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Star Wars: Battlefront II, fra microtransazioni e sostenibilità

Il nuovo episodio della serie DICE ha fatto discutere, ma le polemiche sono fondate?

NOTIZIA di Tommaso Pugliese   —   16/11/2017

Com'era ampiamente prevedibile, Star Wars: Battlefront II sta facendo molto discutere, in verità più per ciò che il titolo rappresenta che per le effettive caratteristiche dell'esperienza messa a punto da DICE.

Non ci voleva un genio per capire che sarebbe andata esattamente così: le furiose polemiche circa i meccanismi pay-to-win del comparto multiplayer, che hanno portato Electronic Arts a correre ai ripari, accompagnate dalle immancabili recensioni negative su Metacritic da parte degli utenti, hanno creato una situazione non certo piacevole per il gioco e il suo ecosistema, pensato per essere un live service dal lungo orizzonte temporale.

Star Wars: Battlefront II, fra microtransazioni e sostenibilità

Electronic Arts lo ha detto chiaramente: il progetto, che non a caso esclude DLC a pagamento, punta a un coinvolgimento dei giocatori sul lungo periodo attraverso il rilascio costante di nuovi contenuti. Va letta in quest'ottica un'impostazione iniziale non troppo ricca né bene organizzata, così come appaiono del tutto legittimi i richiami a una monetizzazione che, a conti fatti, non ha concretamente il potere di influenzare le partite online.

Il nostro Vincenzo Lettera lo ha scritto chiaramente in fase di recensione: "in tutti i match che abbiamo giocato online, neanche una volta abbiamo avuto l'impressione di essere stati eliminati perché l'avversario era meglio equipaggiato di noi." Si tratta però solo dell'ultima di una serie di testimonianze che sembrano non riuscire a spegnere il sacro fuoco della convinzione ideologica secondo cui la presenza di microtransazioni in un gioco tripla A si traduce automaticamente nella presenza del demonio, da esorcizzare dando alle fiamme tutte le copie del gioco e magari anche la sede del relativo produttore.

Star Wars: Battlefront II, fra microtransazioni e sostenibilità

Cerchiamo di essere chiari: è assolutamente legittima la posizione di chi dice "volete puntare su questo tipo di business? Allora limitatevi a farlo nei free-to-play e non cercate di sfruttare la passione di chi ha già difficoltà a trovare 70 euro per i vostri prodotti." Il problema, come al solito, è il confronto con la realtà dei fatti: solo alcuni titoli tripla A garantiscono determinati volumi di vendita e dunque una consistente base d'utenza da corteggiare nell'ottica delle microtransazioni. In più si tratta di produzioni sempre più costose, con punti di pareggio che salgono di volta in volta e impongono di stabilire nuovi record nel caso si voglia raggiungere la profittabilità.

Non sarà assolutamente semplice trovare la quadra in una situazione del genere, e non è un caso se negli ultimi anni dal punto di vista tecnico e strutturale si sia allargato il gap fra le produzioni indipendenti e i tripla A. Se però la caccia alle streghe continua, enfatizzata dall'eccessiva influenza che alcune minoranze rumorose si ritrovano ad avere grazie alla rete, ai social e agli aggregatori, arriverà il giorno in cui i big del settore videoludico saranno molti meno di adesso e bisognerà accontentarsi di quello che proverbialmente passerà il convento. Microtransazioni o meno.