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L'interruttore del buio

Abbiamo avuto modo di provare di nuovo The Town of Light e di visitare i luoghi dov'è ambientato

PROVATO di Simone Tagliaferri   —   29/01/2016

Quando cammini per quei corridoi non vedi solo stanze vuote, finestre rotte, sanitari a pezzi o intonaco screpolato. Quelle mura, oggi così silenziose, sembrano aver conservato l'eco della sofferenza che hanno ospitato.

Luca Dalcò e parte del team di LKA.it
Luca Dalcò e parte del team di LKA.it
Il resto del team di LKA.it
Il resto del team di LKA.it

L'hanno assorbita come fossero spugne, ne sono state impregnate fino alle fondamenta, venendone dilaniate e dissipate. Percorrendole con gli occhi sembrano voler urlare. Sono testimonianze di vita e di morte. Gli inevitabili segni del tempo e dell'incuria, oltre che della mano umana, colpevole di distruggere per sola noia, si trasformano naturalmente in allegorie di un'epoca la cui memoria è conservata da pochi e che la società prova a rimuovere, restandole indifferente. Entrare nell'ex ospedale psichiatrico di Volterra, sorto a fine ottocento nell'ex convento di San Girolamo, e allargato nel corso degli anni per ospitare sempre più pazienti, è stato importante per comprendere meglio The Town of Light, opera prima in ambito videoludico dello studio LKA.it, che racconta del ritorno di una paziente, Renèe, nel luogo dove è stata rinchiusa per anni. Renèe è un personaggio immaginario, eppure la sua storia è facilmente riconoscibile nelle centinaia d'altre reali conservate nel museo dell'istituto psichiatrico. È lì che è iniziato il press tour in cui abbiamo conosciuto il team di talentuosi sviluppatori che stanno provando a trasformare in videogioco una verità delicata e complessa, quanto inaccessibile, che per noi è iniziata dalle impressionanti incisioni di Oreste Nannetti, paziente che riempì di graffiti alcune pareti esterne dell'istituto, realizzati usando la fibbia della sua cinta. Visitare le altre sale del museo è stato altrettanto illuminante, non solo per i documenti che contenevano, ma anche per il riconoscimento di alcuni degli oggetti che sono stati ricostruiti nel gioco; soprattutto quelli medici, che hanno dato conto della cura certosina posta nello studio dell'ambientazione. Cura confermata dalle parole di Luca Dalcò, il capo di LKA.it, che durante la presentazione ufficiale con la stampa ha spiegato la genesi di The Town of Light e ha citato alcune delle fonti d'ispirazione da cui è nata l'idea, come il libro fotografico "L'interruttore del buio" di Giacomo Saviozzi, autore che ha scattato fotografie in diversi ex manicomi sparsi per tutto il territorio italiano, o il saggio "Le Officine della Follia" di Vinzia Fiorino, dedicato proprio all'istituto di Volterra. In effetti, come affermato da Dalcò, The Town of Light è uno dei pochi videogiochi a disporre di una bibliografia ragionata.

Seguiteci in un nuovo viaggio dentro l'ex manicomio di The Town of Light, tra finzione e realtà

Togliamo subito di torno ogni possibile fraintendimento: The Town of Light non è un horror e non vuole esserlo. Scrivendone viene subito voglia di citare Dear Esther o The Stanley Parable, ma in realtà non è nemmeno un walking simulator, perché ci sono diverse cose da fare e puzzle da risolvere. È un'avventura nel senso più ampio del termine, un viaggio dentro i ricordi, un dolente ricostruire brandelli di una vita piena di sofferenza, che si fa metafora di un intero sistema. Per comprenderlo bisogna prima cercare di capire cos'erano in realtà i manicomi e come venivano intesi. Quello di Volterra era particolarmente avanzato e "umano" nella sua strutturazione, ma era comunque un luogo di segregazione dove l'impotenza della scienza nel contrastare le patologie mentali si traduceva nell'uso di terapie che oggi ci fanno inorridire, ma che fino a pochi anni fa erano considerate all'avanguardia, come l'elettroshock o i bagni gelati.

L'ex ospedale psichiatrico nella realtà
L'ex ospedale psichiatrico nella realtà
L'ex ospedale psichiatrico in gioco
L'ex ospedale psichiatrico in gioco

Ciò che Renèe rivive in The Town of Light non è solo la sua storia, ma la storia di molti che come lei venivano rinchiusi, maltrattati e dimenticati. Non vogliamo svelarvi troppo sulla trama, anche se sarebbe bello parlarne apertamente una volta che il gioco sarà finalmente disponibile sul mercato, dato che è difficile trattare certi argomenti senza affrontarli di petto, ma quello che abbiamo potuto vivere nella versione che ci è stata fatta giocare era impressionante non solo in quanto materia videoludica, quanto per l'aderenza con la realtà documentata. Citiamo un solo passaggio, apparentemente secondario, ma secondo noi particolarmente indicativo di quella che è l'atmosfera del gioco. In un momento dell'avventura, Renèe deve ritrovare una bambola che le fu inviata dalla madre. Cercandola si imbatte in alcune missive che aveva scritto e spedito alla donna, affidandole agli infermieri. Ossia, che aveva pensato di aver spedito, perché in realtà non furono mai recapitate. Quella che può sembrare soltanto un'invenzione narrativa, particolarmente drammatica, è in realtà cronaca. In modo non pedante e ispirato il team di sviluppo ha inserito fatti reali all'interno del gameplay, trasformandoli in racconto. Il mancato recapito delle lettere dei pazienti era un obbligo per molti istituti, poiché per vari motivi non si voleva che avessero contatti con l'esterno. I manicomi erano luoghi in cui la società rinchiudeva i suoi scarti, che, quando era ritenuto necessario, venivano trattati con particolare crudeltà. Crudeltà che, pur implicita, non doveva uscire da lì. Avere parenti in mezzo ai piedi che volevano riprendersi i loro cari, dopo aver magari letto una missiva particolarmente disperata, poteva rappresentare un problema. Leggere quelle lettere in gioco diventa quindi non solo un modo per conoscere meglio Renèe, ma anche per entrare di peso nella sua condizione, che era poi la condizione di migliaia di persone nel suo stato.

The Town of Light vive in una sfumatura continua tra la realtà e la finzione, da cui trae una forza espressiva che pochi altri titoli hanno. Visitare l'ospedale psichiatrico dopo averlo provato, significa riconoscere i luoghi del gioco nella realtà e viceversa.

Uno degli interni del gioco
Uno degli interni del gioco
Gioco o realtà?
Gioco o realtà?

Perché le pareti sono le stesse, con le stesse screpolature. Le finestre sono rotte nello stesso modo, e molti dettagli sono stati riprodotti con profonda coscienza delle mutazioni avvenute nel corso degli anni. Pensate che sono state incluse anche delle impalcature e delle recinzioni facilmente riconoscibili andando sul posto. Ma, soprattutto i documenti che si trovano nel mondo virtuale sono quelli che effettivamente per anni sono stati prodotti dentro l'ospedale, pur con nomi fittizi per rispetto delle persone che l'hanno abitato. Apprendere dal gameplay che le intere vite di moltissime persone erano ridotte a singole righe di testo, che magari ne descrivevano la patologia o ne decretavano la fine, fa tanta più impressione quando si scopre che effettivamente era così che funzionava; e che ha funzionato per decenni. In questo The Town of Light non ci risparmia nulla e lo fa con uno stile particolarmente crudo, sia in gioco, sia nelle sequenze narrative realizzate con il motore di gioco e con degli splendidi disegni fatti a mano. Come dicevamo non si tratta di un horror, ma ciò che racconta mette comunque a disagio e inquieta profondamente, perché come il dolore che rappresenta ti penetra nella carne e nelle ossa e ti costringere a riflettere sulla condizione umana. Certo, non possiamo dare un giudizio definitivo sul titolo perché non abbiamo potuto testarlo fino in fondo. Possiamo però affermare senza timore che la prova ci ha particolarmente coinvolti e, in un certo senso, sconvolti, come purtroppo non ci capita spesso di fronte a un videogioco. Se il filo tra il videogiocatore e la vita di Renèe non sarà spezzato nell'ultima parte dell'avventura, quella che ci manca di conoscere, allora le potenzialità per un capolavoro ci sono tutte. The Town of Light è adulto nel senso più alto del termine; e finora sembra rifuggire dai luoghi comuni che di solito si adottano per raccontare la follia. La strada scelta dai ragazzi di LKA.it è quella più difficile, ma anche l'unica capace di fare la differenza in un mercato in cui qualsiasi ex adolescente finto depresso con la sindrome di Peter Pan, crede di sapere come raccontare i meandri della mente umana. Mente umana che, nel caso di The Town of Light, è prima di tutto un luogo in rovina con le sue stanze strette e inospitali, i suoi letti scomodi, i suoi ambulatori angusti e quei macchinari che sembrano cadaveri di mostri lasciati a marcire in preda alle intemperie.

Qualche informazione supplementare

A margine dell'articolo vi forniamo qualche dato sul gioco. Lo sviluppo di The Town of Light ha richiesto tre anni di intenso lavoro. Attualmente il team è in piena modalità crunch per chiuderlo e sistemare i problemi rimasti. Il motore utilizzato è Unity 5 (probabilmente si tratta di uno dei titoli graficamente più belli realizzati con questo engine) e il gioco sarà compatibile con i più diffusi visori per la realtà virtuale, anche se probabilmente non al lancio. The Town of Light supporta nativamente diversi sistemi di controllo, primo fra tutti mouse e tastiera, ma anche vari controller come quello Xbox 360 e lo Steam Controller. Parlando con il team abbiamo chiesto di potenziali versioni console. Non abbiamo ricevuto risposte dirette, ma alcuni sguardi d'intesa hanno lasciato aperte le porte della speranza.

CERTEZZE

  • Ricostruzione del luogo eccellente
  • Storia appassionante e viva
  • Grande cura dal punto di vista artistico

DUBBI

  • Nel complesso, la qualità sarà omogenea fino alla fine?