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Recensione Project Zero 2: Crimson Butterfly

Basteranno una macchina fotografica e due fragili gemelle a risollevare un genere in piena crisi creativa? Tecmo sfodera il secondo capitolo della sua serie di survival horror, Project Zero 2, che arriva su Xbox dopo l'esordio su PS2. Si può ancora avere paura del buio?

RECENSIONE di Andrea Palmisano   —   03/02/2005
Recensione Project Zero 2: Crimson Butterfly
Recensione Project Zero 2: Crimson Butterfly

L'orrore in una foto

In realtà, i punti di contatto tra il primo ed il secondo Project Zero sono davvero ridotti all’osso: fatta eccezione, ovviamente, per il medesimo genere di appartenenza, l’unico reale aspetto in comune va ricercato nello strumento principale a disposizione della protagonista, ovvero una vetusta e fatiscente macchina fotografica chiamata Camera Oscura. Niente fucili a pompa, lanciarazzi, mitra, uzi, desert eagle e via dicendo: sotto questo punto di vista, l’approccio adottato dai programmatori di Tecmo è senza dubbio originale, oltre a rappresentare un contributo fondamentale nel donare al titolo l’atmosfera di cui dispone. La trama ruota attorno alle gemelle Mio e Mayu e alla loro scoperta, durante una passeggiata nel bosco, di un villaggio di cui in realtà non si era trovata più traccia, molti anni prima, dopo una misteriosa cerimonia notturna a cui tutti gli abitanti avevano preso parte. Ovviamente si tratta solo dell’incipit alle vicende che da lì in poi travolgeranno le povere sorelle, intrappolate tra i confini dell’agglomerato di inquietanti case attraversate da bui viali e, soprattutto, popolate da terribili spettri. Appare evidente fin dai primi istanti di gioco, che i designer nipponici abbiano preferito concentrare la loro attenzione su trama, grafica e sonoro, poggiandosi al contrario sulle fondamenta di un gameplay estremamente classico e privo di particolari spunti creativi. Esattamente come nella più consolidata tradizione del genere infatti, Project Zero 2 propone al giocatore fasi esplorative di abitazioni ed esterni, limitatissima interazione coi fondali, combattimenti e semplici enigmi mescolati sì con cura, ma difficilmente destinati a sorprendere l’utente anche solo parziale conoscitore del filone a cui il gioco appartiene. In realtà l’utilizzo della già citata macchina fotografica, di fatto unica arma disponibile, si rivela un elemento –l’unico- capace di distinguere la meccanica della produzione Tecmo dalla massa dei suoi simili. Portando lo strumento al viso infatti, la visuale passa in prima persona, con tanto di diverso sistema di controllo, simile ad un fps. Malgrado sulla carta tutto ciò possa sembrare una forzatura, in realtà l’idea funziona egregiamente, consentendo un approccio alle fasi di combattimento stimolante e apprezzabile. Scattando una foto ad uno spettro, se ne intacca infatti la barra vitale, in una quantità variabile e relativa a diversi fattori: distanza dal soggetto, utilizzo di film a minore o maggiore potere esorcizzante, adozione di power-up o colpi speciali, nonché combo. L’utilizzo della visuale in prima persona è fondamentale non solo per eliminare i nemici, ma anche per osservare in completa libertà le ambientazioni, risolvere alcuni enigmi e magari scovare i fantasmi nascosti o sfuggenti.

Recensione Project Zero 2: Crimson Butterfly
Recensione Project Zero 2: Crimson Butterfly

Solo per un pubblico maturo

Ma dove realmente Project Zero 2 eccelle è nella trama, nell’atmosfera e nel coinvolgimento che è in grado di offrire. Andando a richiamare filmografia, tradizione e letteratura, la narrazione del titolo Tecmo si dipana lentamente in maniera perfetta, ingoiando il giocatore in un clima di sincera e reale angoscia da cui è davvero arduo fuggire. La sensazione opprimente di attraversare un villaggio maledetto è stata ricreata alla perfezione, così come il rapporto tra le due gemelle che si delinea come ben diverso e più complesso di quanto non appaia all’inizio. Ma una sceneggiatura ottima rischierebbe di passare inosservata se non supportata da un impianto tecnico degno del suo livello. Fortunatamente, la fatica dei programmatori nipponici rappresenta uno delle più riuscite espressioni del genere survival horror, forte di una grafica ed un sonoro di altissimo impatto. Per quanto riguarda la componente estetica, l’unico reale appunto che è possibile sollevare va ricercato nelle non del tutto convincenti animazioni delle protagoniste, a tratti legnose e piuttosto slegate tra loro. Fatta eccezione però per questo dettaglio, il resto della produzione Tecmo si rivela un vero e proprio piacere per gli occhi, sotto praticamente ogni punto di vista. Le ambientazioni, soprattutto per quanto riguarda gli interni delle abitazioni, sono infatti estremamente dettagliate, ricchissime di particolari, splendidamente ricreate e, soprattutto, estremamente d’effetto nel offrire un papabile senso di oppressione, se non vera e propria claustrofobia. La modellazione dei personaggi, così come degli spettri, è assolutamente eccezionale; stesso dicasi per la maggior parte delle texture e l’illuminazione, mentre i filmati in computer grafica sono tra i migliori in assoluto che abbiamo avuto il piacere di vedere. Un plauso particolare, e chi conosce realmente il genere sa quanto sia importante, va sicuramente fatto alla gestione delle inquadrature: eccezion fatta per una manciata di occasioni confusionarie, la stragrande maggioranza delle volte la telecamera virtuale è piazzata in maniera perfetta, riuscendo ad esaltare la drammaticità di alcuni passaggi con stacchi o scorci semplicemente da applausi. Su altissimi livelli anche la componente sonora, sia per quanto riguarda il doppiaggio che gli effetti; in particolare, alcuni suoni di sottofondo riescono ad essere già sufficienti a far contrarre i muscoli al giocatore, perennemente sotto tensione emotiva. La longevità, già di per sé più che valida per quanto riguarda l’avventura principale, viene ulteriormente incrementata da tutta una serie di extra in grado davvero di giustificare un secondo “passaggio”. Se a ciò aggiungiamo una cospicua modalità “Missione”, caratterizzata da brevi sessioni con obiettivi da completare nel minor tempo possibile, ciò che ne risulta è nel complesso senza dubbio uno dei migliori giochi di questo 2005 europeo, soprattutto su Xbox dove manca il gioiello Resident Evil.

Recensione Project Zero 2: Crimson Butterfly
Recensione Project Zero 2: Crimson Butterfly

Commento

Project Zero 2 è un titolo che non ha nessun intento rivoluzionario, al contrario del capolavoro Resident Evil 4 su Cubo. Il titolo Tecmo si prefigge altresì di adottare una meccanica classica, solo parzialmente rinnovata da un sistema di combattimento originale, puntando tutto su un aspetto tecnico di primissimo piano ed una trama di indiscutibile valore. Il risultato è uno dei migliori survival horror “classici” di sempre, capace di trasmettere un senso di angoscia e terrore nel giocatore come solo pochi altri titoli sono stati in grado di fare. Un acquisto quindi d’obbligo per ogni amante del genere, a maggior ragione vista la fase di stanca che questo apprezzato filone sta attraversando. Per i possessori di Xbox l'acquisto è ancora più consigliato, data la totale mancanza della saga made in Capcom.

Dalla Ps2 a Xbox

Project Zero 2: Crimson Butterfly arriva in Italia distribuito da Microsoft. La versione Xbox è sostanzialmente indentica a quella già uscita su PS2, tolta una maggiore pulizia grafica che però non cambia il giudizio sull'aspetto cosmetico già molto buono. Si può ora scegliere di giocare sempre in prima persona, senza dover passare per l'inquadratura in terza quando non si combatte ed è stato aggiunto un survival mode. In pratica si deve sopravvivere in un'arena nella quale si viene assaliti da una sequela interminabile di fantasmi. Un buon bonus, ma che non aggiunge niente di sostanziale al già ottimo gioco.

In grande auge solo alcuni anni fa, è innegabile che i survival horror abbiano negli ultimi mesi accusato un periodo di crisi, o semplicemente di flessione creativa, che ha determinato la rapida e semi-totale scomparsa del genere dagli scaffali dei negozi di tutto il mondo. D’altra parte è indiscutibile che giocare ad uno degli ultimi figli o figliastri di Resident Evil –ma sarebbe meglio dire di Alone in the Dark- rappresentasse un’esperienza estremamente meno coinvolgente e stimolante, vittima come era di un riciclo di idee e situazioni che lo privava di uno degli elementi fondamentali: l’effetto sorpresa. Esattamente come di fronte ad un film horror, giocare ad un titolo di tale filone subodorando più o meno chiaramente ogni colpo di scena o twist della trama, riduce il tutto ad un avvenimento destinato a durare nella memoria dell’utente davvero poco a lungo. Non a caso il principale artefice del boom del genere, Shinji Mikami, ha deciso di dare una sferzata praticamente rivoluzionaria alla sua serie più famosa –Resident Evil-, ideando un quarto capitolo lontanissimo dagli episodi precedenti. Evidentemente non ancora decisa a recitare l’epitaffio funebre del survival horror “vecchia maniera”, Tecmo ha deciso di realizzare il sequel dell’apprezzato Project Zero, titolo uscito un paio di anni fa e capace all’epoca di ottenere un buon successo di critica e pubblico.