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Uno Strider è per sempre

A 25 anni di distanza dall'originale, torna Strider in un remake che punta a dimostrare come certi concept videoludici non invecchino

PROVATO di Giorgio Melani   —   23/01/2014

A fronte di un'evoluzione tecnologica portentosa, il mercato videoludico non sembra godere di un altrettanto rigoglioso flusso di idee innovative e il ricorso all'abbondante serbatoio di soluzioni sperimentate in passato ne è una dimostrazione palese. In una prospettiva del genere chi ha la possibilità di attingere a un catalogo glorioso e pionieristico si trova decisamente avvantaggiato, almeno dal punto di vista del richiamo su cui possono contare i titoli storici e Capcom da questo punto di vista ha un capitale notevole. Non si può dire che la casa di Osaka abbia in questi anni abusato del suo repertorio, avendo comunque sempre cercato di bilanciare le risorse tra valorizzazione di serie storiche e nuove proprietà intellettuali, ma non è facile trovare un gioco di successo degli anni 80-90 che non sia stato riproposto in qualche salsa ad ogni generazione di console.

Uno Strider è per sempre

All'interno di questo scenario, dunque, Strider rappresenta un caso piuttosto strano: uscito originariamente nel 1989, il gioco ha riscosso un grande successo e soprattutto si è impresso nell'immaginario videoludico collettivo con notevole forza, eppure non si può dire che abbia subito una sovraesposizione nel corso degli anni, avendo goduto di un solo seguito ufficiale una decina di anni dopo il capostipite e poi più nulla. L'arcade classico tutto azione e pochi fronzoli ha dimostrato di calzare a pennello all'interno dell'ambito digitale su console, eppure Strider ci ha fatto comunque aspettare fino al 2014 prima di mostrarsi di nuovo in forma attualizzata, un'attesa stranamente lunga per un titolo che comunque è rimasto in grado di smuovere gli animi di buona parte dei videogiocatori. Nel conteggio degli anni ci sono probabilmente da considerare le varie riorganizzazioni interne a Capcom che hanno portato, tra le altre cose, alla chiusura di Grin e del loro primo prototipo di remake, poi completamente ricostruito da zero in quel di Double Helix, stando a quanto riferito dal publisher. In ogni caso, l'attesa è finita e Strider è tornato, a dire il vero senza troppo clamore mediatico (cosa di per sé non certo negativa), sui nostri schermi in alta definizione.

One man army

La fedeltà all'originale si dimostra fin dai primi minuti di gioco, quando al posto della verbosa presentazione-tutorial a cui i titoli attuali ci hanno abituato assistiamo ad una brevissima sequenza d'introduzione che riprende esattamente l'inizio del primo capitolo, con Hiryu che arriva nella fredda Kazakh City a bordo di una sorta di velivolo da trasporto, per poi lanciarsi nell'azione nel giro di pochi secondi, all'interno di una riproduzione convincente delle ambientazioni e atmosfere dell'originale. L'obiettivo del giovane Strider Hiryu, come nel capostipite, è ancora la distruzione del misterioso villain Grandmaster Meio, in un'attualizzazione della meccanica in stile hack and slash a scorrimento.

Uno Strider è per sempre

L'utilizzo della grafica poligonale è qui semplicemente estetico, funzionale all'organizzazione moderna dello sviluppo ma senza connotazioni strutturali perché il gioco è un action game 2,5D, come si suole definire tale soluzione, ovvero con spostamenti su un piano bidimensionale a scorrimento e con la terza dimensione usata soltanto per dare profondità scenica all'impianto grafico, legare al meglio le animazioni e consentire zoomate ed eventuali cambi di inquadratura. L'effetto è convincente per quanto l'aspetto non risulti propriamente all'avanguardia tecnologica, ma soprattutto l'utilizzo del 3D moderno consente velocità e fluidità veramente impressionanti, amplificando il dinamismo caratteristico del gioco e l'esaltazione che ne deriva. Proprio come ci si aspetterebbe da un super-soldato inviato a combattere da solo contro un esercito, Hiryu è capace di movimenti fulminei e precisi ed è veramente un piacere controllarlo mentre salta tra le piattaforme, si arrampica su pareti e soffitti, scivola veloce e colpisce con fendenti di Cypher, la particolare spada tipica della serie, in grado di evolversi nel corso del gioco. Il fascino del pixel è difficile da rievocare con la "freddezza" dell'impianto poligonale ma il miglior legame tra animazioni, collisione tra personaggi e interazione con gli scenari, oltre al dinamismo offerto dall'inquadratura variabile, compensa l'inevitabile perdita di carisma.

Sciarpa al vento, lama fulminea e velocità: Strider è tornato, più in forma che mai

Mestridervania

L'ambito in cui si notano maggiormente gli interventi innovativi degli sviluppatori è proprio quello strutturale, con una modifica fondamentale al gameplay classico data dalla scelta di trasformarne l'impostazione nello stile "metroidvania", ampliandone le caratteristiche esplorative e approfondendo in maniera decisa il level design con l'introduzione di blocchi, back-tracking, power-up da recuperare, abilità da sfruttare per raggiungere determinate zone e dunque elementi che stimolano un approccio più ragionato all'azione. Si è persa, in buona parte, la linearità caratteristica dei livelli in favore di una mappa molto più complessa, da esplorare a fondo muovendosi a 360 gradi tra piattaforme e pareti, spesso anche dovendo rivisitare più volte le varie location. Per questo motivo la mappa dei livelli, come accade appunto in Metroid o Castlevania, rimane sempre in bella vista, attraverso un pratico sistema di auto-mapping che tiene nota degli obiettivi, oggetti speciali, passaggi ed ostacoli che si frappongono lungo il cammino.

Uno Strider è per sempre

Tra le fonti d'ispirazione di Double Helix c'è l'ottimo Shadow Complex di Chair Entertainment e l'influsso del titolo Live Arcade risulta particolarmente evidente in questo Strider, per quanto riguarda l'atmosfera caratteristica dell'uomo solo in lotta contro un regime opprimente ma anche nel ritmo di gioco che alterna velocissimi combattimenti all'esplorazione approfondita alla ricerca di passaggi strettamente dipendenti dalle diverse abilità del protagonista. Perfettamente in linea con lo stile Metroidvania, anche in questo caso viene riproposta la classica ricerca di upgrade che rendono il protagonista sempre più potente e in grado di sfruttare abilità che aprono nuove strade (aumento dell'energia, potenziamenti della spada, scivolate e salti a sfondamento che possono abbattere alcune pareti), un cliché connaturato con la struttura stessa dell'action game di questo tipo che modifica in maniera sostanziale la meccanica classica di Strider e lo trasforma in un nuovo ibrido. Legati al canone arcade sono anche gli scontri con i boss, che compaiono numerosi sul cammino di Hiryu sia in forma di sbarramento a metà livello sia nel classico scontro finale: anche in questo caso le citazioni e gli omaggi all'originale sono ben visibili, come nel caso di Ouroboros, il serpente volante meccanico tratto direttamente dal primo capitolo. I primi boss a dire il vero sembrano non essere caratterizzati da un livello di sfida altissimo, ma confidiamo nella progressione tra i livelli per trovare pane per i denti degli hardcore gamer, anche perché nel classico stile Capcom è assai probabile che i primi scontri siano solo preliminari, con possibili riapparizioni dei medesimi nemici in forma potenziata a gioco inoltrato.

Un nuovo Hiryu

Proprio l'equilibrio tra la fedeltà all'originale e le spinte innovative della nuova struttura rappresenta forse l'elemento più caratteristico di questo titolo, che alterna slanci pienamente arcade anni 90 alla ricerca di una nuova identità sul sentiero tracciato da serie diverse. Può sembrare una soluzione di compromesso, che piega l'orgogliosa fedeltà ai canoni di Strider per trovare una nuova forma ad un gioco forse difficilmente collocabile nel mercato odierno, ma non è una soluzione priva di carisma, sebbene il fascino derivi in gran parte dalla "rendita" dell'originale, altra perla in quel tesoro che Capcom riuscì a mettere insieme nella sua epoca d'oro. Il bilanciamento comunque è convincente e il gioco risulta veloce e frenetico come un action in vecchio stile arcade ma anche profondo e ricco grazie alla necessità di esplorare a fondo i livelli e scoprire nuove strade, con un ottimo supporto da parte del sistema di mapping grazie al quale risulta difficile perdersi.

Uno Strider è per sempre

Nonostante la produzione sia chiaramente destinata al circuito digitale, la cura con cui è stato realizzato questo remake risulta evidente, basti vedere l'ottima attualizzazione del protagonista, che riprende perfettamente alcuni particolari originali come l'animazione della corsa, del salto in diagonale, la sciarpa e i fasci di luce emessi dalla lama al plasma di Cypher traducendoli perfettamente nella nuova grafica tridimensionale, con un occhio di riguardo nei confronti dello stile anime nipponico visibile negli artwork utilizzati per la caratterizzazione dei vari personaggi e nei dialoghi. La build testata soffre di qualche problema tecnico che è probabilmente dovuto alla sua mancanza di rifinitura, come sparizioni improvvise di elementi di scenario e caricamenti veramente molto lunghi, ma sono inconvenienti che verranno quasi sicuramente rimossi nella versione definitiva a cui rimandiamo per il giudizio complessivo. Se il nuovo Strider dovesse riuscire a mantenere l'ottimo bilanciamento tra velocità dell'azione, sfida ed esplorazione visto nella prima parte del gioco, allora Double Helix potrebbe essere veramente riuscita nel difficile compito di riesumare e attualizzare un gioco che sembrava non riuscire più a trovare spazio nel mercato attuale.

CERTEZZE

  • Uno Strider manca da un sacco di tempo
  • Buon bilanciamento tra azione classica e struttura "Metroidvania"
  • Gli omaggi all'originale ci sono e lo spirito sembra rimasto intatto

DUBBI

  • Alcuni livelli non sembrano ispirati come altri
  • Da valutare la longevità e l'equilibrio strutturale sul lungo termine
  • Il backtracking potrebbe non piacere ad alcuni