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Diario del capitano

DIARIO di La Redazione   —   05/05/2001

Diario del capitano

Il diario del sabato di oggi vede come protagonista Giorgio Baratto, giornalista specializzato in videogiochi. Collabora con innumerevoli riviste come Focus, Max, Maxime, Topolino e Panorama Web. Un grande ed eclettico personaggio apprezzato per il suo stile chiaro e diretto, capace di avvicinare un mondo di nicchia come quello dei videogiochi anche ad un pubblico generalista.

Per chi fa questo lavoro da anni è una sorta di appuntamento fisso.
Si assiste a esplosioni di violenza a cui non si riesce in alcun modo a dare una ragione e, spesso in maniera incoerente, sul banco dei principali accusati ecco apparire lo spettro dei videogiochi.
La cosa non stupisce più di tanto, da sempre le cose che non si conoscono sono al causa di tutti i mali, gli untori che diffondono la peste nella tranquillità(?) del mondo odierno.
Quando sento dire dal direttore di una rivista “Baratto, con tutta questa violenza ingiustificata, perché non facciamo un servizio sui videogiochi?” non perdo neppure più tempo nel cercare di spiegare che i videogiochi non c'entrano nulla, obbedisco.
Eppure, più che di giochi violenti, l’accento andrebbe posto sui giochi di cattivo gusto. La ricerca esasperata per rendere l’esperienza videoludica simile alla realtà non può e non deve essere condannata, farlo scadendo nel banale, nello scontato, nell’orrido è l’atteggiamento che si dovrebbe evitare.
Ormai i videogiochi sono arrivati allo stesso livello di altre espressioni dell’intrattenimento, il cinema, la musica, la televisione, fanno tutti parte di una stessa famiglia e, a ben vedere tutti possono influenzare le menti più deboli.
Se dei ragazzi americani sparano ai poliziotti dopo aver ascoltato un pezzo Hip Hop che l’istigava a farlo, di chi è la colpa? Se un bambino crede di poter volare come un Pokémon e si lancia dal balcone, di chi è la colpa? Se un bimbo di tre anni lancia un coltello alla madre per imitare lo spot di Fiorello, di chi è la colpa? E se un ragazzo entra a scuola e comincia a sparare all’impazzata, di chi è questa benedetta colpa?
Non è certo questa la sede per poter trarre conclusioni, citando lo psicologo Paolo Crepet "Non si nasce odiando, l’odio viene insegnato". La stessa cosa si può dire della violenza, ma pensare che i videogiochi veicolino esclusivamente un messaggio negativo è un errore simile a quello che si fa quando si crede che gli extracomunitari siano tutti dei delinquenti.
Spesso dei miei colleghi che conoscono poco il mondo dei videogiochi, sferrano attacchi senza sapere di cosa stanno parlando, dimenticando, troppo spesso, che l’industria dei videogiochi, ormai anche in Italia garantisce lavoro a migliaia di persone.
Si vuole regolamentarli? Si faccia una legge. L’unico esempio di questo tipo rimane il disegno di legge presentato dal Senatore Athos De Luca, che voleva equiparare i videogiochi alla vita reale: denunciando per associazione a delinquere chiunque producesse o distribuisse giochi in cui era possibile agire contro le leggi dello stato italiano, tradotto significa superare il limite di velocità, o magari giocare a Formula Uno dopo aver bevuto due birre...
Il risultato finale è l’autoregolamentazione che i produttori s’impongono. Su ogni scatola è ben evidente l’età minima consigliata, ma qualcuno se n’è mai accorto?