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Horror e giocatori fifoni

Un rapporto travagliato, che non accenna a sciogliersi

SPECIALE di La Redazione   —   07/02/2017

L'horror è un genere capace di esercitare un fascino senza tempo nei confronti dello spettatore, generando uno dei rapporti più complessi e affascinanti mai visti. Fa leva sui meccanismi atavici della paura, e già solo questo aspetto meriterebbe qualche volume di dissertazioni filosofiche, ma è proprio l'intero allestimento dello spettacolo dell'orrore, che rende complici autori e spettatori, a rappresentare un motore propulsivo apparentemente eterno. La stessa cosa accade con i videogiochi, ma questo articolo non è semplicemente un classico speciale sui titoli horror, ma vuole analizzare un rapporto davvero molto peculiare tra questo genere e un certo tipo di utenza: i giocatori molto, molto impressionabili. Se ci pensate, possiamo suddividere gli utenti in tre distinte categorie: chi non è semplicemente interessato, chi sta al gioco divertendosi e coloro che si spaventano a morte e generalmente preferirebbero non interagire con questo genere. Eppure in qualche modo quest'ultimi finiscono in qualche modo per mettersi nei guai, e non parliamo del nostro coraggioso Pierpaolo Greco, ma di tutta quella fascia un po' contraddittoria di giocatori che vivono un rapporto duale repulsione-attrazione.

Videogiochi horror e videogiocatori fifoni, si tratta di un'unione impossibile?

Me l'avevano detto di non aprire quella porta

L'aspetto esilarante del giocatore "fifone" è la capacità di manifestare inconfessabili inquietudini anche fuori dall'ambiente virtuale, trovando potenziali minacce un po' ovunque, anche nella tranquillità della propria casa. Senza voler avanzare la pretesa di qualche generalizzazione di stampo psicologico che non ci compete, si tratta in genere di individui dotati di una spiccata fantasia; magari non vedranno la gente morta come il bambino de Il Sesto Senso di M. Night Shyamalan, ma possiamo sicuramente affermare che si tratta di persone piuttosto suggestionabili.

Horror e giocatori fifoni

È sicuramente una sfumatura bellissima nella lotta quotidiana del fifone il desiderio non esaudito di incappare in eventi o immagini traumatiche, perché lo aiuta a interpretare il mondo da un lato diverso, più creativo e caleidoscopico. Proprio così, il pauroso vive la vita indossando gli occhialini 3D, un caschetto di realtà virtuale e un visore di realtà aumentata combinati. Diciamocelo: chi non ha paura di niente è un po' noioso, o forse non del tutto sincero. La paura è insita nell'uomo con la sua matrice ancestrale, e l'horror è la sua arma di eccellenza per sconfiggerla, una rappresentazione creativa che trasforma il pericolo in un grande gioco, una celebrazione catartica per mitigare lo stesso concetto di morte, magnificandolo e trasformandolo in un grande spettacolo. Come poteva il mondo dei videogiochi tirarsi indietro di fronte a un presupposto così ludico? Non l'ha fatto e i risultati si sono fatti sentire già dagli albori. Nonostante fosse rappresentato solo da pochi e miseri pixel a schermo, già Haunted House per il mitico Atari 2600 voleva rendere l'idea dell'angoscia nel muoversi al buio, in una casa minacciosa. Praticamente l'incipit della maggior parte dei giochi, anche moderni.

Luci accese e volume azzerato

Tutto l'universo dei videogiochi horror porta con sé le stesse meccaniche che da sempre caratterizzano la controparte cinematografica, incluse quelle del jump scare, il salto sulla sedia, uno stratagemma vecchio come i fili che tengono in piedi le marionette, ma sempre efficace e, possiamo aggiungere, eterno. Costruendo più o meno scrupolosamente un apparato atmosferico di preparazione, viene sfogata la tensione con un abbinamento violento di immagini e suoni, connubio praticamente imprescindibile, per spaventare lo spettatore. L'aspetto più divertente è che in genere si conoscono già in anticipo le regole del prodotto; in sostanza sappiamo già a grosse linee quanto un gioco sarà spaventoso, quindi il jump scare è in qualche modo atteso e fa scattare nello spettatore una sorta di sfida per gestirlo, o facendosi semplicemente travolgere come sull'apice di un ottovolante al Luna Park, poco prima della discesa. Altri ancora vivono nell'agonia che questo terribile momento possa prima o poi arrivare. Non dimentichiamo poi che i videogiochi sono interattivi e il jump scare assume una dimensione del tutto nuova e potente. Già dai tempi del Commodore 64, produzioni come Project Firestart, considerato da molti come il primo vero survival horror della storia, sfruttavano immagini statiche o piccole animazioni in abbinamento con suoni disturbanti per trasmettere sensazioni diverse al giocatore, dall'inquietudine al puro terrore. Come possiamo dimenticare poi il famoso cane che faceva irruzione dalla finestra nella casa del primo, indimenticabile Resident Evil? In questo caso, allo spavento della sequenza inattesa si aggiungeva il pericolo rappresentato dalla stessa creatura. Ma ci sono anche altri titoli che hanno deciso di intraprendere strade diverse, seguendo una linea più colta dell'horror che vede nella tensione prolungata il modo per sconvolgere profondamente il giocatore. È il caso di Silent Hill, dove ai facili spaventi si preferiva l'atmosfera davvero soffocante e il potere del suggerire la paura prima di mostrarla. Alla fine la visione di creature mutanti o altri particolari shock aveva un valore molto inferiore rispetto ai misteri e l'alienazione comunicati dalla tetra città che caratterizzava la serie.

Non dovrei farlo, quindi perché lo sto facendo?

Il giocatore fifone assomiglia tremendamente al protagonista dei giochi che tanto teme e rischiano di attentare al suo sonno: non dovrebbe essere in quel luogo maledetto, in quella casa abbandonata, da solo, al buio, con poche munizioni o costretto a nascondersi come un topo, ma è comunque lì e in qualche modo andrà fino in fondo, passando ovviamente da eventi terrificanti quanto indicibili. E lo sviluppatore si diverte a tirare su a ogni giro il baraccone degli orrori, con le sue infinite declinazioni.

Horror e giocatori fifoni

Il genere horror è stato condannato, giustiziato e sepolto più volte, è toccato al cinema e anche ai videogiochi, ma niente riesce davvero a fermarlo, ritorna sempre come un morto vivente in avanzata decomposizione, è capace di riciclarsi e riattivare la sua eterna magia. Oggi è addirittura più in forma che mai grazie a un rinnovato interesse da parte dell'industria. Esempi come Outlast di Red Barrels e P.T. di Hideo Kojima hanno dimostrato come l'utilizzo della visuale in prima persona e meccaniche molto affini al comparto narrativo siano stati in grado di ridefinire il genere, non importa se i detrattori li definiscono con disprezzo dei walking simulator, la scintilla si è nuovamente accesa. Alien: Isolation ha restituito la sensazione di terrore conferita da un nemico soverchiante, invincibile e imprevedibile, in grado di attingere dalle nostre paure più recondite. Cosa dire poi di Resident Evil 7 biohazard? Una delle produzioni più recenti che ha trovato nell'utilizzo della tecnologia di realtà virtuale il mezzo elettivo per terrorizzare il giocatore. Ci sono infine esempi davvero curiosi come Gone Home di The Fullbright Company, una piccola produzione indie che dipinge in realtà una vicenda familiare toccante, che nulla ha a che fare con l'horror, ma dal quale recupera maliziosamente alcuni ingredienti per ingannare il giocatore. Basta una casa deserta, una luce spenta e qualche suono sinistro per far pensare al peggio e alimentare l'affascinante meccanismo della suggestione.

Sognatori masochisti

Insomma, per quale motivo un giocatore deve sottoporsi a stress, tensione e spaventi quando in un videogioco si cerca principalmente divertimento e capacità di intrattenere? Sembrerebbe un desiderio piuttosto masochistico, eppure come detto, coloro in grado di spaventarsi di fronte e un gioco horror rappresentano la categoria dei giocatori più fantasiosi, fifoni coraggiosi, pronti a sfidare i propri limiti e vedere cosa troveranno dopo. Trovarsi di fronte alle nostre paure peggiori significa affrontare noi stessi. Il giocatore fifone c'è, sia maneggiando un controller, sia guardando altre persone giocare, rigorosamente con le luci accese e il volume spento. Non ha importanza importa, il desiderio di esserci rappresenta il migliore esempio di una indole in grado di leggere i videogiochi, così come il mondo che la circonda, con la colorata e irresistibile lente della fantasia. Giocatori fifoni, ma persone speciali.