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Retro Hardware - La potenza è nulla senza controller

La storia, la sopravvivenza e l'evoluzione dei controller sono frutto del compromesso tra le possibilità offerte e la comodità di utilizzo. Un compromesso necessario, fatto di protesi che consentono ad esseri fatti di carne di muoversi in un mondo che loro stessi hanno creato ma che non gli appartiene completamente, per lo meno fino a che qualcuno non estrarrà dal cappello un'interfaccia neurale diretta.

RUBRICA di Mattia Armani   —   11/06/2009

Il controllo è una questione geometrica. Due assi che permettono di puntare un obiettivo. Anche il mouse, sotto la scorza, non è nulla più. Eppure, quando l'obiettivo è il centro di una telecamera, il punto d'incontro di quei due semplici assi si trasforma in uno sguardo verso un mondo virtuale, diventa un oggetto da manipolare, diventa il punto d'impatto di un proiettile ad alta precisione.
Tutto è cominciato nel 1965 da un'idea collocata nell'ambito della cybernetica, anche se il design del roditore trae ispirazione diretta dalla fascinazione provata tre anni dopo da Douglas Engelbart durante l'osservazione di agili topi da laboratorio.

Douglas Engelbart
Douglas Engelbart

Ci troviamo nel 1968 quando Engelbart, grazie alle abilità ingegneristiche del collega Bill English, realizza il primo mouse, ovvero una scatoletta con due rotelle mirata a dimostrare la possibilità di aumentare le potenzialità umane nell'intreccio uomo-macchina. Un tassello della cybernetica che non molti anni dopo avrebbe riunito i due filoni di ricerca in quello che all'epoca sarebbe apparso come un ambito di studio scientifico decisamente improbabile: il gioco. Con il senno di poi, certo, è semplice collegare l'idea di mondo virtuale e la possibilità dell'uomo di penetrare in esso per confrontarsi direttamente con l'intelligenza artificiale, ma all'epoca le capacità logiche dei calcolatori e il concetto di predizione erano termini legati quasi esclusivamente ai dispositivi antiaerei militari e alla gestione degli ambiti le cui variabili erano inaccessibili alle capacità intellettive umane.

Uomini e topi

Se durante l'arduo cammino dal 1965 a oggi il topo è diventato un leone non è certo grazie alla versatilità mostrata sulle scrivanie virtuali di tutto il mondo, e poco o nulla centrano le peripezie che l'hanno visto evolversi attraverso l'opera ingegneristica di Xerox, la prima ad impiegare mouse e interfaccia grafica nell'ambito degli allora neonati personal computer. Per lanciare il mouse fu necessaria tutta l'abilità nel design e nel marketing di Steve Jobs che lo affiancò al Macintosh, primo vero oggetto di culto a superare le barriere dell'ambito informatico per entrare nelle case della cosiddetta gente comune.

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L'enorme diffusione del mouse si è dunque accompagnata alla diffusione del personal computer ma quel primo gradino è stato l'unico, in termini evoluzionistici, per molti anni. Non serviva un leone per domare un foglio di calcolo e nulla cambiò con l'esplosione del videogaming. D'altronde il passaggio assolutamente indolore dalla scrivania a una mappa gestionale o all'immagine statica di un'avventura grafica ha rappresentato uno dei fattori in grado di consentire l'accesso ai videogiochi a quella fetta di pubblico riflessiva, magari più matura, ma comunque meno avvezza alla concitata attività dell'allora mare magnum del videogioco arcade. Così il topo era destinato a restare topo, già sufficientemente agile e intelligente per muoversi nell'epoca del punta e clicca, definizione che incorpora la vera differenza tra il mouse e gli altri tipi di controller. Il mouse non ha continuità analogica con l'azione di gioco, il cursore scivola intangibile lungo lo schermo senza toccare nulla e consentendo di agire direttamente sul punto di interesse con una rapidità arginata solo dai limiti fisici dell'utente.

L'era dei top gun

Nel frattempo, mentre il mondo console preferiva sfruttare il gamepad grazie alla possibilità di effettuare movimenti rapidi in successione restando spaparanzati sul divano, fu la Commodore a cambiare la percezione del videogioco sganciando sul mondo una bomba di nome joystick. In realtà la prima piattaforma a sdoganare lo stick nelle case dei videogiocatori fu una console, il celeberrimo Atari 2006, ma il videogioco casalingo non era ancora sufficientemente diffuso per giustificare una reale evoluzione del vecchio stick, ancora più che valido per una tipologia di videogiochi che poteva essere gestita anche attraverso la tastiera. Fu solo quando i personal computer furono in grado di gestire spazi tridimensionali che il videogioco simulativo si vincolò al joystick trasformandolo in una cloche e distinguendolo nettamente dall'arcade stick di un coin-op.

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Il joystick, padre del mouse, utilizzato come dispositivo di tiro alla fine della seconda guerra mondiale, utilizzato da intere generazioni in tutte le sale giochi del mondo, fu il primo compromesso tra periferica simulativa e controller universale. Quando usci l'Amiga 500 accanto a mouse e tastiera comparvero decine di modelli di joystick, trackball, stickpad che presentavano diverse possibilità di configurazione e innumerevoli optionals come il fuoco automatico, autoswitch, microswitch per avvertire lo spostamento lungo gli 8 assi, diversi tipi di manopola, leva in metallo, tre, quattro, cinque tasti e persino meccanismi per aumentare o diminuire la resistenza dello stesso. Forse, a braccetto con un supporto invidiabile, fu proprio l'incrocio di sistemi di controllo a consacrare l'Amiga come primo sistema per hardcore gamers in grado di gestire platform, strategici, simulazioni, avventure e al contempo capace di gestire un sistema operativo semplice, valido e supportato con numerose applicazioni in grado di sostenere sia i primi esperimenti sul composing audio e video di Andy Warhol sia di svolgere diversi compiti negli uffici della NASA.

Dal tramonto all'alba

In questo panorama, mentre il Joystick si evolveva per poi trasformarsi in console di comando a centinaia di tasti, feedback cloche, mitragliatrice, canna da pesca e volante, il mouse restava silenzioso, ancora più che sufficiente a gestire tutto quello che poteva offrire il mondo del punta e clicca, a partire dal videogioco per arrivare al programma di design. Parallelamente, mentre l'Amiga infuriava e il PC iniziava la sua trasformazione per diventare anch'esso un sistema mediatico universale, il NES aveva ormai consacrato le console da gioco come il passatempo del futuro esportando il pad, e alcuni generi ludici ad esso vincolati, su PC

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. Con l'esplosione dei fenomeni Megadrive e SNES fu il già citato divano a sconfiggere definitivamente il joystick che, con il declino dell'Amiga ed esiliato in sale giochi sempre meno popolate a causa della diffusione del videogaming casalingo, fu costretto a trasformarsi nella succitata serie di periferiche destinate ad arricchire l'esperienza simulativa di videogiochi realizzati ad hoc.
In quel periodo il mouse come periferica videoludica era ancora sinonimo di gestionali, strategici o avventure grafiche e sembrava destinato a rimanere immutato. Quello che il mondo non aveva ancora colto era la possibilità di svincolare le tre dimensioni dalla sola sfera simulativa. Quello che il mercato videoludico non aveva considerato era la semplice questione della visuale, la possibilità, nelle tre dimensioni, di distaccarsi dalla guida di un mezzo o di un aereo per controllare direttamente lo sguardo del personaggio. Quello che il mondo non aveva calcolato era Wolfenstein 3D.

Sguardo virtuale

Per spiegare l'improvviso successo degli sparatutto in prima persona poco importa considerare che all'epoca le tre dimensioni autentiche erano ancora appannaggio delle simulazioni di volo e che i primi esperimenti nel campo della visuale in prima persona furono applicativi universitari come Maze War. Quando tutto si esprime attraverso uno schermo bidimensionale, la chiave di lettura più rilevante non è la tecnologia ma la percezione. Wolfenstein 3D permise ai primi visitatori di passeggiare per un livello e consentì loro di vivere in presa diretta azioni pur semplici ma determinanti come attraversare una porta o sbirciare dietro un angolo. Non vi erano più gli ambienti fantastici di Catacomb 3D ne gli sterili vettori persi in uno sfondo nero di Battlezone,

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ma soldati umani, robot nazisti e nemici riconoscibili seppur immersi in una necessaria nebulosa di caricature. L'immersività e la manipolazione presero allora una strada alternativa, quella del gioco di ruolo, recuperando e rinnovando l'esperienza di Eye Of The Beholder. L'FPS invece si concentrò sulla questione dello sguardo, della mira, della partecipazione diretta all'azione di gioco. Doom fu il secondo punto di svolta, sempre per mano dei pionieri della Id Software, e mostrò al mondo che lo sparatutto in prima persona era una giovane e vigorosa promessa. L'utilizzo del sonoro, l'affermazione del mouse e la distribuzione shareware determinarono un tale clamore da bloccare la rete e radunare vere e proprie folle di appassionati nel giorno del rilascio. L'autentico successo di questa formula, al di là del consenso numerico iniziale, doveva ancora palesarsi. In Doom si celava un seme chiamato multiplayer, destinato a sbocciare trascinando con se mouse e tastiera.

Da topo a leone

Da un momento all'altro il semplice mouse acquistò un metro di valutazione basato sulla precisione, sul numero di punti discernibili dalla macchina sui due assi e sull'impugnatura. Non più uno strumento ma un'arma dalla cui efficienza dipendeva l'ego di ogni quaker, unrealer o counterstriker. Il più alto rappresentante della "mouse revolution" fu il Claw, l'artiglio, un mouse dal sedere abbondante e completamente impugnabile, dotato di canaline ergonomiche per le dita e interamente programmabile. I giochi stessi, anche quelli dove l'elemento agonistico era irrilevante, cominciarono a considerare diversi parametri relativi alla sensibilità del mouse e i tasti programmabili per il cambiamento rapido delle armi tramutarono la neonata rotellina in una risorsa indispensabile la cui robustezza doveva fronteggiare molto più di un semplice ipertesto.

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Quake 3 fu la summa del rapporto uomo-mouse: feroce, istantaneo e concitato mostrava i punti deboli di ogni controller mettendo alla prova le articolazioni dei videogiocatori sottoposte a lunghe sessioni di gioco. In questo periodo il mouse ereditò dal pad un altro parametro, la compatibilità anatomica, che si espresse attraverso tappetini di lattice, poggia polso in silicone, bracciali di sostegno e qualsiasi altro oggetto che non disturbasse l'azione di gioco ed evitasse denunce per nuove patologie nervose o deformazioni artritiche anomale. Il mouse diventò così lo sguardo virtuale per eccellenza, perfetto per guardarsi intorno o per colpire una mosca a centro metri di distanza e persino quando la facilitazione dell'interfaccia uomo-pad di Halo ha sdoganato ogni tipo di sparatutto in prima persona al popolo console, lo sparatutto PC ha mantenuto la sua sovranità nel forgiare i riflessi dei futuri atleti virtuali.

Le necessità della vita online

Furono i giochi di ruolo tridimensionali a incorporare un numero di funzioni tale da richiedere l'utilizzo esteso della tastiera, eppure la mancanza della scintilla agonistica rappresentò un freno per l'evoluzione ergonomica. I primi vagiti della nuova "tasti-era" si udirono nelle lande di Sosaria. La furia omicida che attraversò i server di Ultima Online mise alla prova le capacità mnemoniche di tastiere e videogiocatori. Il gioco di ruolo online, belva affamata di tasti, era giunto tra noi mescolando agonismo, macro e un'infinità di funzioni, emoticon e combinazioni.
Fu allora che la rivoluzione della tastiera si annunciò nella forma, come per il mouse, con ammenicoli per consentire lunghe sessioni con la mano adagiata nella medesima posizione, immobile nel suo agguato al tasto della magia istantanea o a quello della macro "usa benda su se stessi".

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Ovviamente al contempo si accentuò la ricerca della perfetta ergonomia con tastiere ovali, arcuate, convesse, doppiamente arcuate, doppiamente convesse, con i tasti morbidi, duri, senza click, senza molle e via dicendo attraverso tutte le conquiste scientifiche dell'arte pigiatoria. Purtroppo, visti i costi di una periferica wireless con microcomputer per gestire la programmazione di macro e funzioni, costruita con dovizia e resistente alle bevande appiccicose, il mondo si è visto costretto ad abbassare il tiro procedendo, nell'epoca della droga chiamata World of Warcraft, alla diffusione capillare delle sovratastiere. A dire il vero le sovratastiere hanno ormai qualche anno ma mai sono state cosi apprezzate da un'utenza che è cresciuta riuscendo a ottenere il massimo divertimento possibile da 12/13 Euro al mese. Eppure, nonostante la crisi, le sovratastiere e la nuova ondata di utenti che giocano ai mmorpg per passare il tempo senza spendere troppo, il desiderio di controllo del mondo virtuale, dell'altro e persino di se stessi, è talmente forte che tastierini e mouse zeppi di ogni tipo di congegno infernale continuano a evolversi attorno al sempre più florido mondo del gioco online nel tentativo di sfruttare la follia che per le strade, virtuali, va.

Semplicemente complesso

E' innegabile che la pallina ricoperta di gomma, oggi tramutata in sensore ultramoderno, offra un grado di precisione sconosciuto al pollicione che litiga con lo stick, ma i nuovi pad, tra grilletti e levette sempre più delicate e precise, hanno conquistato buona parte del mercato videoludico e sono atterrati da tempo anche sulla piattaforma PC. Sono pochi i generi che, barricati in una Alamo di silicio, sono rimasti a difendere il trio mouse, tastiera e PC come sistema ludico ancora indispensabile, ma le parole divano, costo e accessibilità sono oggi mostri che divorano ogni accenno alla complessità in cambio di copertura e vendite.

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Inevitabile chiedersi come preservare il videogaming da scrivania rinunciando alla scrivania stessa e una soluzione viene proprio da chi sembra aver rifiutato i videogiochi più articolati per dedicarsi quasi esclusivamente alla semplicità di utilizzo.
Parliamo di Nintendo e della coppia Nunchuck Wiimote, ovvero la tastiera e il mouse del futuro. Il parallelo si palesa anche solo navigando nel menu della console o provando anche per pochi attimi un qualsiasi sparatutto in prima persona. Purtroppo il Wii non è strutturalmente ne concettualmente concepito per raggiungere un'elevata precisione o per mostrarci le applicazioni possibili in un mondo virtuale o in un sistema operativo tridimensionale. Eppure resta evidente che la conciliazione tra mouse e pad passa per la strada di un semplice telecomando, in grado di gestire ogni aspetto multimediale della casa, e che, vincolato a un tastierino, un sensore, una manopola o persino un braccialetto, si possa trasformare in una chiave virtuale che ci consenta di accedere a quel magico mondo di giochi, dati e immagini nel modo e con l'intensità che desideriamo e senza la necessità di drastiche semplificazioni o dell'acquisto di periferiche troppo specifiche e troppo costose.