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Quando gli occidentali sviluppano giochi orientali e viceversa

Con l'arrivo di Child of Light su PlayStation PLUS parliamo di sviluppatori occidentali alle prese con generi giapponesi e viceversa

SPECIALE di Mattia Armani   —   14/09/2017

Nel corso della storia del videogioco distinguere un gioco giapponese da un gioco sviluppato anche a poche centinaia di chilometri di distanza è sempre stato piuttosto facile. E ancora oggi ci sono prodotti immediatamente riconducibili all'immaginario nipponico, anche se il cambiamento nella struttura dei publisher ha visto proprietà intellettuali nate nel paese del Sol Levante adottate da studi occidentali e altre occidentali che sono finite in Giappone. A queste però non siamo interessati, così come non ci interessa parlare di questioni narrative, anche perché gran parte della produzione giapponese è una reinterpretazione di fonti occidentali. L'oggetto del nostro indagare ha a che fare con la decisione di alcuni sviluppatori occidentali e nipponici di affrontare generi appartenenti all'altra metà del cielo, rompendo una barriera che per qualche tempo ha anche diviso parecchi giocatori. La paternità precisa di ogni tipologia di gioco è difficile da stabilire, con il mondo dell'intrattenimento digitale che è stato letteralmente ribaltato dal fallimento di Atari, e ci sono punti di incontro come survival horror e metroidvania, o contaminazioni evolutive, come Metal Gear Solid V e Dark Souls, ma l'appartenenza culturale di alcuni generi è indubbia. Sparatutto a scorrimento, beat'em up, picchiaduro, JRPG, visual novel e platform sono da sempre immersi nella luce del Sol Levante mentre l'occidente, influenzato dalle differenze culturali e dai controlli di Amiga e PC, ha una lunga tradizione di strategici, giochi di ruolo a mondo aperto, avventure punta e clicca, sparatutto in prima persona, gestionali di ogni genere, simulazioni maniacali e mondi online, diventati poi MMO.

Quando gli occidentali sviluppano giochi orientali e viceversa

L'altra metà del cielo

Un genere tutto giapponese che ha fatto scuola in occidente è quello dei giochi di ruolo alla giapponese, o JRPG: di solito è basato su un gruppo di personaggi, scontri a turni con movimento dei personaggi nullo o limitato e una caterva di abilità. Child of Light, fonte di ispirazione di questo articolo, di personaggio ne ha solo uno, ma è comunque figlio di questa filosofia che è stata reinterpretata con successo in chiave fiabesca. Ma il titolo Ubisoft non è di certo l'unica incursione occidentale in un genere che, pur deviando per un verso o per l'altro, ci ha portato a Knights of the Old Republic, South Park: The Stick of Truth, Darkest Dungeon e persino To The Moon, benché quest'ultimo abbia preso una deviazione netta dalla formula originale. Non c'è invece piattaforma senza salto, tanto per passare agilmente a un altro genere che ha influenzato l'intero mondo dei videogiochi. Stiamo parlando del platform, un concept nipponico fino all'osso che è nato con Donkey Kong ed è esploso con Mario e Sonic ma che, oltre a essere una delle basi dei metroidvania, ha goduto di innumerevoli interpretazioni occidentali. Alcune di queste, confrontate con i capisaldi nipponici, soffrivano di evidenti limiti, ma non è possibile non ricordare Chuck Rock, Zool o Superfrog così come non è possibile dimenticare, questa volta senza dubbi in merito a giocabilità e qualità tecniche, lo strabiliante Donkey Cong Country di Rare. E nel mucchio ci mettiamo persino The Great Giana Sisters, plagio spudorato di Super Mario Bros. ma in qualche modo strumento di divulgazione impreziosito dalla colonna sonora di Huelsbeck.

Di ispirazione, invece, possiamo parlare con Turrican, che deve molto a Metroid a partire dal concetto di esplorazione, ma figura tra i più grandi rappresentanti del platform occidentale grazie a un gameplay stellare e alla colonna sonora dell'ormai leggendario Chris Huelsbeck. Non vi è invece dubbio sull'originalità di Shadow of the Beast che, folgorandoci a suon di strati di parallasse, ci conduce fino alla grande Psygnosis e al genere shoot'em up. Altro stendardo dello sviluppo nipponico, lo sparatutto a scorrimento ha avuto momenti di gloria anche in seno all'occidente grazie anche ad Agony e grazie a Project-X, il celebre titolo targato Team 17 per certi versi simile a Gradius ma per altri capace di distinguersi fino a diventare un'icona. E da qui arriviamo fino al mondo indipendente che in parte ha rotto i confini e lo ha fatto anche nel caso dei picchiaduro a scorrimento portandoci Shank e Castle Crashers e, in senso lato, titoli come Ryse: Son of Rome. Tornando indietro il panorama di questo genere era tutto nipponico escludendo Battletoads, dietro al quale ritroviamo ancora una volta Rare che, dopo la svolta segnata da Mario 64, ha contribuito a fare del platform tridimensionale un affare anche occidentale. Basti pensare a Banjo-Kazooie e Conker Bad Fur Day, allo Spyro the Dragon di Insomniac, al Crash Bandicoot di Naughty Dog e a un altro mostro sacro, il Metroid Prime di Retro Studios, spettacolare ibrido tra platform bidimensionale, sparatutto e action tridimensionale che non può mancare in un articolo che parla di concept giapponesi sviluppati in occidente.

Quando gli occidentali sviluppano giochi orientali e viceversa

Picchiaduro all'italiana

Uno dei generi che ancora oggi possiamo considerare nipponico è quello dei picchiaduro. L'occidente ha compensato con simulazioni sportive di vario tipo, ma nomi come Karate Champ, King of Fighters, Tekken, Virtua Fighter, Battle Arena Toshinden, Street Fighter e via dicendo mettono in chiaro la strada percorsa da questo genere. Ciononostante le eccezioni sono mancate come dimostra, tornando a parlare di RARE, quel Killer Instinct che è un vanto per il picchiaduro occidentale e quando è uscito ha fatto strage di mascelle grazie anche a una grafica da urlo. Ma non è l'unico picchiaduro occidentale a essere arrivato addirittura fino ad oggi. L'altro è Mortal Kombat, un titolo divenuto famoso per l'elevato tasso di violenza ma anche per la giocabilità, tasto dolente di esperimenti non perfettamente riusciti come Body Blows o FX Fighters. Non era invece uno dei problemi di International Karate Plus della prodigiosa System 3 e non era male nel caso di perle italiane come Fightin' Spirit, ispirato ai picchiaduro SNK, e Prey for Death, pubblicato nella sola versione DOS, che si è rivelato abbastanza sorprendente da attirare l'interesse di Virgin e Sony. Purtroppo le cose non sono finite bene ma è chiaro che l'occidente non si è fatto molti problemi a pescare dalle idee giapponesi, mentre dall'altra parte della barricata il panorama è più scarno. Il Giappone non disdegna reinterpretare quello che arriva dall'occidente, ma risulta sorprendentemente resistente quando si parla di meccaniche. Non è però impermeabile come dimostrano l'evidente matrice occidentale di 7th Saga e, per tornare a tempi più recenti, di Dragon's Dogma, entrambi legati a doppio filo al concetto occidentale di gioco di ruolo che come abbiamo visto ha fatto breccia in parecchi titoli nipponici dotati di una certa complessità. Non ha invece cambiato nulla Kileak: The Blood che, escludendo il sequel, è l'unico sparatutto in prima persona puro nato e cresciuto in Giappone.

Un altro genere antipatico agli sviluppatori giapponesi è quello degli strategici in tempo reale, che fa il paio con le avventure punta e clicca, praticamente assenti escludendo guizzi di nicchia come Tokyo Dark, che è più figlio dell'era del crowdfunding che di cambiamenti culturali o di strategie di pubblicazione. Sono invece figli del software Ren'Py le visual novel occidentali, escursioni in un genere che più giapponese non si può, tra le quali troviamo perle come Juniper's Knot, forte di una trama di tutto rispetto sebbene indebolito dalla mancanza di bivi. Parliamo, però, di produzioni quasi amatoriali, a differenza di quanto successo nel campo dei titoli d'azione. L'hack & slash alla giapponese, a volte inquadrato alle spalle e a volte di lato come i beat'em up, è l'ennesimo genere ad aver influenzato lo sviluppo occidentale fino a Heavenly Sword di Ninja Theory, che ha proseguito con Enslaved con l'unico Devil May Cry non sviluppato da Capcom. E le influenze si estendono fino agli ultimi Prince of Persia, le origini dei quali, però, affondano in un tipo di action tutto occidentale, quello che mescolando motion capture e piattaforme ci ha regalato perle come Another World e Flashback, ha messo le basi per Tomb Raider e le dinamiche di arrampicata, e ci ha portato fino ad Assassin's Creed. In questo campo, nonostante il tutto sia nato dal platform, il Giappone non ha messo proprio piede, confermandosi più importatore che esportatore. Ma tra le contaminazioni, crowdfunding e l'influenza di Steam, che ha tirato fuori dal guscio parecchi sviluppatori nipponici, le cose potrebbero lentamente cambiare e ci auguriamo che succeda visto che l'incontro tra oriente e occidente ha spesso prodotto risultati sorprendenti.

Quando gli occidentali sviluppano giochi orientali e viceversa