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Le regole del gioco

Patti chiari? Amicizia lunga! Ma quali sono i patti firmati idealmente da chi compra un videogioco? E cosa fare se l'amicizia del consumatore diventa prima sopportazione e poi antipatia?

APPROFONDIMENTO di Mattia Ravanelli   —   22/12/2010

Poco meno di trent'anni fa Woody Allen portava sugli schermi il documentario fittizio dedicato alla vita di Leonard Zelig, superbo trasformista, disperato conformista, insalvabile uomo spugna.

Le regole del gioco

Era la cronistoria di un ipotetico essere umano capace di assorbire le caratteristiche somatiche di chi gli si poneva al fianco. Vicino a un rabbino, Leonard-Woody si vestiva di una barba biblica, a colloquio con un obeso, ne replicava la stazza. Leonard Zelig, idealmente, era talmente altro, che alla fine non era più nulla.
I videogiochi soffrono della sindrome di Zelig? Quel che è certo è che raramente riescono a replicare l'acutezza e la classe delle cose migliori dell'autore di New York, ma non è questa la questione. Cosa sono i videogiochi? Lo sapevamo vent'anni fa, ma abbiamo iniziato a capirci di meno con la loro evoluzione, quando hanno sfruttato sempre più la vena tecnologica che storicamente li contraddistingue. Perché i videogiochi sono stati, dai primi anni '80 a oggi, quasi la conseguenza delle evoluzioni della tecnologia che ne costituisce il cuore. A più potenza di calcolo è corrisposto, sempre, un irrobustirsi della componente visiva. La maggiore capienza e possibilità di stoccaggio dati è andata di pari passo con l'inspessirsi delle situazioni di gioco, a loro volta assecondate da sistemi di controllo sempre più complessi. E complicati. 
Per farla breve: Space Invaders, negli anni, si è tramutato in Call of Duty.

Come eravamo

Se è vero che ogni mutamento comporta una perdita, cosa si è perso nello scarto? Non sarà forse vero che, come il camaleonte di Woody Allen, anche i videogiochi sono diventati talmente altro da non rappresentare più quel che rappresentavano nell'epoca delle cento lire infilate in un coin-op? La risposta, per chi scrive è: no. Sono anche altro, sono spesso altro, ma non sono solo altro. Il problema piuttosto, è che abbiamo dovuto aspettare tempi recentissimi perché l'industria dei videogiochi si decidesse a pensare a chi, dai videogiochi, si aspetta qualcosa di differente rispetto a chi ha speso già anni della propria vita stringendo un controller tra le mani.

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Poche settimane fa Gaelec Simard, mission director di Assassin's Creed Brotherhood, ha reso noto placidamente che, secondo i dati in loro possesso, solo il 40% di chi ha giocato ad Assassin's Creed II è arrivato all'epilogo delle vicende di Ezio Auditore (Fonte). Ancora peggio: sempre secondo Simard solo il dieci per cento dei videogiochi venduti vengono completati. A dargli man forte arriva John Davison di GamePro: "gli studios ci dicono che oltre il 90% dei giocatori passa un massimo di quattro ore di fronte a un gioco prima di abbandonarlo" (Fonte). Ora, i motivi dietro all'abbandono possono essere tanti e il problema non sarà per forza di cose la noia mortale indotta da Assassin's Creed II (opinione personale, va bene)... la conseguenza però, è innegabile: chi abbandona un gioco dopo averne solo scalfito la superficie è con tutta probabilità un consumatore deluso. E un consumatore deluso oggi potrebbe trasformarsi in un ex-consumatore domani. Ovvio allora, che le "grandi firme" provino a metterci una pezza, come evidenziato dalla preoccupazione espressa da Riccitiello a poche settimane dal suo ritorno in sella del cavallo Electronic Arts, nel 2007: "stiamo annoiando a morte la gente con giochi sempre più complicati e difficili". (Fonte).

Le regole del gioco

L'autore

Mattia Ravanelli scrive di videogiochi, nel bene e nel male, dal 1996. Ha collaborato con e coordinato svariate realtà editoriali, nel bene e nel male, tra cui: Game Power, Zeta, PlayStation Magazine Ufficiale, Nintendo la Rivista Ufficiale e GamesRadar.it.

Le aspettative

Alone in the Dark, l'ignobile tentativo di rilancio nel 2008 della serie che fu di Frederick Raynal, ha provato la strada della contaminazione televisiva. Come una serie TV riversata su DVD, il gioco lasciava al giocatore la libertà di decidere quale capitolo dell'avventura affrontare. L'intenzione era di non assillare chi si fosse seduto di fronte al televisore con una sfida al di là delle proprie capacità. Perché la lamentela, da parte dei giocatori meno smaliziati, sembra essere quella: ho speso decine di Euro e non ho goduto di tutto quello per cui ho pagato. Perché è vero che, come insegnano Billy Crystal e Meg Ryan, un libro si può anche cominciare a leggere dall'ultima pagina. Allo stesso modo un film si assorbe senza problemi dall'inizio alla fine, anche in questo caso con la possibilità di saltellare allegramente (e con fare vagamente psicotico) da un punto all'altro della vicenda. I videogiochi invece no. Eppure... Eppure loro, quelli meno smaliziati (che, per inciso, domani potremmo essere noi), non sanno darsi una spiegazione, le similitudini sopra riportate parrebbero non lasciare margini di manovra agli affezionati del videogioco. Perché? Perché come Zelig, i videogiochi hanno talmente finto di essere un racconto, una messa in scena, che alla fin fine è facile scambiarli per altro.

Le regole del gioco

I videogiochi, alla loro nascita però, sono giochi su di uno schermo. E ogni gioco include una parte di sfida lanciata a chi vi prende parte. La differenza, banalissima, è tutta lì: devi sudarti il tuo finale, devi guadagnarti il tuo passaggio di livello. Si sta sfondando un portone aperto da secoli, avete ragione: tutti sanno che il videogioco ha nell'interazione e nel ruolo attivo di chi ci si dedica, la propria caratteristica principale... O forse era così un tempo? Probabilmente è vero tutto quanto detto, cioè che i videogiochi sono sfida e sono una serie televisiva interattiva. Perché, per nostra fortuna, contando ormai alcuni decenni sulle spalle, anche i videogiochi possono dire di essersi evoluti. O perlomeno di essere diventati anche altro rispetto a Space Invaders. A Electronic Arts, ad Activision, a Nintendo, a Microsoft, a Sony e a tutti gli altri il compito di riuscire a offrire qualcosa a ognuno. Pare che recentemente se ne siano accorti anche loro comunque, e questa generazione è illuminante in tal senso.

A ciascuno il suo?

A lanciare la prima ciambella di salvataggio al pubblico lamentoso è stata Nintendo con il suo telecomando (e nel nome c'è tutto quel che serve per capirne la teoria su cui si poggia la creatura di Iwata e Miyamoto), ora hanno finalmente seguito le orme di Kyoto anche quelli di Sony e Microsoft. 
Ad aiutare è arrivata anche la seconda "linea" di videogiochi, quelli tutti digitali dei vari store online, da Xbox Live Arcade a Steam: spesso indirizzati ai più esperti, rappresentano in un certo senso l'altra metà del cielo dei videogiocatori.


Le regole del gioco

Rimane ora da capire se anche chi sta nel mezzo, ovvero i giochi "tradizionali" di ieri (Gran Turismo, Halo, Zelda), debbano modificare il loro approccio. E se la risposta è affermativa... devono modificarlo in favore di chi? Di chi vuole tranquillamente godersi tutti gli anfratti dell'Hyrule Field senza sbattersi troppo, o di chi è già al decimo prestige di Black Ops a 72 ore dalla messa in vendita del gioco? Il livello di difficoltà e di complicatezza dei videogiochi "normali" è indubbiamente tra le cause primarie di vendita di calmanti e analgesici tra gli sviluppatori. Nintendo ha provato a dire la sua con la Super Guida, quello stratagemma assai stuzzicante finora inserito in New Super Mario Bros. Wii, Super Mario Galaxy 2 e Donkey Kong Country Returns. L'idea è che il gioco in sé ha un suo tasso di sfida ben preciso, pronto ad essere sospeso nel caso il giocatore proprio non riuscisse ad adattarvisi. Forse è solo un inizio, forse non si riuscirà mai davvero a trovare la quadratura del cerchio, quel che conta è non provare a trovarla piallando i tratti somatici unici di quella mutevole creatura che è il videogioco. Dopotutto, se avessimo voluto guardare un film, avremmo guardato un film.

Le opinioni, le valutazioni e le critiche espresse in questo articolo sono frutto di considerazioni personali dell'autore e non rispecchiano necessariamente il giudizio della testata Multiplayer.it.