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La fama immeritata di The Curse of Monkey Island

The Curse of Monkey Island va ricordato come un capolavoro o come il capitolo che ha segnato la fine della serie?

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   08/04/2018

The Curse of Monkey Island è un capolavoro? Probabilmente sì. Anzi, per certi aspetti sicuramente lo è. In fondo è una delle avventure grafiche più sontuose di tutti i tempi, terzo capitolo di una serie iconica ancora oggi citatissima come vetta qualitativa per i videogiochi narrativi e non solo. Eppure l'entusiasmo non dovrebbe farci dimenticare che è anche uno di quei videogiochi che ha segnato la morte commerciale del genere: un titolo sì celebrato da molti, che gli tributano affettuosi ricordi ogni volta che lo sentono nominare, ma che complessivamente vendette troppo poco rispetto alle sue ambizioni produttive.

La fama immeritata di The Curse of Monkey Island

Ma è giusto dare qualche dettaglio in più: The Curse of Monkey Island perde gli autori dei primi due capitoli, Ron Gilbert, Dave Grossman e Tim Schafer, a favore del duo Larry Ahern e Jonathan Ackley, in verità entrambi sviluppatori dall'eccellente curriculum e con grande esperienza all'interno di LucasArts (tra i loro lavori Sam & Max Hit the Road, Full Throttle, Day of the Tentacle); risolve come può il surreale e definitivo finale di Monkey Island 2: LeChuck's Revenge, spiegandolo in modo posticcio e per certi versi affrettato; trasforma completamente Guybrush, cercando di renderlo più digeribile al grande pubblico (ne riparleremo); e, soprattutto, segna l'ultimo tentativo di LucasArts con le avventure grafiche tradizionali. Lo studio di Rescue on Fractalus e Zak McKraken tenterà di mantenere vivo il suo spirito fondativo prima con l'eccezionale ibrido Grim Fandango (1998), in cui Tim Schafer proverà a fondere il gameplay classico con un'impostazione più moderna, mutuata dagli Alone in the Dark e, soprattutto, da quel Resident Evil (1996) che all'epoca stava vendendo come il pane; quindi con Fuga da Monkey Island (2000), in cui un Guybrush oramai completamente inebetito farà il suo debutto su console e il cui insuccesso, di critica e di pubblico, segnerà inesorabilmente la fine della serie e della Lucas dello SCUMM, se non consideriamo Tales of Monkey Island del 2009, miniserie episodica di Telltale dalla grande risonanza, ma di cui non sono mai state rese note le vendite e che non ha figliato.

La serie Monkey Island

- The Secret of Monkey Island (1990)
Guybrush Threepwood arriva a Mêlée Island per diventare un pirata. Sull'isola conoscerà l'amore della sua vita, il governatore Elaine Marley, ma sarà anche costretto a partire alla ricerca di Monkey Island per fermare i piani del pirata fantasma LeChuck, che da qui in poi diventerà la sua nemesi.

- Monkey Island 2: LeChuck's Revenge (1991)
Guybrush vuole trovare il più grande tesoro di tutti i tempi, il Big Whoop, ma finirà per aiutare LeChuck a tornare in vita e dovrà affrontarlo di nuovo.

- The Curse of Monkey Island (1997)
Guybrush trasforma per sbaglio Elaine in una statua d'oro, che viene presa da alcuni pirati. Nel corso dell'avventura, in cui dovrà cercare un modo di annullare la maledizione, s'imbatterà nuovamente in LeChuck, che ormai ha preso una forma demoniaca.

- Escape from Monkey Island (2000)
Di ritorno dalla luna di miele, Guybrush ed Elaine scoprono che la donna è stata dichiarata ufficialmente morta e che la sua casa è ormai un rudere. Come sempre, dietro a tutto c'è LeChuck e come sempre Guybrush dovrà risolvere un gran numero di enigmi per fermarlo.

- Tales of Monkey Island (2009)
Primo e finora unico Monkey Island non Lucas, sviluppato da Telltale, è composto da cinque episodi in cui Guybrush deve andare alla ricerca della leggendaria spugna di mare, l'unico oggetto in grado di fermare una maledizione che lui stesso ha contribuito a spargere per i Caraibi combattendo contro LeChuck.

Costi su, vendite stagnanti

Letto in prospettiva, The Curse of Monkey Island appare come uno splendido e disperato canto del cigno. Nel 1997 le avventure grafiche erano ancora molto amate dalla critica, soprattutto da quella specializzata in videogiochi per computer. In quale altro genere si poteva rintracciare un miscuglio così riuscito e profondo tra sperimentazione narrativa, intelligenza del gameplay e consapevolezza artistica? Eppure, nonostante il plauso generale, non vendevano. O, meglio, vendevano lo stesso numero di copie di sempre, come ci ha ricordato Ron Gilbert in diverse interviste, con la differenza che quando produrre un'avventura costava poche migliaia di dollari, piazzare decine di migliaia di unità era considerato un grande successo.

La fama immeritata di The Curse of Monkey Island

Ma l'avvento dei CD-Rom, enormemente più capienti rispetto ai supporti dati usati in precedenza (cassette, floppy disk e altri), aveva reso necessario spendere cifre consistenti per produrre contenuti adatti a soddisfare la crescente voracità dei videogiocatori. Un'avventura grafica non poteva più essere formata da una manciata di schermata colorate in bassa risoluzione piene di testo muto, con solo qualche animazione e qualche musica di contorno, ma doveva ambire a poter sfoggiare filmati e personaggi dotati di voci doppiate. Le animazioni dovevano essere sempre più accurate, i dettagli grafici sempre maggiori e la risoluzione delle immagini sempre più alta. Il vecchio pubblico non bastava più a rientrare dei costi: bisognava attrarne di nuovo per non morire. Le avventure grafiche, purtroppo, non ce la fecero, finendo per essere abbandonate dai grandi publisher e dai grandi studi di sviluppo, che pure un tempo le portavano come fiori all'occhiello. Se non ce l'aveva fatta LucasArts a tenerle in vita, chi avrebbe mai potuto?

La riedizione di The Curse of Monkey Island

Questo articolo nasce dalla riedizione di The Curse of Monkey Island che potete acquistare da Steam e da GOG per una manciata di euro e che merita due parole. Per prima cosa sappiate che non si tratta di un'edizione rimasterizzata, ma del gioco originale fatto girare sui moderni sistemi operativi grazie alla versione 2.0 dello ScummVM (per maggiori informazioni, cliccate qui https://www.scummvm.org/). Ciò comporta qualche problema nella qualità dell'immagine, ma anche maggiori opzioni di configurazione, con la possibilità di applicare diversi filtri per migliorare la resa grafica. In secondo luogo vi segnaliamo che nel pacchetto acquistabile è inclusa solo la versione inglese del gioco, perché evidentemente le licenze delle traduzioni e dei doppiaggi nelle altre lingue appartengono ai distributori nazionali di allora e non a LucasArts. Poco male, perché cercando per la rete non si fatica a trovare la versione tradotta nella nostra lingua. Non dovremmo darvi certi consigli ma, se volete giocare con l'ottimo doppiaggio italiano, potete acquistare il gioco e sostituire i file che vi interessano con quelli dell'edizione rimediata. Se avete i CD-Rom originali, come chi scrive, tanto meglio.

Quello di LucasArts fu un tentativo disperato

Con The Curse of Monkey Island, LucasArts le provò davvero tutte per convincere un pubblico non suo, a partire da una completa revisione stilistica. Scelse quindi di abbandonare il tratto pittorico dei capitoli precedenti, a favore di uno stile cartoon evidentemente mutuato dai vari Sam & Max Hit the Road, Full Throttle e Day of the Tentacle. Anche i personaggi furono completamente rivisti. Ad esempio Guybrush fu allungato all'inverosimile, diventando smilzo e goffo, mentre LeChuck acquistò un'inedita dinamicità, grazie alla trasformazione in demone. In generale il lavoro di revisione fu immenso, maniacale e a tratti davvero eccellente, finendo per coinvolgere tutti gli aspetti del mondo di gioco, caratteri dei protagonisti compresi.

La fama immeritata di The Curse of Monkey Island

Chi pagò più di tutti da questo punto di vista fu Guybrush stesso, che da ingenuo e sprovveduto damerino in cerca di fortuna, capace comunque di dimostrarsi scaltro e deciso alla bisogna (in particolare nel secondo episodio), fu trasformato in un giovanotto con la testa tra le nuvole e dall'aspetto imbambolato, spesso più preda che artefice degli eventi. A ben vedere fu una vera e propria trasfigurazione, come non se ne vedono spesso nel mondo dei videogiochi. Probabile che i due nuovi autori volessero dare un loro taglio personale non solo alla grafica, ma anche alla storia, cercando di introdurre una visione più attraente per un pubblico di giovanissimi. Ipotesi confermata anche dalla leggera semplificazione di interfaccia ed enigmi, molto più accessibili di quelli delle precedenti avventure di Lucas. Affermare che complessivamente svolsero un ottimo lavoro non è sbagliato, perché The Curse of Monkey Island fu comunque apprezzato e amato, ma a conti fatti il loro tentativo si rivelò fallimentare, da un punto di vista squisitamente storico/economico, perché fu allora che LucasArts si arrese e decise di prendere una strada completamente nuova. È in questo senso che la sua fama è immeritata o, quantomeno, troppo addolcita: oltre a dargli affetto per essere stato una delle vette del genere, non andrebbe mai dimenticato che ne fu anche uno degli assassini.