno in tante produzioni importanti. A differenza di tanti, però, decide di tornare, fonda il suo team, Ovosonico, e mette sul mercato il suo primo titolo, Murasaki Baby. Nuovi capitoli e nuove sfide aspettano Massimo e i suoi ragazzi, e noi ne abbiamo parlato con lui.

Intervista a Massimo Guarini, patron di Ovosonico e importante firma dell'industry italiana

Abbiamo incontrato Massimo Guarini di Ovosonico in occasione del seminario tenuto da Giovanni Ricciardi - Audio Director del team di Varese - alla Digital Bros Game Academy, scuola di formazione post diploma, con sede a Milano, finalizzata alla formazione di figure professionali destinate all'industria del videogioco: Game Designer, Game Programmer e Artist & Animators 2D/3D.

Creatività e processi produttivi

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Partiamo dalle tue esperienze precedenti: hai lavorato, tra gli altri, per Ubisoft e Grasshopper Manufacture, due realtà molto diverse, anche culturalmente. Cosa ti ha lasciato ciascuna di queste esperienze?


Lavorare, e soprattutto vivere, in Nord America e Giappone mi ha permesso di assorbire due caratteristiche fondamentali di queste culture. 
L'esperienza Nord Americana mi ha insegnato processi e ottimizzazioni di pipeline assolutamente fondamentali in ambito di sviluppo, e mi ha fatto anche apprezzare una mentalità di management molto dinamica ed orientata al risultato.
L'esperienza Giapponese mi ha permesso invece di alimentare la mia innata passione per la creatività ed assorbire la follia più o meno spontanea di autori eccentrici ed affermati come Goichi Suda e Shinji Mikami. Se da un lato le pipeline di sviluppo giapponesi sono assolutamente fallaci e medievali, dall'altro il loro approccio unico a contenuti surreali, a volte grotteschi, è da considerarsi un diamante grezzo da metabolizzare e sul quale elaborare.
 Ovosonico rappresenta in un certo senso l'ambizioso tentativo di unire il meglio di entrambe queste culture, attraverso il gusto e la sensibilità decisamente Europea del nostro team.
Della cultura Nord Americana inoltre credo di condividere fortemente la mentalità del "far succedere le cose". Tendenzialmente mi piace parlare poco e fare molto, e mi rendo conto che questo approccio è sicuramente più prone al rischio. Ma d'altra parte il rischio è l'elemento fondamentale dell'imprenditorialità: errori e fallimenti sono importantissimi, forse gli unici nostri grandi maestri di vita. Sono invece terrorizzato e infastidito dall'immobilismo conservatore, approccio purtroppo ormai dilagante in Giappone, e dalle lamentele sterili, troppo spesso caratteristica costante della mentalità Italiana.

In particolare penso sia curioso sapere cosa ne pensi del momento attuale dello sviluppo in Giappone: c'è una strada per la rivalsa nel settore dei tripla A oppure oramai viaggiano su un binario parallelo ma ben distinto?


Credo che il Giappone stia ancora soffrendo fortemente di una vera e propria crisi d'identità, scaturita in seguito alla globalizzazione del mercato videoludico tramite il boom mobile/app store a partire dal 2007, e anche in seguito ad un sensibile ricambio generazionale all'interno dei team di sviluppo. Spesso, e molto prima che Keiji Inafune lo rendesse ufficialmente di pubblico dominio, sentivo creatori senior lamentarsi del fatto che i giovani giapponesi non hanno né motivazione né forza di volontà sufficienti a contrastare (con orgoglio nazionalista) l'avanzamento creativo e tecnologico dell'occidente. Allo stesso tempo però queste stesse persone rimanevano fortemente allergiche all'idea di instaurare ambienti di lavoro multi-culturali e multi-etnici, mentre la nuova generazione di sviluppatori Giapponesi ha ampiamente dimostrato in più occasioni di esserne attratta ed influenzata.
Non credo si tratti di rivalsa o disfatta, ma piuttosto di un cambiamento lento e radicale che il paese del Sol Levante sta affrontando. Sono da sempre molto vicino alla loro cultura e, anche durante questo cambiamento, mi ritrovo sempre affascinato dalla loro sottile e deliziosa follia creativa.


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Quindi sei ripartito dall'Italia, una sfida complessa. Quali sono le difficoltà maggiori quando si decide di aprire uno studio di sviluppo in Italia?


Aprire uno studio di sviluppo in Italia è complesso e rischioso tanto quanto aprirlo in Inghilterra o persino Stati Uniti. 
I costi del commercialista o i 2.500 Euro di capitale sociale da versare inizialmente non possono e non devono essere motivi per gridare allo scandalo. Se non si vuole o non si può investire poco più di 5.000 Euro per aprire la propria attività, è bene accettare che non si può essere imprenditori e che nessun altro è tenuto ad investire su di noi, se non siamo noi stessi i primi a farlo.
 La difficoltà maggiore di fare impresa (nella game industry) in Italia è data principalmente dalla scarsissima propensione all'internazionalità della nostra cultura, all'immobilismo geografico e ad una generalmente pessima conoscenza della lingua Inglese. Abbarbicati dietro alle nostre ingombranti eredità storiche e culturali, ignoriamo purtroppo come queste stesse siano diventate vere e proprie barriere che impediscono al nostro innegabile talento di decollare a livello globale e di diventare realmente competitivi e internazionali a livello contenutistico.
 Conoscere bene l'inglese e fare esperienze all'estero sono prerogative più importanti, e investimenti più preziosi, di qualsiasi sgravio fiscale o finanziamento.
 Le imprese non si fanno con i soldi. Sono le imprese a fare i soldi. Semplificando enormemente, fare impresa equivale ad un 5% di idea di prodotto e 95% di esecuzione perfetta della stessa in prodotto.
 Non basta l'idea se non si è in grado di monetizzarla. E i soldi non servono a nulla, se manca tutto il resto.

Come definiresti lo spirito e gli obiettivi del tuo team? Che giochi volete fare e a quali realtà vi ispirate?


La nostra visione e passione ci porta a voler esplorare un vocabolario leggermente diverso dallo standard videoludico a cui siamo abituati da più di trent'anni, ma non per questo necessariamente anticonformista. Forme di espressione come cinema e musica, nonostante siano molto diverse come fruizione, riescono a raggiungere un pubblico vasto e variegato grazie al linguaggio diretto delle emozioni, e noi crediamo fortemente che anche (e soprattutto) i videogiochi possano essere altrettanto efficaci e coinvolgenti anche per un pubblico non necessariamente appassionato di esplosioni, soldati e spari. 
Vogliamo creare giochi capaci di connettersi con l'essere umano che c'è in noi, e non solo col giocatore. Vogliamo creare qualcosa di più universale e personale. Alcune delle fonti di ispirazione più significative in questo senso per noi sono state Jenova Chen e Robin Hunicke. Persone che non avevano nulla a che fare con i videogiochi, prima che iniziassero a crearli. E che forse proprio per questo motivo, sono stati capaci di cambiarne la storia.


Murasaki Baby: cosa vi ha insegnato? Cosa non rifaresti?


Murasaki Baby ci ha insegnato che un piccolo team, quando motivato, ispirato ed emotivamente coinvolto nel progetto, è capace di risultati incredibili. Abbiamo deciso di gestire il lavoro con metodi tradizionali che potessero realmente coinvolgere le persone. Abbiamo abbandonato la tecnologia in favore di post-it di carta e lavagne. Abbiamo rivisto l'intero layout del nostro open space di produzione per favorire la comunicazione fra le persone. Abbiamo sparso sedie e poltrone ovunque negli spazi comuni e nel giardino per promuovere meeting spontanei e momenti di relax. La piccola Baby ci ha insegnato che le persone sono la cosa più importante, non la tecnologia, non gli uffici.
 Credo che se dovessi ricominciare da zero, rifarei lo stesso percorso senza cambiare nulla, successi ed errori compresi. Senza questi ultimi, infatti, non vi è crescita.

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Tra l'altro, per il gioco avete scelto una piattaforma, PlayStation Vita, dal grande potenziale ma con diversi problemi, a partire dal catalogo e dall'abbandono apparente da parte di Sony. C'è spazio per una rivalsa della console oppure oramai è destinata a spegnersi?


Dal nostro punto di vista, l'hardware dedicato ha sempre meno senso, anche se chiaramente è nostro interesse continuare a supportare piattaforme con un installato significativo. Credo che in un futuro non troppo lontano accedere ai videogiochi sarà come sintonizzare la propria TV su Discovery Channel. Semplice, immediato e con uno standard tecnologico uguale per tutti che permetta di focalizzare l'attenzione sui contenuti. Chissà cosa danno stasera sul PlayStation Channel...?

A settembre Digital Bros ha investito circa un milione e mezzo di euro per il 49% di Ovosonico: che cosa farete con questi soldi?


Il consolidamento finanziario ci permetterà di rimanere completamente indipendenti investendo nella creazione di un nuovo progetto e nella gestazione di nuove idee, espandendo lentamente lo studio per poter affrontare lo sviluppo di due progetti contemporaneamente. Allo stesso tempo rafforzeremo il nostro team con l'inserimento di top talent nostrani ed internazionali. In questo senso, stiamo collaborando da più di un anno con la Digital Bros Game Academy - attraverso Seminari e Workshop dedicati ai suoi studenti e offrendo nel prossimo futuro, a quelli che riterremo più meritevoli, possibilità di stage presso il nostro studio - per dare un contributo concreto alla formazione e formalizzazione di professionalità fino ad ora rintracciabili solo all'interno della game industry stessa. Crediamo fortemente in questo tipo di investimento sul nostro futuro, ben consapevoli che gli studenti di oggi saranno i creatori di domani.

Avete più o meno lasciato intendere che il vostro secondo progetto sarà per PlayStation 4. Che sfide state incontrando confrontandovi con la piattaforma?


A nostro modo di vedere, le sfide con le quali preferiamo confrontarci sono quelle relative al contenuto, al game design e alla ricerca artistica, in quanto strumenti di comunicazione e di espressione. In questo senso, ognuno di noi lavora in una direzione ben precisa, nulla è fine a se stesso, ma tutto concorre al portare in vita una visione, un prodotto completo.

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Cosa puoi anticiparci del progetto?


Purtroppo in questo momento ancora nulla, ma siamo molto impazienti di annunciarlo e nel frattempo continuiamo a dare del nostro meglio per cercare di ottenere la migliore qualità possibile.


C'è qualche team italiano che reputi in grado di fare il grande salto e imporsi con un progetto all'attenzione internazionale?


Imporsi con un progetto all'attenzione internazionale richiede principalmente focus, pianificazione, credibilità, serietà e moltissimo sacrificio. 
I team con maggiore potenziale sono a mio avviso quelli capitanati da persone che non hanno paura di pensare in grande e in modo globale, che non hanno timore di inoltrarsi in territori a loro sconosciuti, e che sanno sostenere una conversazione in inglese senza risultare solo "simpatici".


Che consigli daresti a chi vuole intraprendere la tua strada?


Non posso che consigliare di fare un'esperienza all'estero, non necessariamente per trovare lavoro o trasferirsi in pianta stabile, quanto per assimilare mentalità differenti dalla nostra ed allargare la propria visione con orizzonti più vasti ed internazionali. A tal proposito venerdì 27 Novembre terrò un incontro con gli studenti della Digital Bros Game Academy per approfondire la questione all'interno di un seminario dedicato a come presentare le proprie idee ad un Publisher.