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Game of the Year, la recensione del primo documentario italiano sul mondo dei videogiochi

La recensione di Game of the Year, il primo documentario italiano dedicato all'industria dei videogiochi che mescola sviluppo e fenomeni internet.

RECENSIONE di Simone Tagliaferri   —   08/06/2021

Game of the Year di Alessandro Redaelli nasce da un tentativo nobile: raccontare il mondo dei videogiochi italiano a tutto tondo, coinvolgendo la scena dello sviluppo indipendente e quelle di giocatori professionisti, streamer e youtuber. Con un linguaggio asciutto, ma a suo modo empatico verso i soggetti che ha scelto di mettere in scena, con il punto di vista dell'autore che emerge in modo chiarissimo in diverse sequenze, ad esempio quando sovrappone la telecronaca di una vittoria di Riccardo "Reynor" Romiti, uno dei giocatori professionisti di StarCraft II più forti del mondo, alle immagini dell'autobus guidato da Simone "NoCS" Rosi, dopo la chiusura del suo team di Rainbow Six: Siege, causata dell'arresto dell'allenatore, Redaelli prova a raccontare le difficoltà delle carriere dei videogiochi nel nostro paese, puntando l'occhio sui sogni, sui tentativi reiterati, sulla passione, sui successi e spesso sui fallimenti incarnati dai protagonisti che hanno accettato di partecipare alla realizzazione del documentario.

Scopriamo questo interessante progetto nella nostra recensione del documentario Game of the Year.

Le storie

Game of the Year è un documentario fatto di un patchwork di storie diverse
Game of the Year è un documentario fatto di un patchwork di storie diverse

Ci sono Alena "CiaoMia" Zueva e suo marito Alessandro Allocco, che tentano, chi da streamer e chi da manager, di trasformare la prima in una star di Twitch e il secondo in un manager di streamer professionisti. C'è il già citato Riccardo "Reynor" Romiti, che a 16-17 anni è riuscito a qualificarsi per i mondiali coreani di StarCraft II, a vincere il premio di Best Esport Player agli IGV 2019 e a entrare in un team francese di giocatori professionisti, lanciando definitivamente la sua carriera, grazie anche allo splendido supporto della sua famiglia. C'è Michele "Sabaku No Maiku" Poggi, simbolo degli youtuber che ce l'hanno fatta, con i suoi più di 300.000 seguaci, che firma autografi alle fiere e appare come una specie di santone del settore. C'è Mattia "Attrix" Attrice, streamer di grande successo, tra i primi in Italia e ci sono diversi sviluppatori, come Simone Granata e Davide Isimbaldi di Kibou (Timothy and the Mysterious Forest, Blood Opera Crescendo), Matteo Corradini e Diego Sacchetti di Morbidware (The Textorcist: The Story of Ray Bibbia) e Giuseppe Mancini e Francesca Zacchia di Yonder (Red Rope: Don't Fall Behind, Circle of Sumo e il prossimo Hell is Others). Infine c'è Simone "NoCS" Rosi, della cui storia abbiamo già accennato.

Un patchwork di varia umanità

Attrix è uno dei 'personaggi' del documentario
Attrix è uno dei "personaggi" del documentario

Complessivamente si tratta di un bell'affresco, più un patchwork in realtà, fatto di scene di vita quotidiana, di sequenze in cui viene ripreso il lavoro dei vari protagonisti, di interviste in cui l'intensità drammatica dei vari interventi viene modulata tramite i piani delle inquadrature, di momenti registrati durante gli eventi di settore (fiere, manifestazioni, tornei e quant'altro) in cui entra in scena anche il pubblico adorante i suoi nuovi eroi, ma che ignora chi non ce l'ha ancora fatta. Se guardiamo Game of the Year dal punto di vista umano, si tratta di un racconto che funziona, per quanto espresso con una grammatica filmica convenzionale, perché, appunto, mette in scena dei frammenti di vita incorniciati dentro a un'industria troppo spesso presentata come fatta di soli lustrini e divertimento, ma che nasconde moltissimi drammi, grandi o piccoli che siano; una versione casereccia dell'industria dello spettacolo novecentesca in cui la quotidianità diventa set e prigione e il rapporto con il pubblico diventa unicamente autoreferenziale.

Domande appese

Cosa lega, sviluppatori, giocatori professionisti e star del web? Game of the Years non si pone il problema.
Cosa lega, sviluppatori, giocatori professionisti e star del web? Game of the Years non si pone il problema.

Ciò che l'opera di Raedelli non è, è il racconto del sistema "industria dei videogiochi" in Italia, che rimane per la gran parte fuori campo, con le sue virtù (poche) e le sue storture. Se la funzione drammatica di tutti i protagonisti è chiara, manca però il loro posizionamento in un contesto più ampio e organico, che spieghi le dinamiche del perché del verificarsi di certe situazioni e del permanere di certe condizioni. Probabilmente chi ha scritto il documentario ha voluto concentrarsi sugli altri aspetti, già ricordati, magnificando la passione e la creatività dei coinvolti, privandoli però del loro ruolo reale, al di là di una mitizzazione dello sforzo individuale che spiega tutto e niente.

Così se le singole storie appaiono sicuramente belle, con alcune sequenze particolarmente efficaci, come la chiusura sulle vicende degli sviluppatori di Kibou, che mostra una nuova, sofferta partenza verso l'ennesimo evento alla ricerca di un editore interessato a pubblicare i loro giochi. È l'insieme che non sembra mai amalgamarsi davvero, lì dove uno spettatore generico potrebbe arrivare a chiedersi cosa leghi sviluppatori, streamer e giocatori professionisti e qual è il senso di affiancare la fatica di alcuni team di sviluppo nostrani per stare (o entrare) nel mercato dei videogiochi, con le glorie o i fallimenti dei giocatori professionisti, che fruiscono di titoli realizzati da multinazionali che allocano sulla produzione e il mantenimento dei singoli prodotti cifre che gli sviluppatori italiani sommati tutti insieme non vedono in un intero anno.

La folla di uno degli eventi mostrati nel documentario
La folla di uno degli eventi mostrati nel documentario

Che ruolo hanno piattaforme web come Twitch e YouTube in tutto questo? Come si incastrano nell'industria? Come influenzano gli studi di sviluppo rappresentati? E ancora: cosa lega la scena dei giocatori professionisti a quella degli streamer? Sono tutte domande che rimangono appese, perché nessuno sembra avere il coraggio di farle, con lo sguardo del regista che non riesce a legare i vari fenomeni se non all'interno di dicotomie molto elementari, come successo / fallimento o passione / interesse.

Conclusioni

Multiplayer.it

6.0

Game of the Year non è un brutto lavoro, ma ha il grande difetto di non riuscire a rendere il suo soggetto in modo convincente, a parte per alcuni aspetti, quelli più emotivi, che però sono quelli meno indicativi delle cause profonde che conducono ad alcune delle storie raccontate. Vale la pena guardarlo, perché nel nostro panorama cinematografico è comunque un unicum, ma non aspettatevi niente di rivelatorio o di troppo profondo.

PRO

  • Alcune delle storie raccontate
  • Il lato emotivo e passionale del mondo dei videogiochi c'è

CONTRO

  • Manca una visione strutturale dell'industria