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Brothers in Arms

Lettura estiva: ecco il primo capitolo del primo romanzo di Brothers in Arms.

DIARIO di Andrea Pucci   —   15/08/2008
Brothers in Arms

Capitolo 1: IL CANALE
In ogni gruppo di cento uomini, dieci non dovrebbero neppure essere là. / Ottanta sono semplici bersagli. / I veri combattenti sono nove, e siamo fortunati ad averli, perché l'esito della battaglia dipende da loro. / Ma l'ultimo, ah, / l'ultimo è un guerriero, / e sarà lui a riportare indietro tutti gli altri.
Eraclito, 500 A.C. circa

Lunedì 25 settembre 1944, ore 01:40.
Bagnato, stanco, gelato fino al midollo e spaventato. Perché, pensò il sergente maggiore Baker, la guerra dev'essere sempre così?
L'aria era pesante d'umidità e una spessa nebbia ricopriva come un sudario il terreno pianeggiante e paludoso.
"È ora di muoversi", annunciò con un sorriso amaro che rivelava chiaramente la sua determinazione. Baker era alto un metro e ottantatré e aveva il fisico ideale per giocare difensore arretrato in una squadra di football.
I capelli scuri tagliati corti e gli occhi blu lo facevano sembrare più vecchio dei suoi ventun anni. La sua giovinezza e i modi baldanzosi potevano trarre in inganno: in realtà era già un veterano, avendo preso parte a diversi scontri e a qualche vera e propria battaglia. Ora si trovava alla guida di un piccolo gruppo dimenticato di soldati, alle prese con un compito impossibile.
"Bel modo di combattere una guerra", rispose il caporale Tom Zanovitch. "Ma ve la caverete alla grande, tutti e due. So che ce la farete".
Baker si tolse l'elmetto e lo passò a Zanovitch. Su entrambi i lati era dipinta una "R" bianca, che indicava che Baker faceva parte del plotone scelto di ricognizione della 101a Divisione Aviotrasportata: le Aquile Urlanti.
Il rombo distante dell'artiglieria ruppe il silenzio, ricordando a tutti quei soldati che la guerra era una cosa ben più grande della loro battaglia personale in quella piccola regione dell'Olanda.
"Per questa missione basteranno le pistole", aggiunse Baker, passando il suo fucile mitragliatore a Zanovitch.
Zanovitch prese fucile ed elmetto e li ripose nella jeep. Anche il soldato di prima classe Johnny Swanson, un newyorchese tosto del 326o Battaglione Genio Aviotrasportato, si levò l'elmetto e lo mise nella jeep insieme alla sua arma.
La guerra cambia una persona, pensò Baker riflettendo sui suoi brevi ventun anni di esistenza. Comprime il tempo e l'esperienza.
Due anni prima era solo un civile, un anno prima ancora una recluta. Poco più di tre mesi addietro, durante il D-Day, si era tuffato nel buio della notte senza avere praticamente alcuna esperienza sul campo. Aveva combattuto come caposquadra, percorrendo metro dopo metro le siepi della Normandia fino a Carentan alla testa dei suoi paracadutisti, ma non era riuscito a proteggerli tutti. Il suo valore in quell'operazione gli aveva fruttato una Stella di Bronzo, ma aveva perso alcuni buoni amici e in quel breve lasso di tempo era invecchiato di una vita intera.
Baker estrasse la calibro .45 dalla fondina di pelle bruna che portava alla cintura. La esaminò attentamente per un momento, lesse l'iscrizione incisa sul fianco e tirò il carrello per poi lasciarlo scattare in avanti. Ora la pistola aveva un colpo in canna.
"Quell'arma ne ha viste delle belle", osservò Zanovitch. "Il colonnello ne sarebbe fiero. Onore e coraggio".
Il sergente maggiore guardò il caporale Zanovitch per un lungo istante, scrutando negli occhi del compagno, cercando di decifrare il significato del suo commento. Lo sguardo di Baker sembrava dire: "non ora; adesso non posso portare anche questo fardello".
"In ogni caso, buona fortuna", aggiunse alla fine Zanovitch, guardando il sergente dritto in faccia. "Se qualcuno può farcela, siete tu e Swanson".
Baker non rispose. Dopo aver spinto con il pollice la sicura, rimise la pistola nella fondina e si girò verso Swanson. "Muoviamoci".
"Sono pronto", rispose il soldato, anch'egli armato solo di pistola. Si mise in spalla due zainetti pieni di esplosivo e passò altre due cariche da demolizione a Baker.
Il sergente prese gli ordigni. "Comunque stai pronto con il bazooka, per ogni evenienza", disse rivolgendosi a Zanovitch. "Nessun problema: lo sai che non sbaglio mai un tiro", rispose lui con un sorriso.
I due uomini si allontanarono nella densa nebbia, muovendosi silenziosamente lungo le strade acciottolate, verso i campi. Il terreno era fradicio, e quando la strada finì trovarono difficile camminare con il fango che aderiva agli stivali. Si diressero a est, verso il canale.
Baker guardò indietro per verificare che Swanson tenesse il passo e controllò la bussola. Dopo aver determinato la direzione est-sudest cominciò a muoversi con cautela, sperando di non capitare per sbaglio in un avamposto tedesco.
Il rimbombo delle esplosioni, da qualche parte a nord, ricordò ai due soldati che la battaglia per la Hell's Highway era in pieno svolgimento. Forse laggiù ad Arnhem c'era ancora qualche speranza per la 1a Aviotrasportata inglese e la Brigata Polacca. La 1a Aviotrasportata, i "Diavoli Rossi", aveva ricevuto l'ordine di prendere il ponte ad Arnhem e tenerlo per due giorni, tre al massimo. Ne erano già passati nove e i carri armati dei XXX Corps inglesi dovevano ancora raggiungerli.
Era difficile credere che solo nove giorni prima Baker e i suoi uomini si trovassero ancora al sicuro in Inghilterra. Soprattutto, pochi giorni prima i soldati che erano morti in battaglia nelle cittadine e nei campi vicino a Son, Eindhoven, St. Oedenrode e Veghel erano ancora tutti vivi.
Solo nove giorni prima.
Questa è la cosa strana del tempo, pensò. Che fossero nove giorni o novant'anni, i morti erano sempre morti.
Il 17 settembre 1944 era il secondo D-Day a cui avesse preso parte la 101a Divisione Aviotrasportata, e Baker con essa. La più grande forza aviotrasportata mai raccolta per una singola operazione, composta da 35.000 paracadutisti alleati, aveva solcato i cieli dal Regno Unito e superato la Manica per quella che era stata battezzata Operazione Market Garden. L'armata era così imponente che mentre i primi aerei già vomitavano paracadutisti e gli alianti si schiantavano atterrando nelle zone previste, altri stavano ancora decollando dagli aeroporti inglesi.
Qualche genio della strategia aveva deciso che questa volta l'assalto avrebbe avuto luogo in pieno giorno, il che per la contraerea tedesca rappresentò quasi un momento di festa. I colpi avevano accolto gli attaccanti con un benvenuto caldo e potente, esplodendo in grandi fiori di fuoco rossi e arancione, ma l'enorme flotta di invasione aveva continuato ad avanzare senza interruzioni. Le formazioni dei lenti bimotori C-47 avevano stretto i denti e tenuto duro in mezzo al fuoco nemico. I piloti degli apparecchi in fiamme avevano lottato con i comandi per rimanere in rotta e raggiungere ugualmente le zone di lancio, dove i paracadutisti si sarebbero lanciati nel vuoto precipitando verso terra.
L'invasione dell'Olanda aveva avuto inizio con il lancio delle Aquile Urlanti dietro alle linee tedesche, con lo scopo di fungere da base per l'assalto aviotrasportato. Inizialmente la sorpresa era stata completa e i tedeschi non avevano saputo organizzarsi per reagire mentre aerei, alianti e paracadutisti alleati riempivano il cielo. Il primo giorno la resistenza era stata minima e Baker aveva cominciato a credere che forse i rapporti avevano ragione, che la forza nemica fosse composta solo da soldati anziani e ragazzini della Gioventù Hitleriana. I veterani delle Aquile Urlanti si erano riuniti in fretta e si erano messi in marcia: il piano di Market Garden assegnava loro undici ponti, e gli uomini della 101a raggiungevano sempre l'obiettivo prefissato.
La missione della 101a Aviotrasportata era catturare Eindhoven e impadronirsi dei ponti che attraversavano i canali e i fiumi a Veghel, St. Oedenrode e Son. Per raggiungere quell'obiettivo le Aquile Urlanti avrebbero dovuto controllare una porzione della strada principale che si estendeva su un'area di venticinque miglia. I comandanti avevano previsto che le unità avrebbero avuto difficoltà a controllare entrambi i capi della strada da Veghel a Eindhoven; i paracadutisti sarebbero stati costretti a marciare avanti e indietro per impedire ai contrattacchi tedeschi di bloccare il passaggio.
Nello stesso tempo i XXX Corps inglesi avanzavano a tappe forzate con carri e fanteria lungo l'unica, stretta strada, per congiungersi con i paracadutisti. L'obiettivo dei Corps era percorrere sessanta miglia in quarantott'ore, attraversare la base della 101a Aviotrasportata all'inizio della zona di lancio da Eindhoven a Uden, raggiungere la 82a Aviotrasportata a metà strada, vicino alla cittadina di Nijmegen, per arrivare infine a congiungersi con la 1a Aviotrasportata inglese e la Brigata Aviotrasportata Polacca ad Arnhem. L'obiettivo finale era Arnhem stessa e il suo ponte sul Reno. Con un simile varco aperto verso la Germania, gli Alleati avrebbero potuto sopraffare le difese tedesche, sfondare la Linea Sigfrido e accerchiare le truppe di Hitler. L'ambizioso piano avrebbe permesso di concludere la guerra prima del Natale del 1944.
Il collegamento tra le forze armate e i tre diversi punti di atterraggio dei paracadutisti avrebbe dovuto aver luogo entro le prime quarantott'ore. Percorrere una simile distanza non sembrava difficile, considerato che i tedeschi erano ancora disorganizzati e demoralizzati dopo la traumatica ritirata dalla Francia di poche settimane prima.
In guerra, comunque, poche cose vanno come previsto.
Baker e Swanson avanzavano faticosamente nell'oscurità, trasportando le pesanti cariche. In una nebbia così fitta il movimento risultava tremendamente lento, dal momento che dovevano fermarsi in continuazione per ascoltare ed esaminare la bussola. In simili condizioni la vista serviva a poco: la nebbia avrebbe impedito di scorgere il nemico finché non sarebbe stato troppo tardi. Per localizzare eventuali truppe ostili diventava fondamentale affidarsi all'udito, valutando accuratamente ogni suono. Utilizzando la bussola e aggiornando continuamente la stima della loro posizione, Baker condusse Swanson fino alla riva est del canale.
Si trattava di un piccolo affluente di un canale molto più grande, che collegava alcuni fiumi e corsi d'acqua in quell'area del territorio olandese. Era proprio la grande quantità di canali a rendere il movimento fuoristrada dei veicoli in Olanda un vero e proprio inferno: questo valeva ancor di più per i grandi carri inglesi Sherman e Firefly che componevano gli XXX Corps del generale Brian Horrocks. A parziale consolazione, i corsi d'acqua rappresentavano un problema ancora maggiore per i pesanti Panther Mark IV e Mark V tedeschi e per i cannoni d'assalto Sturmgeschutz. Di conseguenza, qualsiasi punto in cui fosse possibile attraversare un canale acquistava immediatamente una grande importanza militare.
Baker si sporse oltre il bordo del canale, quindi si voltò ancora verso Swanson. "Pronto?"
"Come non mai", bisbigliò Swanson di rimando.
Baker espirò profondamente e, scavalcando l'argine di cemento del canale, si calò lentamente nell'acqua fredda. La corrente non era forte, ma l'acqua era ghiacciata e profonda. Per un breve secondo Baker fu attraversato da un'ondata di panico quando avvertì il peso delle cariche esplosive che lo tirava giù. Per un istante la sua mente ritornò al giorno in cui aveva imparato a nuotare; ricordò le dita gelide della paura nel momento in cui l'acqua aveva raggiunto la sua gola. Quel giorno avrebbe quasi lasciato che l'acqua lo portasse via, se non fosse stato per la risolutezza dell'uomo che, dalla riva dello stagno, l'aveva incitato a proseguire nonostante la paura... lo stesso uomo che gli aveva consegnato la pistola che portava in quel momento.
Baker si aggrappò a una crepa nella parete del canale Willemsvaart, fatta di pietre e cemento.
Swanson scivolò il più silenziosamente possibile nell'acqua accanto a lui.
"Ora non ci resta che arrivare dall'altra parte senza farci sparare addosso", bisbigliò Baker. "Vado io per primo".
"Capito", rispose Swanson mentre cercava una presa più solida sulla parete e Baker si preparava a nuotare verso l'altra sponda.
La nebbia era così impenetrabile che Baker non riusciva neppure a scorgere l'altra riva del canale. Si fermò per qualche secondo, tendendo le orecchie: non voleva neppure prendere in considerazione l'eventualità che i tedeschi lo stessero aspettando.
Dopo aver ascoltato con attenzione e aver udito solo lo scorrere dell'acqua, srotolò una corda dalla cintura e ne porse un capo a Swanson. "Affera questa, così non ci perderemo nella nebbia. Ti aspetto dall'altra parte: quando tiro forte, segui la corda e raggiungimi".
Swanson acconsentì con un cenno.
Baker spinse con le gambe contro la parete, lasciandosi scivolare per un momento nell'acqua ghiacciata e cominciando a nuotare lentamente verso l'altra riva, mentre il pesante carico di esplosivi lo tirava verso il basso. Nel giro di un minuto aveva raggiunto la parete ovest del canale.
Giunto sull'altra sponda si mise a cercare disperatamente un appiglio, sforzandosi di tenere la testa sopra il pelo dell'acqua. Alla fine, allungando il braccio il più possibile, riuscì ad afferrare con la mano destra uno degli anelli di metallo usati dalle imbarcazioni per l'ormeggio. Tenendolo stretto diede uno strattone alla corda con l'altra mano. Dopo un po' Swanson emerse dalla nebbia e lo raggiunse.
Ancora una volta Baker si fermò, ascoltando attentamente. La nebbia e il terreno pianeggiante, liscio come un'incudine, contribuivano ad amplificare ogni suono facendolo sembrare più forte e più vicino.
Da qualche parte verso est un cane cominciò ad abbaiare.
"Quella dannata bestiaccia ci farà scoprire", bisbigliò Swanson.
"Per adesso non possiamo farci nulla", replicò Baker a voce bassa. "Il ponte dev'essere qui davanti".
Mentre si spostavano nell'acqua lungo la parete ovest del canale, Baker udì il suono di soldati tedeschi al lavoro sull'attraversamento.
Anche Swanson aveva sentito, tanto che puntò il dito nella direzione verso cui stavano procedendo.
"Sì", sussurrò Baker, "siamo vicini".
Swanson fece un respiro profondo e scrutò nella direzione del ponte. "Dannazione, non riesco a vederlo".
Baker scivolò nell'acqua scura in cerca di un punto di osservazione. Cercando velocemente una presa sul cemento, la sua mano trovò un altro anello d'ormeggio.
Ora il cane stava abbaiando più forte.
"È qui davanti, a tre metri", disse Baker a voce bassissima. "Cominciamo a piazzare le cariche".
Swanson gli passò un rotolo di "det cord", una miccia esplosiva flessibile. "Teniamo le tue cariche per dopo. Piazzo queste due e torno".
Swanson avanzò a nuoto, avvolto dalla nebbia. Baker attese immobile, ascoltando le voci dei tedeschi sulla riva appena sopra di lui. Dopo pochi minuti, che a Baker parsero ore, Swanson fu di ritorno.
"Passami le tue cariche".
Mentre allungava gli zainetti pieni d'esplosivo a Swanson, Baker sentì il tipico rumore stridente dei cingoli d'acciaio.
"Carri armati tedeschi", sussurrò il suo compagno, confermando la sua impressione. "Stanno preparandosi ad attraversare".
"Non abbiamo più molto tempo".
Baker passò le due cariche a Swanson, che le prese e tornò ad avanzare a nuoto, scrutando il lato del canale in cerca del punto ideale per piazzarle.
Il cane, ormai al culmine dell'eccitazione, si era messo ad abbaiare furiosamente. Baker sentiva distintamente battergli il cuore nel petto.
I minuti passarono in un'attesa sempre più ansiosa. Ormai l'abbaiare sembrava provenire direttamente da sopra la sua testa.
Baker sentì il sangue gelarsi quando udì, vicine, le voci di altri soldati tedeschi. La fitta nebbia gli impediva di determinarne la posizione precisa, o anche solo il loro numero, ma poteva avvertirne chiaramente i passi. Una voce rauca gridò: "Schieben sie hoch. Lassen sie uns gehen!" Baker trattenne il respiro. Si stava tenendo saldamente con una mano all'anello di metallo, mentre l'altra stringeva la pistola pronta a sparare.
I secondi passarono e divennero minuti, mentre Swanson lavorava alle ultime due cariche.
Alla fine Baker si rilassò impercettibilmente e fece scattare nuovamente con il pollice la sicura della sua Colt .45 automatica.
"Tutto bene, sono piazzate", sussurrò Swanson.
Improvvisamente Baker sollevò lo sguardo e vide un soldato tedesco che puntava il fucile verso l'acqua.
"Wer ist dort?" gridò l'uomo un istante prima di aprire fuoco.

Fine Capitolo 1. Continua in libreria dal 15 settembre.

Dire che il romanzo di Brothers in Arms è dedicato solo agli appassionati dell'omonimo videogioco, mi parrebbe riduttivo. Chi come me ha amato anche la storia della Seconda Guerra Mondiale, la serie televisiva Band of Brothers (a sua volta tratta da un libro) e la cronaca dello sbarco in Normandia lì fedelmente raccontata, non potrà non apprezzare questo romanzo a sfondo storico, scritto nientepopodimenoche da John Antal, consulente militare della Gearbox Software. Gearbox e Antal sono una bella accoppiata. La Gearbox è nata all'ombra della Valve, con lo storico add-on di Half-Life Opposing Force. Da allora sono passati quasi dieci anni e di titoli ne ha sfornati diversi: dal porting su PC di Halo, a Tony Hawk Pro Skater per arrivare appunto a Brothers in Arms, serie nata nel 2005. Hell's Highway è il terzo capitolo della serie e il primo ad avere un romanzo dedicato. Se BiA ha appassionato e appassiona tutt'oggi è anche grazie ad una verosimiglianza storica impressa da John Antal. Antal è un colonnello della US Army in congedo che ha prestato la sua esperienza ai videogiochi di guerra, un po' come il suo "collega" ed ex commilitone Dale Dye si è prestato al cinema. Nello specifico, per i meno informati, Brothers in Arms: Hell's Highway (sia il gioco, sia il libro) narra una serie di eventi, successivi allo sbarco in Normandia, della 101esima divisione aviotrasportata (la stessa di Band of Brothers). Si tratta dell'operazione Market Garden, ricordata anche come una delle operazioni più fallimentari condotte dagli alleati nel tentativo di chiudere la guerra in Europa con un anno di anticipo. Il tentativo sfumò, ma quella storia è diventata leggenda.
Chiudo in bellezza regalandovi in anteprima il primo capitolo del romanzo, che troverete in libreria a partire da metà settembre. Buona lettura!