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Diario del capitano

DIARIO di La Redazione   —   10/11/2001

Diario del capitano

Ogni giorno quando mi collego la mia navigazione passa, prima o dopo, per La Repubblica. Essendo confinato in redazione per dodici ore è uno dei miei mezzi preferiti alternativi al classico telegiornale. Dunque anche oggi, anche se tardi, non mi sono astenuto da una navigatina sul sito del quotidiano e mi sono imbattuto nella recensione (segnalatami tra l'altro anche da Michele Borri) di un libro sulla filosofia hacker, filosofia tanto in voga specie nella metà degli anni '90 e oggi caduta un po' nel dimenticatoio, ma sempre affascinante. Non è però del libro che vorrei parlare, quanto dell'associazione mentale avuta immediatamente con alcuni miei ricordi di gioventù e in particolare con un simpatico episodio avvenuto recentemente e che sinceramente mi ha ispirato per l'ennesima volta il pensiero di quanto sia piccolo il mondo.
Alcune settimane fa ero infatti a pranzo con l'amico Marco Carli Ballola di Soloinrete e tra un piatto di pasta e un bicchiere di vino, ci siamo spinti indietro nel tempo, scoprendo origini comuni nei primi anni '90 in corrispondenza del picco massimo della pirateria italiana e del seguente Italian Crackdown, termine epico per definire quell'enorme inchiesta giudiziaria che portò alla rovina definitiva un'intera generazione di geni informatici, stroncando per almeno un triennio lo svilluppo tecnologico italiano online.
Purtroppo si sa, l'ignoranza genera mostri, e allora di errori da una parte e dall'altra della barricata ne furono compiuti un bel po'. Tuttavia esserci incontrati dal vivo (all'epoca Internet, vi rammento, in Italia era solo un qualcosa di remoto e sconosciuto), appassionati di videogiochi entrambi e entrambi frequentatori delle stesse bbs, ma abitanti ognuno da una parte opposta dell'Italia e aver condiviso valanghe di ricordi, è stato un momento davvero... toccante. Testimone dell'incontro per caso uno spiazzato Luca Persichetti, il nostro responsabile marketing, che all'epoca conduceva uno dei primi negozi italiani specializzati in videogiochi e che a suo modo ha vissuto l'intera vicenda da un ulteriore punto di vista, quello di chi cercava di vendere giochi a L.99.000 mentre in giro imperversavano ragazzini con il masterizzatore (al tempo c'erano i floppy).
E' stato oltretutto curioso osservare come difficilmente chi ha messo le sue radici nell'hitech alla fine degli anni '80 oggi fa un lavoro diverso da quello derivante dalla passione nata allora. E' stato un po' come un timbro geneticamente acquisito. Gira e rigira chi fa il programmatore, il sistemista, il web master, il grafico e via dicendo. E' una questione di sangue. E di bit.