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Videogiochi: innocente evasione o fuga completa dalla realtà?

Come si relazionano i videogiochi con la società?

NOTIZIA di Simone Tagliaferri   —   17/03/2017

Ieri l'Economist ha pubblicato un articolo davvero interessante di Ryan Avent in cui vengono messe in relazione la crisi del mondo del lavoro negli Stati Uniti (e non solo, aggiungiamo noi) con i videogiochi. Badate bene che la tesi di fondo non è un atto d'accusa contro i videogiochi, ossia non si afferma che siano la causa del fenomeno. Più sottilmente l'articolo fa notare come siano una risposta allo stesso.

Prima di continuare, riportiamo qualche dato: "tra il 2000 e il 2015 negli Stati Uniti la percentuale degli occupati di vent'anni senza una laurea è passata dall'82% al 72%. Soprattutto il dato del 2015 è preoccupante: ben il 22% dei facenti parte di questo gruppo non ha lavorato nei dodici mesi precedenti. Queste persone finiscono per rimanere a casa insieme ai genitori, perdendo la prospettiva di avere una carriera o di diventare autonomi. Il 75% di loro usa i videogiochi come via di fuga."

In realtà il fenomeno era già noto e già in passato altre testate ne avevano parlato. Ci sono anche degli studi accademici in merito. Fa parte di una serie di cambiamenti storico / sociali molto più ampi e profondi di ciò che avviene nel nostro salotto e che imporranno presto al mondo occidentale di modificare alcune politiche economiche. Si tratta di argomenti fondamentali come il cambiamento della produzione industriale, che con la robotizzazione delle fabbriche vedrà sempre più ridursi la domanda di lavoro non specializzato, creando immense masse di poveri (i posti di lavoro creati dalle nuove tecnologie non basteranno ad assorbire l'intera offerta). Ovviamente ci sono altri luoghi virtuali per discutere di questi argomenti e non pretendiamo certo di esaurirli o di dire cose particolarmente originali. Citandoli vogliamo solo contestualizzare il discorso per far capire come ci entrano i videogiochi.

Tutti sappiamo che videogiocare è una via di fuga dalla realtà. In generale lo è ogni forma d'intrattenimento. Nei videogiochi però, a differenza che in altri media, entrano in ballo fattori differenti. Soprattutto la moderna concezione dei mondi virtuali persistenti è basata sul principio di mantenere il più a lungo possibile il giocatore in gioco, facendogli sentire l'urgenza di tornarci quando ne è fuori. Il sistema migliore per farlo non lo si deve a chissà quale profonda elaborazione del game design, ma ad alcuni principi psicologici innati nell'animale essere umano, che vengono sfruttati a fini ludici. Ad esempio dare ricompense continue cercando una soddisfazione crescente, ma di fatto piatta e inesauribile, che stimoli una produzione costante di endorfine nell'organismo.

Ovviamente la questione è molto più complessa di così e in gioco entrano tanti fattori differenti. Magari qualcuno di voi potrà approfondirla nei commenti. Quello che ci interessa sottolineare è che nei videogiochi molti trovano delle soddisfazioni che nella vita reale sono più faticose da ottenere o che, semplicemente, non avranno mai. In particolare quando si attraversa un momento di fragilità emotiva è facile trovare conforto in esperienze pensate appositamente per soddisfarci in ogni modo, solleticando il nostro narcisismo.

Per questo motivo con l'aumentare dei problemi lavorativi tra i più giovani, causa principale di frustrazione individuale insieme ai problemi amorosi, aumenta anche il consumo di videogiochi. Purtroppo i mondi virtuali, soprattutto quelli basati su azioni ripetitive, ci fanno crescere dentro al gioco, ma non nella realtà. Finché permane un certo equilibrio e la società riesce a riassorbire chi momentaneamente è stato marginalizzato, il problema non si pone (o, almeno, si pone in modo meno drammatico), ma quando l'equilibrio viene meno, allora il fenomeno diventa preoccupante ed è giusto parlarne.