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Sekiro: Shadows Die Twice, la recensione

La recensione di Sekiro: Shadows Die Twice, ultima creatura di From Software che abbiamo spolpato fino al midollo. Il gioco ha fatto lo stesso con noi.

RECENSIONE di Aligi Comandini   —   25/03/2019

Hidetaka Miyazaki è un tipo schivo. Non fissa praticamente mai chi lo intervista negli occhi, ma corre con lo sguardo altrove, osservando con fare nervoso gli angoli della stanza in cui si trova e dando costantemente l'impressione di pensare ad altro. Quest'uomo dal fare impacciato e dal volto buono, tuttavia, è con ogni probabilità la dimostrazione vivente di quanto le teorie di Lombroso fossero enormi baggianate (escludendo forse i soli collegamenti tra genio e follia): dalla sua mente sono usciti titoli il cui immaginario farebbe a tratti trasalire il più disturbato tra gli individui, e il tutto all'interno di strutture ancor più contorte dei mondi dove tale visione si sviluppa.

Sarà forse proprio per questo che l'arrivo di Sekiro: Shadows Die Twice ha sorpreso un po' tutti, e fatto nascere qualche spiacevole borbottio internettiano di troppo: un titolo ambientato nel Giappone feudale con un ninja come protagonista sembrava troppo semplice per uno come il buon Hidetaka e per i From Software, tanto da aver fatto pensare a un ruolo secondario, o addirittura a una direzione di nome ma non di fatto, affidata in realtà a qualcun altro all'interno del noto team di sviluppo. Beh, dopo decine di ore passate su questo gioco, innumerevoli morti, e più di un'esperienza difficilmente descrivibile, possiamo assicurarvi che le voci erano totalmente infondate. Sekiro è un gioco che porta con orgoglio la firma di Hidetaka Miyazaki, e rispetta tutti i canoni che ormai ci si potrebbe aspettare da un'opera di From Software, con però una lunga lista di enormi differenze che lo porta a distaccarsi sensibilmente dal sottoinsieme dei "Souls" come viene comunemente inteso. Vogliamo spiegarvi perché tutto ciò è un gran bene in questa recensione, ma anche mettervi in guardia, perché il videogame di cui stiamo parlando non è un animale mansueto, né dal pedigree totalmente impeccabile.

Una storia circondata dalla nebbia

Chiunque decida di affrontare Sekiro: Shadows Die Twice troverà ad attenderlo un'esperienza nutrita dagli stessi minerali che danno sostentamento a tutte le altre opere di From. La cifra stilistica della software house e del director è immediatamente riconoscibile, e un enorme numero di sovrastrutture sono identiche riproposizioni di idee già sperimentate con i Souls, a partire da una narrativa ambientale di enorme complessità che va accuratamente esplorata, analizzata e ricostruita per essere apprezzata appieno. Se però da una parte il gioco mantiene ancora gran parte degli elementi più interessanti del suo background nascosti, lo stesso non si può dire della trama principale, che mai è stata così chiara in un lavoro di Miyazaki (lui stesso ha spiegato di aver finalmente dato ai suoi sviluppatori tutti gli elementi della storia durante lo sviluppo, laddove nelle precedenti opere tendeva a tenere parzialmente all'oscuro persino loro). Ed è appunto una vicenda piacevole quella di Sekiro, che vi vede nei panni di un abile e taciturno shinobi al servizio di un giovane signore dotato di un misterioso potere; solo che non ci vuole molto prima che le tematiche si facciano più crude, e ciò che sembrava una lineare epica ricca di battaglie si trasformi in qualcosa di più cupo e sfaccettato.

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Si vede, insomma, nelle avventure del Lupo e di Kuro, una forte influenza legata ad alcuni grandi manga seinen - Basilisk e L'Immortale su tutti, ma non sono chiaramente gli unici - e alle tematiche più amate dal suo autore, dal potere del sangue all'orrida trasfigurazione dell'uomo alla ricerca del potere assoluto. Ogni evento quindi scorre con un ottimo ritmo, e la trama generale viene arricchita dalla presenza di ben quattro diversi finali (alcuni dei quali piuttosto ostici da ottenere), e dalla maniacale ricercatezza dell'ambientazione: un Giappone in piena era Sengoku completamente "revisionata" in chiave dark fantasy. Quello di Sekiro è ancora una volta un mondo meravigliosamente ricco e degno di essere sviscerato, che a volte tocca persino le vette raggiunte con Bloodborne, pur risultando leggermente meno affascinante per via della sua maggior chiarezza.

Ferro su ferro

Non sta solo nell'approccio narrativo però la diversificazione di questo gioco da ciò che lo ha preceduto. Sekiro: Shadows Die Twice mette infatti in chiaro subito di non essere un soulslike, grazie ad una fase tutorial argutamente costruita per far assorbire al giocatore tutte le novità principali, e permettergli di apprendere gradualmente il sistema e le sue complessità. Già dalle prime battute, ad esempio, avrete la possibilità di nuotare e saltare liberamente, mentre l'assenza di armi non vi spingerà alla disperata ricerca di uno strumento di morte con cui difendervi, bensì all'utilizzo dello stealth per evitare i nemici e ascoltare i loro discorsi (spesso ricchi di importanti indizi) dalla relativa sicurezza dell'ombra. La via del ninja silenzioso non è però il fulcro di questo titolo, nonostante la sua importanza sia innegabile e legata a doppio filo al modo in cui sono gestite certe situazioni; è il sistema di combattimento l'elemento centrale della produzione: un insieme di meccaniche accuratamente mescolate che cambia enormemente l'approccio del giocatore ai pericoli, e costringe a scartare buona parte delle abitudini acquisite dai Souls.

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In Sekiro non c'è stamina ma, nonostante la notevole velocità di spostamento del vostro alter ego, tentare di approcciarsi al gioco come se si trattasse di una versione nipponica di Bloodborne rappresenta un sicuro suicidio. Il cuore pulsante dell'intero sistema è infatti la parata, poiché Sekiro affianca alle barre dei punti vita un ulteriore indicatore dedicato alla "postura", e basa la stragrande maggioranza dei suoi combattimenti più complessi attorno ad essa. Trattasi, più nel dettaglio, di una barra che indica la rottura della guardia come quelle che si trovano in molti picchiaduro; curiosamente, peraltro, Sekiro proprio da questo genere assorbe la sua meccanica difensiva più utile, che altro non è se non una parry perfetta qui definita "deviazione". Per fare chiarezza: chiunque venga colpito durante l'animazione di guardia vedrà la sua postura alzarsi, indipendentemente dal fatto che si tratti di voi o di un vostro nemico (e i nemici umanoidi tendono a parare quasi ogni colpo frontale); il riempimento completo della barra comporta uno sbilanciamento, che permette di eseguire un colpo di grazia sull'avversario ed eliminarlo all'istante. La gestione perfetta delle suddette parate è la chiave degli scontri, poiché mantenersi in difesa costantemente rende vulnerabili, ma premere il tasto della guardia nell'istante in cui si viene colpiti no, e porta il proprio indicatore della postura a rimanere stabile mentre quello dell'avversario si riempie. Tutto questo ovviamente viene accompagnato dalla presenza di numerosi miniboss e boss con barre multiple dei punti vita, i cui pattern vanno memorizzati e contrastati alla perfezione, e di una lunga serie di tecniche e trovate brillanti che offrono molteplici opzioni in battaglia.

I tanti mezzi del ninja

La schivata, in Sekiro: Shadows Die Twice, semplicemente non rappresenta il fulcro delle meccaniche difensive. Posizionamento e perfetta coordinazione delle manovre offensive e delle parry sono più importanti di un balzo al momento giusto, per via di un marcato tracking dei colpi avversari, che non permette di evitare tutto con scatterelli laterali continui (ovviamente la cosa è pensata proprio per favorire le altre manovre difensive). Schivate e salti restano sempre estremamente significativi, ad ogni modo, per via di manovre specifiche dei nemici - comodamente indicate da un simbolo rosso al momento della partenza - che spesso possono venir solo evitate, o contrastate con una manovra apprendibile chiamata "Mikiri" pensata per spostare un affondo nemico se gli si schiva addosso al momento del suo attacco. Come meccaniche difensive, pertanto, la complessità non manca di certo al nuovo pargolo di From Software... quando si passa all'offesa tuttavia non ci si trova certo a secco di trovate interessanti, nonostante la scelta degli sviluppatori di offrire al Lupo una katana base che resta l'arma primaria per tutto lo svolgersi del gioco.

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In Sekiro: Shadows Die Twice, la varietà delle armi trasformabili o dei semplici moveset del passato la dovrete stavolta ricercare nel vostro braccio meccanico, uno strumento di incredibile flessibilità, dove i From hanno riversato gran parte della varietà offensiva del sistema di combattimento. In pratica la Protesi Shinobi (così si chiama), permette di montare gadget particolarmente unici, che richiedono il consumo di simboli facilmente reperibili (ma limitati) e offrono ogni genere di amenità in combattimento, dalle fiammate agli shuriken, fino ad arrivare ad altre sorprese che non vogliamo svelarvi. Il bello è che tutti questi strumenti possono in seguito venir potenziati e modificati dallo scultore che vi ha donato il braccio, diventano scelte equipaggiabili a parte, e offrono effetti variabili contro cui certi nemici risultano particolarmente vulnerabili. Un concept quasi zeldiano, che però noi abbiamo interpretato come l'unico collegamento alla lontana ai Tenchu (la serie di cui in teoria Sekiro doveva inizialmente far parte) rimasto in questo prodotto: come in quella storica serie di stealth game preparazione e uso oculato degli strumenti portavano ad enormi facilitazioni di livelli in caso contrario estremamente ostici, qui sfruttare i gadget giusti al momento giusto può fare la differenza, e garantire il superamento di avversari che inizialmente paiono insormontabili. Considerata la difficoltà mostruosa del gioco, è davvero il caso di tenere altamente in considerazione questi fattori.

Difficoltà ultra hard: Git gud

Non stiamo esagerando nel definire "mostruosa" la difficoltà di Sekiro: Shadows Die Twice. Con questo titolo i From Software sembrano aver mostrato la loro vera faccia, ed è un volto austero e inamovibile, che fissa il giocatore con aria di sfida. Persino i Souls, che a cattiveria stavano già più che ben messi, impallidiscono dinnanzi a questo videogame, poiché le avventure del Lupo non offrono semplificazioni, e le possibilità di aggirare la difficoltà dipendono solo dal vostro ingegno, non arrivando mai realmente ad annullarla. Qui non c'è cooperativa, nessuno può accompagnarvi contro un boss, e non è nemmeno possibile puntare tutto sull'esperienza e il potenziamento del protagonista, poiché il gioco è un action con elementi GDR molto meno marcati, e la crescita delle statistiche dipende solo da due tipologie di oggetti ottenibili sconfiggendo proprio i boss (e alle volte, di rado, in mappe piuttosto nascoste). I punti abilità e il denaro che si ottengono eliminando nemici a raffica aiutano ovviamente, eppure permettono in primis di ottenere migliorie alle protesi (che richiedono materiali piuttosto rari per le modifiche più devastanti) o tecniche che necessitano comunque di venir padroneggiate per risultare realmente efficaci (qualche passiva c'è, ma riguarda per lo più la validità delle cure e la potenza delle tecniche appena citate). Morirete, e persino i migliori veterani dei Souls non verranno esentati da costanti visite al creatore.

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Per sottolineare ancora di più l'anima demoniaca di Sekiro: Shadows Die Twice, a From hanno poi pensato bene di rendere tutti i boss dei mostri di danno, nella maggior parte dei casi in grado di eliminare il giocatore con due, massimo tre colpi. Questa creatura di Miyazaki e dei suoi è quindi una brutale prova del fuoco, ed è incredibile constatare fino a che punto, una volta rigiocato da capo, riesca a cambiare l'intera mentalità di chi lo affronta, trasformando avversari che prima sembravano invincibili in sfide quasi trascurabili una volta smaltito il loro impatto iniziale e allenati a dovere i propri riflessi. Per certi versi Sekiro opera in coloro che lo giocano una trasformazione simile a quella che riusciva ad applicare Demon's Souls nel periodo del lancio: cambia completamente l'approccio dell'utente ai videogiochi, costringendolo ad adattarsi con pazienza a un sistema nuovo e punitivo, ad un livello estremamente più hardcore di quanto normalmente si possa concepire in prodotti simili. L'intera campagna di gioco ha una gradualità legata a dei blocchi forzati della progressione - può essere in parte eliminata ottenendo uno specifico oggetto, ma si parla di un'alternativa incredibilmente convoluta e ottenibile solo a storia inoltrata - e non fa sconti di alcun tipo. Non esiste, detto terra terra, altro modo di avanzare che non sia osservare i comportamenti dei boss, formulare una tattica valida e applicarla alla perfezione. Sekiro: Shadows Die Twice è, in definitiva, un titolo già settato ad ultra hard, un prodotto completamente folle per il mercato moderno dei videogiochi, e pensato per essere apprezzabile quasi esclusivamente da quella nicchia di utenti che possono tollerare dozzine di fallimenti per godere di quel singolo momento di esaltazione portato dal superamento di un terribile nemico. Molti lo abbandoneranno quasi subito per questa sua crudeltà, ma è proprio tale pazzia a renderlo magnifico per chiunque altro.

Gameplay e stealth in particolare

Se il combat system è a nostro parere promosso a pieni voti, lo stesso non si può tuttavia dire di ogni singolo elemento del gameplay di Sekiro: Shadows Die Twice, e in particolare dello stealth di cui discutevamo a inizio recensione. Come già detto non si tratta certo dell'anima dell'esperienza ma è pur sempre un elemento importante, e pur funzionando alla grande come meccanica per eliminare rapidamente certi nemici ostici o facilitarsi l'esplorazione, ci è parso in generale piuttosto rozzo, troppo dedito alle uccisioni rapide, e sfruttato al minimo indispensabile. Non scherziamo, esiste solo una specifica fase del gioco dove lo stealth viene spinto al limite, durante la quale viene dimostrato senza possibilità di appello come From abbia programmato l'intelligenza artificiale dei nemici per reagire separatamente alla vista del Lupo o al rumore che provoca muovendosi sulla mappa. Eppure, mentre si vaga nel mondo e si eliminano i nemici alle spalle, questo sistema si rompe più volte per motivazioni oscure, e può capitare che un gruppo intero di guardie non reagisca all'eliminazione dei loro compagni tramite shuriken da pochi metri di distanza, o al contrario non faccia caso al vostro passaggio nelle immediate vicinanze, per poi svegliarsi magicamente quando si fa del baccano dall'altro lato della mappa. Davvero strano che, confermata l'esistenza di sistemi interni per la risposta alla vostra presenza, lo stealth sia tarato così male (e la presenza di abilità passive che lo migliorano non è purtroppo una sufficiente giustificazione). Nel complesso non rovina certo l'esperienza, ma si poteva rifinirlo maggiormente.

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Ci sono poi altre mancanze legate al gameplay, ma sono quasi patologiche nelle produzioni From, e ormai ci siamo abituati a vederle al punto da non poter fare altro che ritenerle limitazioni tecniche che la casa non ha mai capito come eliminare. Si parla al solito di problemi legati alla capacità dei nemici di colpire attraverso certi elementi delle mappe, di un comportamento non sempre affidabilissimo della telecamera, e di alcuni sbilanciamenti della difficoltà propri praticamente di ogni singolo titolo di From Software. Sekiro mantiene tutte queste magagne, ma se non altro sminuisce notevolmente quella legata alla telecamera, per via di mappe sensibilmente più estese e verticalizzate, che meglio supportano gli scontri al cardiopalma che il protagonista si trova ad affrontare di continuo. È spiacevole constatare la permanenza di queste incrinature nelle notevoli produzioni di un ormai venerato gruppo di sviluppatori, pur consapevoli di quanto sia facile ignorarle.

Siamo invece un po' più combattuti sulla gestione delle morti nel gioco: Sekiro: Shadows Die Twice perde completamente la tensione propria delle cosiddette "corpse run" dei souls, non avendo recupero di risorse alla morte, ma al contempo penalizza il giocatore con la perdita di metà di queste (metà punti esperienza di una barra non completa e del denaro, per l'esattezza), e con il lento blocco delle quest dei personaggi non giocanti attraverso il Mal di Drago, un morbo che si diffonde a forza di crepare. È una penalità più personale del solito che all'inizio crea non poca tensione, ma perde rapidamente potenza quando ci si rende conto di come non sia in grado di eliminare effettivamente i comprimari del Lupo, e possa venir curata con una certa facilità. D'altro canto, un malus ancor maggiore in un titolo già così difficoltoso sarebbe forse stato eccessivo, quindi non è il caso di lamentarsi.

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Il Giappone nascosto

Di lamentele, invece, non ne possono certo scaturire quando si analizza l'art direction del gioco, e ci si perde nella meravigliosa struttura del suo mondo. I From Software sono da sempre maestri in questi due elementi, e Sekiro: Shadows Die Twice non fa differenza, grazie a una visione distorta ma straordinariamente ispirata del Giappone del 1500, che mescola sapientemente l'immaginario buddista e la ricerca storica all'elemento fantastico ed esoterico, sfruttando lo spirito visionario di Miyazaki come perfetto collante. Tutto ciò prende vita anche grazie al lavoro favoloso degli artisti, che con un uso sapiente del colore e della loro immaginazione hanno dato vita a una mappa spaventosamente variegata, capace di spaziare facilmente dai fortini innevati dei dintorni di Ashina alla lussureggiante vegetazione del Monte Kongou, senza mai dimenticare di inserire qua e là tocchi di classe che evidenziano con finezza la pericolosità di ognuno di questi luoghi. Da un punto di vista puramente tecnico, Sekiro non è un titolo particolarmente all'avanguardia, ma il suo impatto visivo resta eccezionale grazie a questo magistrale lavoro d'insieme, e se non altro non si possono non elogiare le animazioni in toto, rese eccessive e cristalline per favorire la risposta del giocatore alle azioni nemiche, ma non qualitativamente sacrificate per questo motivo.

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Se si passa all'analisi geografica del mondo poi le gioie si accumulano, perché Shadows Die Twice non solo segue il "manuale Miyazaki delle mappe interconnesse" che tanti hanno tentato (spesso inutilmente) di imitare, ma lo porta a volte persino al livello successivo, per via di una verticalità mai vista in un titolo From prima d'ora e garantita dal salto e dalla presenza del rampino. Sia chiaro: il movimento nella mappa non è sempre completamente libero, e per mantenere la concretezza tipica delle sue location e favorire un avanzamento parzialmente lineare il team ha inserito dei "blocchi" forzati, impedendo quindi di raggiungere certe zone se non con giri abbastanza astrusi o con la sconfitta di boss particolarmente fastidiosi (al solito, finché permangono con loro resta anche una nebbia che ferma il passaggio). Superati alcuni di questi muri, però, i bivi si moltiplicano, e con essi la complessità dell'esplorazione. Se infine si conta l'aggiunta degli specchi d'acqua navigabili, Sekiro è forse il gioco From con più chicche nascoste tra le mappe; la decisione di mantenere il sistema a checkpoint e teletrasporti tipico è quindi quantomai sensata, in un prodotto dove il backtracking non solo è di gran peso, ma desiderato dal giocatore stesso. E se ancora avete dei timori, magari legati alla longevità, vi assicuriamo che non è il caso di preoccuparsi: noi abbiamo completato la prima run in una quarantina di ore di gioco, cercando di svelarne ogni segreto e passando più di qualche serata a spirare di fronte ad alcune delle boss fight più tese di questa generazione (per fare un paragone diretto, ce ne avevamo messe 22 a completare Bloodborne); il gioco non vanta certo la rigiocabilità di un Souls derivante dalla varietà delle build disponibili, ma contiene comunque subito un New Game+, non costringe a iniziarlo immediatamente dopo la conclusione, e lo gestisce con furbizia, incentrandolo sulle capacità del giocatore con alcuni ulteriori aumenti della già impressionante difficoltà. Non concluderete quest'avventura in una manciata di giorni, ve lo possiamo assicurare.

Conclusioni

Versione testata PlayStation 4
Multiplayer.it
9.0
Lettori (357)
8.8
Il tuo voto

L'esistenza di un prodotto come Sekiro: Shadows Die Twice ci lascia senza parole. Un titolo così brutalmente hardcore e fedele alla sua visione iniziale è una gemma di rarità inestimabile nel panorama, e rappresenta un curioso precedente, il cui effetto sul mercato e sui giocatori andrà studiato nei mesi a venire. L'ultima creatura di Miyazaki non è pensata per il grande pubblico: è un titolo che richiede di apprendere alla perfezione i suoi notevoli sistemi, aguzzare l'ingegno, e migliorarsi costantemente; una prova del fuoco congegnata per rappresentare un duro ostacolo anche per coloro che sono stati svezzati dai Souls. Ci risulta impossibile consigliarla a cuor leggero a tutti, poiché per moltissimi giocatori sarà semplicemente un'esperienza troppo punitiva per risultare realmente godibile. Non possiamo però penalizzarla per questo, perché nella sua particolare nicchia si tratta ancora una volta di un videogame straordinario, dotato di un sistema di combattimento brillante e di un'immaginario la cui folle lucidità ci affascina come non mai. Se non temete la difficoltà, fatelo vostro; è uno dei migliori giochi della generazione.

PRO

  • Sistema di combattimento notevole, ricco di idee brillanti
  • Boss fight numerose, e spesso spettacolari
  • Mondo di gioco esteso, ricchissimo di segreti e artisticamente magnifico
  • Notevole longevità
  • L'elevato livello di sfida sarà una manna per alcuni giocatori...

CONTRO

  • ... ma la brutalità del gioco rasenta l'incredibile nell'attuale panorama, e potrebbe scoraggiare i più
  • Le meccaniche stealth non sono particolarmente rifinite
  • Mantiene alcuni dei difetti storici dei titoli From