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La sottile linea d'ombra

2K Games si presenta all'immancabile prova dello sparatutto in terza persona con una soluzione particolare, anche se apparentemente canonica. Riuscirà a distinguersi nella saturazione del mercato?

RECENSIONE di Giorgio Melani   —   26/06/2012

Iniziamo l'analisi di Spec Ops: The Line dall'elemento caratterizzante l'intera esperienza, ovvero l'ambientazione e - in linea di massima - la storia che, pur non riuscendo a lasciare completamente fuori dalla porta certe ingenuità tipiche del militarismo videoludico, racconta qualcosa di effettivamente inedito. La cosa appare già evidente nei primi minuti di gioco. Nonostante la prima sequenza sembri tratta direttamente dal mercatino delle idee targate Tom Clancy, la schermata iniziale invece mostra una bandiera americana rovesciata e un inno statunitense affidato alle note distorte di una chitarra elettrica.

La sottile linea d'ombra

Un'immagine che fornisce un impatto strano, considerando il contesto apparente di un videogioco dal tono militare realistico. D'altra parte, come abbiamo riportato già in precedenza, il modello narrativo preso come ispirazione dagli sviluppatori non è propriamente banale, trattandosi di Cuore di Tenebra di Joseph Conrad. Un modello che non emerge immediatamente dal contesto e dall'azione di gioco (a parte i riferimenti diretti come il nome del Colonnello Konrad, una sorta di mix tra il nome dello scrittore e quello di Kurtz, dal medesimo libro), ma che affiora piano piano, come coperto dalla sabbia battuta dal vento, quando ci accorgiamo che la missione di recupero del Colonnello si trasforma in qualcosa di diverso e più profondo, riflessivo, come un viaggio di scoperta e formazione all'interno di un ambiente selvaggio che ha perso tutti i suoi punti di riferimento, tornando al caos primordiale.

La sottile linea d'ombra

Un luogo strano dove la miseria della sopravvivenza si nasconde tra gioielli e suppellettili opulente, lascito di una ricca ed edonistica umanità su cui la natura è tornata a prendere il sopravvento, scaraventando di forza l'uomo nel caos. Allora ci si rende conto che attraversare quelle rovine desertiche (ma non deserte) è davvero "come compiere un viaggio indietro nel tempo, ai primordi del mondo" e che "nell'aria calda, spessa e greve", come nel libro di Conrad, "non c'è gioia nello splendere del sole". L'esperimento di Yager, dato dall'inserire uno sparatutto in terza persona dalla struttura piuttosto mainstream su un sostrato narrativo dotato di una certa importanza e originalità, è sicuramente riuscito. Vediamo però il resto.

Salvate il soldato Konrad

Ci troviamo nei panni del Capitano Martin Walker, responsabile della piccola squadra Delta Force, impegnata nel recupero del Colonnello Konrad e nella ricerca di indizi sul destino del trentatreesimo squadrone dell'esercito statunitense, i cui contatti si sono misteriosamente persi nel corso di un'operazione a Dubai. Capiamo ben presto che la situazione nella città ormai completamente invasa dalla sabbia e dal deserto è ben più complessa di quanto ci si potesse aspettare, con predoni, militari, CIA e forze locali in lotta tra loro all'interno di un caos totale di fazioni che rende difficile effettuare la classica suddivisione tra buoni e cattivi, lasciando sempre più perplessi e sgomenti il protagonista e i suoi due compagni. La struttura ricalca diverse scelte effettuata da titoli precedenti appartenenti al medesimo genere, con una particolare ibridazione tattica però. La maggior parte degli elementi lo riconducono a Gears of War, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei danni (che si curano automaticamente rimanendo al riparo dai colpi per un certo periodo di tempo), l'interfaccia di controllo e l'utilizzo degli elementi di scenario come coperture contestuali.

La sottile linea d'ombra

Su quest'ultimo punto si registra peraltro un convincente dinamismo nel passaggio dalla corsa in campo aperto alla copertura dietro un ostacolo, che avviene con una buona velocità e reattività, consentendo spostamenti veloci e passaggi da un punto all'altro del campo di battaglia indispensabili per poter sopravvivere nelle aree spesso molto ampie e stratificate in cui si svolgono gli scontri a fuoco. Gli elementi tattici (in stile Ghost Recon, per così dire) si riferiscono alla gestione della squadra composta da due elementi, a cui è possibile richiedere di concentrare il fuoco su particolari bersagli ed effettuare azioni particolari come lanciare granate stordenti. Implementazioni strategiche piuttosto basilari, ma che riescono comunque ad approfondire una struttura di gioco altrimenti un po' abusata. I due compagni di battaglia sono peraltro gestiti da un'intelligenza artificiale piuttosto convincente che li rende dei validi supporti, sebbene in alcuni casi si registrino comportamenti un po' troppo audaci che si traducono in abbattimenti momentanei che rendono necessario il nostro intervento per curare il compagno (o l'ordine impartito all'altro commilitone di curare il combattente ferito). Anche la dotazione delle armi è quella classica dello sparatutto ad ambientazione militare, con ricostruzioni piuttosto fedeli di fucili e mitragliatrici realmente esistenti che nel vivo dell'azione si distinguono prevalentemente in base alle differenze di danno apportate e alla tendenza a corto e lungo raggio (le varianti classiche della mitragliatrice più o meno pesante, pistola, fucile a pompa, lanciagranate e fucile di precisione secondo il canone del genere) e varie tipologie di granate.

Dilemmi morali tra le dune

Gli altri elementi caratterizzanti del gameplay di Spec Ops: The Line, per il resto piuttosto adagiato su modelli standardizzati in questa generazione di TPS "con copertura", sono legati principalmente all'ampiezza del campo di battaglia, che si sviluppa spesso per direttrici verticali e consente un approccio variabile al nemico e viceversa.

La sottile linea d'ombra

I comandi impartiti alla squadra, seppure basilari e semplici come concentrarsi su un particolare obiettivo per volta, assumono dunque un certo senso quando ci si trova nella possibilità di appostarci dietro diverse coperture a livelli differenti, spostandoci spesso da un punto ad un altro. Allo stesso modo, c'è da dire che anche i nemici tentano l'avvicinamento in maniere diverse, senza lesinare su granate e anche particolari tipologie di assalto "alla baionetta" che costringono a volte a scontri corpo a corpo. Nulla di particolarmente irresistibile al livello di difficoltà medio, ma alzando questo la sfida diventa sicuramente stimolante. Altra introduzione peculiare è la presenza costante e pervasiva della sabbia. L'elemento, inizialmente sottovalutato ma divenuto poi un vero e proprio cataclisma che ha portato al collasso di Dubai si ritrova come parte integrante del paesaggio, scenario mutevole e minaccioso ma in certi casi anche vantaggioso e piegabile ai propri scopi. In vari momenti è possibile infatti distruggere pareti o soffitti di vetro per far entrare grandi ammassi di sabbia che possono in tal modo cadere sui nemici e concludere uno scontro con un gran risparmio di munizioni. L'idea è interessante i punti in cui viene implementata si risolvono in scene spettacolari, ma si tratta di momenti fortemente prestabiliti, classicamente scriptati, che non rendono proprio l'idea di soluzioni alternative sempre alla portata di mano. All'interno di un'attenta regia rientrano anche le spettacolari tempeste di sabbia, che periodicamente si alzano su Dubai e all'interno delle quali diventa praticamente impossibile orientarsi, dare ordini alla squadra e colpire in maniera precisa il nemico.

La sottile linea d'ombra

Sono episodi fortemente scenografici, durante i quali la sopravvivenza si complica ulteriormente e l'obiettivo principale diventa trovare un riparo il prima possibile. In maniera simile, l'altra grande introduzione del team, ovvero la possibilità di effettuare alcune scelte di ordine morale nel corso della storia, risulta parzialmente azzoppata da una certa mancanza di spessore ai fini della trama e della struttura di gioco, ma bisogna anche considerare il contesto generale dello sparatutto, che difficilmente consente evoluzioni tanto stratificate. Veniamo messi davanti ad alcune situazioni emotivamente coinvolgenti, con la possibilità di scegliere della vita di alcuni individui o se fidarsi o meno di personaggi incontrati lungo il cammino. Il confine classico tra la scelta "buona" e quella "cattiva" sfuma in una perdita di punti di riferimento, a cui fanno eco i commenti dei commilitoni che non risparmiano aspre critiche sul nostro comportamento e la cosa solleva perplessità, ci pone di fronte a scelte e valutazioni di una profondità che difficilmente troviamo in uno sparatutto. Il tutto si risolve poi in pochi bivi effettivi che in ogni caso non cambiano considerevolmente la storia nel suo complesso, ma il tentativo è certamente ammirevole e godibile.

Story-driven war

Una Campagna così solida e strutturata, sebbene non eccessivamente lunga (si mantiene all'interno delle 10 ore al suo primo passaggio), rappresenta ovviamente il fulcro dell'offerta ludica di Spec Ops: The Line, che nel suo essere così profondamente guidato dalla narrazione e dalla figura particolare del personaggio principale esclude di conseguenza la presenza di altri giocatori all'interno di questa modalità. Risulta piuttosto strano peraltro che gli sviluppatori non abbiano inserito la possibilità di giocarla in multiplayer cooperativo, vista la presenza costante dei due compagni di squadra della pattuglia Delta.

La sottile linea d'ombra

A questa sovrastruttura narrativa concorrono anche gli oggetti da raccogliere disseminati per i livelli. Invece di essere semplici extra per i maniaci del completamento e degli obiettivi sbloccabili, gli oggetti si portano dietro ognuno un piccolo frammento di racconto, a volte in prima persona da parte del protagonista, in altri casi come registrazione e testimonianza da parte di altri personaggi, concorrendo ad una ricostruzione del background e ad una narrazione corale simile per certi versi a quella vista in Bioshock con i suoi nastri registrati. All'interno di una disposizione prevalentemente "story-driven", il multiplayer rappresenta un comparto nettamente separato dall'esperienza della Campagna. Le modalità di gioco sono quelle classiche, accademiche: deathmatch, deathmatch a squadre e opzioni più complesse da sbloccare, come missioni ad obiettivi in multiplayer, ponendo dunque interessanti elementi di progressione al di là dell'aumento d'esperienza di scontro in scontro che consente di specializzare e customizzare il proprio combattente. Il comparto si difende bene, proponendo uno stile misto tra Gears of War ed elementi tattici (riprendendo in sostanza gli esempi della struttura di base) che funziona e diverte, ma rispetto alla solidità della Campagna, così strettamente connessa con il sostrato narrativo, appare come un'aggiunta imposta, inserita a causa delle imperanti esigenze di mercato. Non è certamente un male, ma stenta un po' a trovare una sua identità in un mercato affollato che, sul fronte multiplayer, può offrire scelte migliori.

Obiettivi Xbox 360

50 obiettivi per 1000 punti rappresentano il classico bottino da raccogliere all'interno del gioco. La maggior parte degli achievement è dislocata all'interno della Campagna in singolo, con alcuni di questi legati alla progressione nella storia, e in un certo senso obbligati, e molti altri ottenibili invece solo attraverso particolari performance in battaglia. Una parte più piccola è riservata alle modalità multiplayer, dunque la caccia grossa è aperta soprattutto sul fronte del single player. La maggior parte dei punti si raccoglie comunque con un impegno non eccessivo, sebbene il bottino completo richieda un certo impegno.

Sole implacabile

Anche questo titolo Yager rientra nella enorme dinastia dei figli dell'Unreal Engine, eppure la discendenza non è così palese come in molti altri giochi. Certo, gli effetti e le texture sono riconducibili facilmente al repertorio classico del motore grafico Epic, ma nel complesso gli sviluppatori tedeschi sono riusciti a costruire un'ambientazione originale, che anche per i suoi elementi decisamente atipici difficilmente rientra nel calderone del già visto e del derivativo. Il sole implacabile pervade la scena all'interno degli ampi spazi aperti e crea forti contrasti all'interno delle strutture fatiscenti, con lame di luce, ombre tagliate ed effetti di abbagliamento nei passaggi dagli oscuri interni alle fasi aperte. Il continuo entrare ed uscire dalle strutture, nonché lo stato di abbandono e distruzione di queste, crea una sorta di continuità dell'ambientazione tra gli spazi aperti e quelli chiusi, cosa che contribuisce a non cristallizzare l'azione e proporre invece passaggi continui da battaglie a corto raggio ad altre di ampio respiro. L'effetto strano che colpisce quando ci si affaccia alle finestre, o ci si trova sul baratro di un enorme canyon di sabbia che una volta poteva essere una trafficata strada di Dubai, con le vette dei grattacieli che spuntano dalla sabbia e tutta la loro estensione che sprofonda nel fossato, è veramente qualcosa di particolare, che crea una sensazione di straniamento tipica delle scenografie fantastiche o fantascientifiche ma rimanendo in qualche modo ancorata alla realtà attuale, mostrando quella che potrebbe essere una realtà alternativa, catastrofica ma svincolata dalla classica iconografia di genere codificata da disaster movies o simili.

La sottile linea d'ombra

Per non parlare dell'effetto disorientante che causa il progressivo oscurarsi dei toni della storia che si riflette in alcuni momenti veramente inquietanti, a cui difficilmente un gioco di stampo militare-realistico può giungere. Notevole anche il contrasto stridente che si crea tra la miseria in cui sono costretti a vivere i sopravvissuti e le tracce ancora evidenti dell'opulenza barocca di certi interni in disfacimento. Nel dettaglio si nota una qualità altalenante della grafica in alcuni casi, con cadute di stile occasionali per quanto riguarda la qualità delle texture o la gestione delle luci, in certi casi legata anche a certe idiosincrasie intrinseche dell'Unreal Engine, tra le quali si può annoverare una certa staticità degli scenari che offrono interazioni limitate, predisposte e a volte scriptate come nel caso del ricorso alla sabbia accumulata sulle superfici da riversare addosso ai nemici. Notevole la colonna sonora, che propone brani di rock più o meno progressivo, tendenzialmente 70s recuperando anche qui l'atmosfera in stile Apocalypse Now con scelte non banali. Il doppiaggio è interamente localizzato in italiano con ottimi risultati.

Conclusioni

Versione testata: Xbox 360
Multiplayer.it
8.0
Lettori (171)
8.5
Il tuo voto

Spec Ops: The Line, come sembra voler dire lo stesso, strano titolo, si muove su una linea, in bilico tra la minaccia costante dell'anonimato dato da soluzioni di gameplay note e un po' trite e la proposta di qualcosa di veramente diverso. Una linea sinuosa che ci porta in ogni caso a vivere un'esperienza videoludica che difficilmente risulta banale e dimenticabile, soprattutto grazie all'ambientazione e alla storia, volendo sovradimensionata rispetto alle normali caratteristiche di un TPS, ma che proprio per questo diventa un elemento caratterizzante, seppure non eccessivamente rifinito. Per il resto c'è poco di nuovo sotto il sole accecante di Dubai dal punto di vista del gameplay. Spec Ops: The Line è comunque un viaggio strano e interessante, in certi momenti memorabile, non troppo audace nei contenuti ma genuinamente improntato su una visione non banale dello sparatutto.

PRO

  • Ambientazione e storia
  • Sistema di combattimento fluido e dinamico
  • Elementi di originalità evidenti nel comparto narrativo

CONTRO

  • Nulla di particolarmente nuovo in termini di gameplay
  • Multiplayer funzionale ma che non si solleva sulla concorrenza
  • Una maggiore incisività delle scelte sulla storia sarebbe stata auspicabile