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Satoshi Tajiri - Monografie

Chi ha creato Pikachu, come e perché? Scopriamo insieme l'ascesa di uno dei più importanti sviluppatori della grande N

RUBRICA di Christian Colli   —   26/03/2014

Monografie è una rubrica a cadenza mensile che racconta i momenti essenziali nella storia di alcune società, franchise o personaggi di spicco che hanno lasciato il segno nel mercato videoludico.

Dei pokémon si può dire tutto: possono piacere o non piacere, ma sarebbe veramente stupido negare che siano diventati uno dei merchandising più potenti e influenti degli ultimi vent'anni. Pensate solo a quante altre compagnie hanno tentato la stessa mossa di Nintendo, a quanti cloni sono stati realizzati - a cominciare dai Digimon! - e a come sia stato impossibile spodestarli dalla cima delle classifiche di vendita ad ogni nuova uscita.

Satoshi Tajiri - Monografie

Con il progredire della tecnologia gli appuntamenti con Pokémon si sono fatti in qualche modo meno frequenti, inframmezzati comunque da spin-off di ogni genere (l'ultimo, un ottimo puzzle game, lo abbiamo recensito proprio qualche giorno fa) e ben ricordati dalla valanga di gadget, cartoni animati e amenità varie prodotte quotidianamente nel paese del Sol Levante, dove i mostriciattoli continuano a godere di un'attenzione e di un successo smodato. Tutti ormai sanno chi è Pikachu, creaturina tutto sommato mediocre per i professionisti delle lotte tra pokémon ma vero e proprio idolo dei bambini e mascotte ufficiale del franchise. Tutti conoscono Pikachu, sì, ma pochi sanno chi l'ha creato. Certo, che pokémon sia una proprietà intellettuale di Nintendo è risaputo... ma lo sapevate che se non fosse stato per loro a quest'ora la grande N forse sarebbe molto, molto diversa?

Satoshi Tajiri, l'ometto giapponese che ha gonfiato le tasche di Nintendo con un topo elettrico

L'uomo

Mentre molti sviluppatori di successo hanno alle spalle un background familiare che, per certi versi, ha indirizzato il loro interesse, il caso di Satoshi Tajiri non potrebbe essere più diverso. Nasce nel 1965, a Tokyo: il padre vende automobili e la madre fa la casalinga. Satoshi cresce a Machida, una cittadina nella prefettura di Tokyo che a quei tempi era a dir poco campagnola; non a caso, uno dei passatempi preferiti del piccolo Satoshi era collezionare insetti e il suo sogno era quello di diventare un entomologo. I suoi compagni di scuola lo chiamavano addirittura "Dottor Bug" per quanto era fissato con gli insetti.

Satoshi Tajiri
Satoshi Tajiri

Come vedrete, le sue esperienze giovanili avranno un fortissimo impatto sul suo futuro di sviluppatore videoludico: Satoshi ancora non lo sa, ma l'urbanizzazione di Mashida e la distruzione delle aree naturali in cui si divertiva a cercare e collezionare insetti lo segneranno profondamente. Perduto quel passatempo, Satoshi ne scopre un altro: i videogiochi. Satoshi passa gran parte del suo tempo libero nelle prime sale giochi e i suoi genitori sono convinti che faccia il teppista: lui invece si diverte con Space Invaders di Taito e comincia ad interessarsi non tanto al mercato videoludico in sé e per sé, quanto al modo vero e proprio di fare videogiochi. Arriva al punto di smontare il suo Famicom (il nostro NES, per chi non lo sapesse) per capire come funzionasse e riesce a vincere un concorso sponsorizzato da SEGA, e basato sull'idea per un nuovo videogioco, nel 1982: aveva appena sedici anni. I suoi genitori, però, non vedono di buon occhio questa passione: Satoshi marina la scuola per andare in sala giochi - portandosi a casa un intero coin-op! - e dopo essersi diplomato letteralmente per un soffio riesce a laurearsi presso la facoltà di scienze tecnologiche dell'università di Tokyo. Il padre di Satoshi gli trova un lavoro da elettricista nella Tokyo Electric Power Company, ma Satoshi rifiuta: lui ha ben altri progetti per la sua piccola Game Freak.

Il mostro

Facciamo un passo indietro: subito dopo aver vinto il concorso di SEGA, Satoshi Tajiri comincia a pubblicare, insieme a un gruppetto di amici, una dojinshi (quella che noi chiameremmo "fanzine") sui videogiochi arcade che si chiama Game Freak. Si tratta di una rivista prettamente amatoriale che i suoi "redattori" scrivono a mano e stampano alla buona; ciò nonostante, Game Freak diventa piuttosto famosa e nei primi anni '80 si trova facilmente nelle edicole giapponesi specializzate: è proprio lì che l'acquista un certo Ken Sugimori. Colpito dall'ottimo lavoro dei ragazzi di Game Freak, che nel frattempo avevano cominciato a permettersi di stampare più frequentemente e professionalmente la loro rivista di circa trenta pagine, Sugimori contatta Satoshi ed entra a fare parte della sua squadra.

La rivista Game Freak
La rivista Game Freak

Ken Sugimori, in seguito, disegnerà i primi centocinquantuno pokémon. Ma andiamo con ordine, perché a quel punto Satoshi si era reso conto di avere per le mani un gruppetto di giocatori che sapevano il fatto loro e che potevano dare una bella svegliata a un mercato, quello videoludico, che secondo lui non stava andando da nessuna parte. Acquistati l'hardware e i software necessari, Satoshi cominciò a studiare il linguaggio di programmazione Family BASIC di Nintendo e, insieme a Sugimori, nel 1989 trasformò Game Freak in un vero e proprio sviluppatore di videogiochi. Il primo titolo di Game Freak fu Quincy, una specie di puzzle game che fu pubblicato in Giappone da Namco e negli Stati Uniti, con il titolo Mendel Palace, da Hudson Soft. Nel frattempo, Satoshi Tajiri lavorava anche come redattore per la rivista Famicom Hisshoubon e i notiziari in VHS della Famimaga Video. Attirata l'attenzione delle compagnie più importanti, Game Freak cominciò a collaborare con Nintendo e a sviluppare alcuni spin-off delle sue proprietà intellettuali più importanti: fra i vari, ricordiamo Mario & Yoshi, un puzzle game in salsa Tetris con protagonista il simpatico dinosauro verde, e poi il platform Smart Ball (Jerry Boy in patria, e peraltro vinse pure un premio) e altri puzzle game, ma anche Mario & Wario e Pulseman.

Il Pikachu

Per certi versi si potrebbe dire che Pokémon per Satoshi Tajiri sia stato anche un modo per esorcizzare la nostalgia della sua stessa infanzia. Satoshi, quegli anni trascorsi prima in mezzo alla natura e poi nei punti di socializzazione che erano state le sale giochi, se li era portati nel cuore, e ci aveva scritto pure un libro (Catch the Packland).

Pokémon Rosso/Verde, 1996
Pokémon Rosso/Verde, 1996

L'ispirazione, l'idea brillante, gli venne di punto in bianco mentre se ne andava in giro per i fatti propri. L'occhio gli era caduto su due bambini intenti a giocare con i rispettivi Game Boy collegati tramite cavetto. Ve lo ricordate quel famigerato cavetto? Bene, a quei tempi, all'inizio degli anni '90, non se lo filava praticamente nessuno. I giochi che lo sfruttavano, perlopiù competitivamente, erano veramente pochi. La console stessa, peraltro, non aveva certo il successo che ha oggi come brand vero e proprio; anzi, a dirla tutta, in molti ritenevano che il gaming portatile non avesse un gran futuro... Nintendo inclusa. Perciò, torniamo a Satoshi. Il nostro simpatico giapponese vede i due Game Boy collegati e, BAM!, gli viene un'idea: e se quel cavetto consentisse qualcosa di più che semplici sfide? E se avesse permesso di fare quello che lui adorava fare da bambino e che nella Tokyo moderna tutta palazzi e cemento non si poteva fare più? I capoccia di Nintendo di primo acchito non capirono bene che intenzioni avesse il buon Satoshi, ma dato che aveva dimostrato di avere un gran bel cervello gli affiancarono un altro team di sviluppo (Creatures, Inc.) e un mentore di prima scelta: Shigeru Miyamoto. Sorpresi?

FUN FACT!

Il protagonista dei primissimi due Pokémon e del cartone animato storico, cioè Ash Ketchum, in Giappone si chiama Satoshi e il suo rivale... Shigeru!

Sì, dunque, dicevamo. Nintendo gli affianca Shigeru Miyamoto, il papà di Super Mario: Satoshi Tajiri già lo conosceva perché aveva lavorato marginalmente ad alcuni suoi progetti, però mai così a braccetto. Il modus operandi di Miyamoto è una rivelazione e Tajiri comincia ad adottare lo stesso stile. Il problema è che tutto questo non basta e i ragazzi di Game Freak non riescono a star dietro allo sviluppo del gioco: gli anni passano, i fondi scarseggiano, non si riescono a pagare gli stipendi.

Pokémon Rubino/Zaffiro, 2002
Pokémon Rubino/Zaffiro, 2002

Alcuni si licenziano, Tajiri rinuncia al suo stipendio e comincia a vivere a spese di suo padre: sarà solo l'investimento di Creatures, Inc. a permettere il completamento del progetto, al costo di un terzo degli introiti sui diritti. Lo sviluppo di Pokémon Rosso e di Pokémon Verde dura sei anni e quando escono... non interessano praticamente a nessuno. Sembra un RPG piuttosto assurdo, venduto in doppia versione per incentivare lo scambio di mostriciattoli tra i giocatori in modo che possano completare le proprie collezioni. È un concept astruso, un'idea per bambini su una console tecnologicamente arretrata... e sarà proprio questa la combinazione vincente che farà scalare a Pokémon Rosso e Pokémon Verde le classifiche di vendita, convincendo Nintendo che, tutto sommato, non era poi una così cattiva idea. Prima di tutto, Satoshi Tajiri - il quale, ricordiamo, era un collezionista d'insetti - gioca proprio sulla smania del collezionismo, e si inventa una serie di esche "psicologiche" come mostri segreti e difficilissimi da trovare, tra cui uno per il quale bisognava addirittura manipolare il codice del software. E già questo acuì l'interesse dei giocatori.

Pokémon Bianco/Nero, 2011
Pokémon Bianco/Nero, 2011

E poi, c'era la questione del Game Boy, che rispetto alla concorrenza (Game Gear di SEGA e Atari Lynx, per dirne due) era meno potente... ma anche più economico. Il che lo rendeva un acquisto perfetto per i "bambini" a cui erano rivolti Pokémon Verde e Pokémon Rosso. E Satoshi, che era un gran furbone, aveva strutturato il gioco su due livelli: il primo era quello fanciullesco dell'esplorazione e del collezionismo, coadiuvato dall'ispirata direzione artistica dell'amico e collaboratore Ken Sugimori; il secondo livello, invece, era quello competitivo, fatto di cifre e statistiche, che poteva intrigare anche i giocatori più grandicelli. Le vendite di Game Boy e Pokémon schizzarono letteralmente, e alcuni sostengono che abbiano persino salvato Nintendo in un periodo in cui faceva un po' di fatica dal punto di vita economico. Il successo fu tale che i grandi capi, quelli che all'inizio erano stati scettici, commissionarono a Satoshi Tajiri una revisione dei primi due giochi in vista della pubblicazione internazionale: non tutti sanno, infatti, che il Pokémon Rosso arrivato in Occidente era proprio la sua revisione, come Pokémon Blu era la revisione della controparte nipponica Verde.

Pokémon X/Y, 2013
Pokémon X/Y, 2013

Il terzo colore per noi fu infatti Pokémon Giallo, e per giocare la versione Verde si dovette attendere il remake Pokémon Verde Foglia per Game Boy Advance. Il fenomeno Pokémon (suddiviso, dal punto di vista videoludico, in quelle che si chiamano comunemente "generazioni", delle quali quella di Pokémon X e Pokémon Y è la sesta) da allora non si è mai fermato: pensate che oggi esistono ben settecentodiciotto (anche se qualcuno direbbe settecentoventisette!) mostriciattoli, ventitré giochi della serie principale senza contare gli innumerevoli spin-off (Pokémon Ranger, Pokémon Mystery Dungeon e via dicendo), più di dieci lungometraggi animati e più di ottocento puntate della serie TV. E Satoshi Tajiri? Be', lui oggi è ricco sfondato, è considerato uno degli sviluppatori più famosi di tutti i tempi e lavora anche ventiquattro ore su ventiquattro per poi dormirsela dodici ore di seguito. Dice che il suo bioritmo assurdo lo fa ragionare meglio: ci crediamo?

"Se non fossi diventato uno sviluppatore di videogiochi, oggi lavorerei sicuramente nel campo dei cartoni animati". -- Satoshi Tajiri