99

I walking simulator sono davvero videogiochi?

Una vecchia domanda a cui tutti cerchiamo di dare risposta

SPECIALE di Giordana Moroni   —   23/10/2016

È impossibile mettere d'accordo tutti i giocatori, questo è un dato di fatto, e quando pochi anni fa abbiamo visto approdare un nuovo tipo di videogiochi nel mercato la frattura nel pubblico è stata inevitabile. Stiamo parlando dei walking simulator, quella particolare categoria di videogiochi che fa della componente narrativa ed esplorativa l'anima e che non includono enigmi, puzzle o combattimenti. Di giochi di questo tipo ne abbiamo visti molti negli ultimi anni: Gone Home o Everybody's Gone to the Rapture sono esempi lampanti ma la domanda è: i walking simulator sono "veri" videogiochi?

Quali sono i parametri che definiscono un videogioco tale? E dove si collocano i walking simulator?

Una definizione zoppicante

Una domanda vecchia e che ci siamo fatti tante volte in passato, precisamente tutte le volte che abbiamo incontrato qualcosa di diverso e meno canonico rispetto a ciò che eravamo abituati a conoscere. A prendere le difese del genere è uno che un walking simulator l'ha fatto: Dan Pinchbeck , sviluppatore della software house The Chinese Room, ha parlato della sua esperienza con Dear Esther a PCGamesN, affermando che concentrarsi sulla definizione di videogioco è una perdita di tempo. Secondo Pinchbeck questa è una di quelle discussioni che più la si affronta e più cade a pezzi. Se basiamo tutto sulle meccaniche di gioco, su quantità e complessità, allora un titolo come Space Invaders è meno videogioco rispetto ad un Far Cry perché ha meno meccaniche?

 I walking simulator sono davvero videogiochi?
 I walking simulator sono davvero videogiochi?

E ancora, se il parametro non fossero le meccaniche ma la difficoltà allora un gioco come Far Cry sarebbe meno videogioco rispetto ad uno più punitivo come Bloodborne? È la mancanza di parametri oggettivi a rendere difficile la definizioni di videogioco, una coperta troppo corta che lascia inevitabilmente scoperti alcuni angoli e non è certo quello che ci si aspetta da una definizione univoca. Pinchbeck continua dicendo che la sua ispirazione deriva dal tumulto creativo dei primi anni dell'industria, che ha raggiunto il culmine a suo dire negli anni '80, un momento dove essere uno sviluppatore era quasi come essere una rockstar e dove nessuno metteva un freno alla propria creatività: non era importante quali standard o correnti teoriche si seguivano, se avevi l'ispirazione potevi creare il tuo gioco, senza sottostare a troppi compromessi, l'importante era, paradossalmente, continuare a chiedersi cosa rende un videogioco un videogioco. Oggi questo tipo di domanda non viene fatta per spingere gli sviluppatori a sperimentare, quanto piuttosto per omologare la loro proposto in base ai gusti di pubblico e produttori. Una libertà quella degli anni '80 che si è persa progressivamente nel tempo perché oggi i videogiochi sono sempre più vincolati da investimenti, dati di vendita e azionisti esigenti; è forse per questo motivo che l'esplosione dei walking simulator ha interessato principalmente il panorama indipendente, un mondo a parte che non deve sottostare alle convenzioni economiche, anche se il problema del prezzo di vendita di questi giochi non è da sottovalutare... ma ci arriviamo tra poco. Pinchbeck non è però l'unico sviluppatore ad essersi trovato nella posizione di dover difendere il proprio lavoro: i lavori di Quantic Dream e Telltale non sono apprezzati all'unanimità dal pubblico e ancora oggi faticano ad essere definiti videogiochi a tutti gli effetti, lasciati quindi ad occupare quindi quella zona grigia rappresentata dal film interattivo. Senza volerci arrogare il diritto di dare la precisa definizione di videogioco forse la parola chiave è proprio interattività: questo è forse l'unico elemento accomunabile a tutte le esperienze videoludiche e che differenziano il videogioco da qualsiasi altro prodotto d'intrattenimento. Anche qui viene da chiedersi se la definizione sia calzante perché vista la piega cinematografica presa negli ultimi anni, dove inserire nel proprio gioco lunghe cutscene magnificamente doppiate e con sceneggiatura da Oscar è preferibile ad un approccio che non spezza l'azione interattiva, alcuni titoli di altissimo livello non uscirebbero incolumi dalla discussione.

Canoni o appartenenza?

La discussione però non si esaurisce qui perché qualora volessimo nominare i Walking Simulator videogiochi a tutti gli effetti (fatto che per noi è così) rimane da definire quelli che sono i canoni del genere. Cercare di capire come deve essere fatto un Walking Simulator, secondo noi è molto più interessante che non focalizzarsi sulla loro appartenenza al mondo videoludico.

 I walking simulator sono davvero videogiochi?
 I walking simulator sono davvero videogiochi?

Perché diciamolo, non tutti i giochi di questo tipo si sono rivelati poi all'altezza dei colleghi, alcuni anzi hanno fallito miseramente nell'impresa. Cosa rende quindi un walking simulator un buon esponente del genere? Prima di tutto il ritmo, o meglio, la presenza di cambi frequenti di ritmo: partenza, svolgimento, colpi di scena, tutto deve essere amalgamato ma fornire continua varietà e sorpresa a chi lo gioca... un po' come la scatola di cioccolatini di Forrest Gump, dove non sai mai quello che ti capita. Non è un risultato facile da ottenere perché per tenere costantemente alta l'attenzione del giocatore mentre esplora un ambiente, cercando nel frattempo di raccontargli una storia richiede un grande lavoro ed una sinergia tra sceneggiatura e level design fortissima. Certo ogni tanto si può fare leva su qualcosa di sentimentale e chiamare in gioco le emozioni ma non è una cosa di cui si può abusare, altrimenti si rischia di indurre nel giocatore l'effetto opposto anestetizzandolo sul piano emotivo; un po' quello che può succedere regolarmente con la violenza in qualsiasi gioco d'azione. Il gioco poi dovrebbe cercare di contenere un messaggio finale, qualcosa che dia realmente significato all'esperienza fatta: se pensate che questo non sia necessario, beh, la mancanza di una forte metafora è ciò che rende Abzu contenutisticamente inferiore rispetto a Journey. Arrivati a questo punto, ammesso e concesso che il prodotto finale rispetti questi standard, il gioco deve essere venduto, ma a che prezzo? Questo secondo noi è il punto fondamentale che spinge il giocatore a non considerare il walking simulator un videogioco: perché pagare un gioco di due ore scarse senza azione, senza combattimenti e senza puzzle quanto un DLC da dodici ore di gioco? Quando veniamo toccati nelle tasche diventiamo tutti un po' suscettibili ma noi crediamo molto nelle parole di Pinchbeck "Preferirei giocare a qualcosa che è discutibile definire videogioco, ma è un buon prodotto, piuttosto che un titolo che senza dubbio è un videogioco ed è m***a".