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Rise of the Ronin: abbiamo provato il primo open world del Team Ninja

Abbiamo provato le prime due ore di Rise of the Ronin, il primo videogioco open world del Team Ninja che racconta il tramonto dei samurai in Giappone.

Rise of the Ronin: abbiamo provato il primo open world del Team Ninja
PROVATO di Lorenzo Mancosu   —   11/03/2024

Nel corso degli ultimi anni il Team Ninja di Koei Tecmo si è conquistato uno spazio importante fra gli studi più prolifici dell'industria: osservando solamente la sua deriva a base di pura azione, la piccola rivoluzione portata da Nioh nel 2017 ha generato una marea che ci ha regalato a strettissimo giro Nioh 2, Stranger of Paradise: Final Fantasy: Origin e ovviamente l'ancora fresco Wo Long: Fallen Dinasty, titoli che nell'arco di soli tre anni hanno piantato una bandierina pesantissima in questo particolare sottobosco. Poi, verso la fine del 2022, si è scoperto che la casa stava anche lavorando in gran segreto a un enorme progetto capace di tenerla impegnata per oltre sette anni: un immane sforzo di natura open world che, trovando un partner ideale in Sony Interactive Entertainment, mirava a portare la formula a base di pura azione fino al livello successivo della scala evolutiva, intrecciando un'ambientazione, una trama e una quantità di sistemi come non se n'erano mai visti dalle parti dello studio.

Quel progetto è Rise of the Ronin, esclusiva PlayStation 5 di forte stampo storico che mira a mettere in scena la sua particolare visione del Bakumatsu, ovvero gli anni conclusivi del periodo Edo che sono coincisi tanto con il tramonto definitivo dello Shogunato quanto con il lento e inesorabile declino della figura del Samurai così come la cultura pop ci ha insegnato a conoscerla. Un teatro, questo, volenteroso sì di alzare il sipario su alcuni eventi chiave del Sol Levante, ma soprattutto di tradursi in un ricco e profondo videogioco d'azione con l'ambizione di trasportare in un vasto mondo aperto la ricetta che ha fatto la fortuna del Team Ninja, seguendo l'ispirazione che dalle parti di altri sviluppatori ha generato successi senza precedenti. Sarà riuscita la squadra di punta di Koei Tecmo a raggiungere questo complicatissimo obiettivo? Abbiamo provato le prime due ore di Rise of the Ronin: ecco le nostre impressioni.

Una storia... storica

Ogni giocatore è libero di regalare alla Lama Velata protagonista l'aspetto che desidera
Ogni giocatore è libero di regalare alla Lama Velata protagonista l'aspetto che desidera

Se fin dai primi trailer è stato chiaro che Rise of the Ronin avesse l'intenzione di lasciarsi alle spalle i Kami, le stregonerie e tutti gli elementi fantastici che hanno fatto la fortuna recente di Team Ninja in favore di un approccio di tipo quasi storico alla narrazione, l'incipit dell'opera ha chiarito ogni dubbio. Il protagonista, interamente personalizzabile tramite la creazione del personaggio, è infatti una Lama Velata, ovvero un guerriero d'élite formato sulle montagne di Kurosu proprio per opporsi non solo alla tirannia dello Shogunato Tokugawa, ma anche agli invasori arrivati dall'oceano, ovvero le "navi nere" americane guidate dall'ammiraglio Matthew Perry che nel 1873 forzarono per prime i confini del paese, per quasi due secoli isolato dal resto del mondo. Non è stata una sorpresa, di conseguenza, scoprire che la missione tutorial si svolgeva proprio in mezzo al mare, nel corso di un'infiltrazione su una fregata a vapore con il fine ultimo di eliminare Perry e scoprire i rapporti dello Shogunato con gli aggressori.

Non serve entrare troppo nel dettaglio, ma in seguito a una serie di sciagurati eventi la Lama Gemella protagonista si troverà a vestire i panni del classico ronin, privata del suo clan e sguinzagliata nel mondo in cerca di vendetta. Un mondo che, nel Bakumatsu alla fine del periodo Edo, è peggio di una polveriera: tra banditi, disertori, signori feudali che sognano una guerra con i barbari, nonché personalità come il discusso Shōin Yoshida, la cui glorificazione nell'opera è ritenuta da molti il motivo per cui il gioco non uscirà in Corea del Sud, il paese è completamente fratturato tra diverse fazioni che lottano segretamente per impadronirsi delle redini del futuro. Si tratta dunque di una vicenda costellata di figure storiche che sin dalle primissime farsi porta il giocatore a esplorare tutti gli insediamenti chiave adiacenti Yokohama, luogo del celebre approdo ostile degli americani, nella forma di quello che rappresenta il primo mondo aperto realizzato dallo studio.

Il mondo aperto

Il mondo aperto di Rise of the Ronin è estremamente classico, nello stile degli originali Assassin's Creed
Il mondo aperto di Rise of the Ronin è estremamente classico, nello stile degli originali Assassin's Creed

Croce e delizia dei videogiocatori contemporanei, quella del mondo aperto è una formula che non poteva far altro che gola a una squadra come Team Ninja, ancor di più nel corso degli ultimi due anni, che li hanno costretti ad assistere in disparte al clamoroso successo di Elden Ring. L'approccio scelto dallo studio è stato quello di mantenere invariata la formula quasi di stampo "arcade" alla base delle sue produzioni più recenti: in Rise of the Ronin, più d'ogni altra cosa, si combatte. Nel corso delle prime ore vengono presentate diverse regioni che conducono lentamente verso il porto di Yokohama, e ciascuna di esse alza il sipario su una manciata di punti d'interesse in purissimo stile Assassin's Creed: ci sono piccoli santuari in cui pregare per ottenere punti abilità, gatti da accarezzare, minute missioni secondarie, nonché diversi luoghi d'interesse storico da visitare, come per esempio il tempio buddhista Juniten di Honmoku, il Tenshudo di Yokohama, o magari la prima casa in stile inglese mai eretta sul suolo del Giappone.

Virando sul fronte delle attività più movimentate, fondamentalmente si possono dividere in tre categorie: ci sono i luoghi di "disordine pubblico", ovvero avamposti o quartieri occupati da gruppi di banditi da ripulire completamente, ci sono i latitanti, ossia guerrieri particolarmente potenti in fuga dalla legge, e infine s'incontrano piccole missioni istanziate che richiedono di eliminare tutti gli occupanti di una determinata struttura, per esempio i fuorilegge che hanno occupato la villa di un magistrato, prima di affrontare il boss della zona e portare a casa la vittoria.

È evidente che il Team Ninja, ben consapevole che la sua forza risieda nella profondità del viscerale sistema di combattimento, fin dalle prime fasi dell'avventura abbia voluto scommettere tutto sulle battaglie. Purtroppo ciò è andato a forte discapito di un reparto dell'esplorazione che in queste regioni si presenta asciutto ed estremamente guidato: il rampino si può per esempio utilizzare solamente con gli appositi appigli posizionati dagli sviluppatori, limitando di conseguenza anche la verticalità e l'utilizzo dell'aliante, mentre la sensazione generale è quella di muoversi in un mondo monodimensionale, come se una serie di corridoi aperti privi di un reale level design connettessero le diverse arene in cui sfoderare finalmente le armi.

Questa percezione è ulteriormente rafforzata dalla resa dell'ambientazione, che non potendo contare sulla spinta del comparto grafico e della direzione artistica finisce per penalizzare anche il "fattore panorama", di fatto trasformando il paesaggio in una scenografia da percorrere in cerca di avversari degni. Insomma, muovendo i primi passi nel Giappone del Bakumatsu si prende coscienza di quanto sia divenuto difficile confrontarsi con i mondi aperti contemporanei, che finiscono per imporre la loro tassa anche sui sistemi di gameplay più solidi in circolazione.

Combattimento e gameplay

Team Ninja è una certezza quando si tratta del sistema di combattimento
Team Ninja è una certezza quando si tratta del sistema di combattimento

Rise of the Ronin è un videogioco estremamente ambizioso, e gran parte di quell'ambizione si è tradotta in un'enorme mole di sistemi pronti a intrecciarsi l'uno con l'altro: solo nel corso delle prime ore di gioco, oltre alle decine di opzioni che regolano le battaglie, vengono introdotti gadget che cambiano l'approccio al mondo, basi operative interamente personalizzabili, dialoghi a risposta multipla che mutano l'esito delle missioni, ma soprattutto Legami con i personaggi del Giappone Bakumatsu che incidono sullo svolgimento della storia e trascinano sul palcoscenico personalità leggendarie come il samurai di Tosa Ryōma Sakamoto. Il centro di gravità dell'opera, d'altro canto, rimane sempre saldamente ancorato al sistema di combattimento, praticamente una grande fusione di tutte le meccaniche introdotte da Team Ninja durante gli ultimi dieci anni.

È possibile equipaggiare due armi corpo a corpo differenti, e ciascuna di esse si può impugnare scegliendo fra un massimo di dodici stili unici: le varianti fondamentali sono Ten, Chi, Jin e Shinobi, che oltre a modificare l'assetto di combattimento in puro stile Nioh vanno a incidere anche sulle mosse speciali a disposizione. L'arsenale fra cui scegliere è semplicemente sterminato: solo nei primi istanti abbiamo potuto mettere le mani su katane, odachi, naginata, sciabole della marina, spadoni, doppie spade, e tutto questo prendendo in considerazione giusto le armi bianche, perché ovviamente non mancano all'appello archi, fucili, baionette francesi, revolver, shuriken e chi più ne ha più ne metta. La cosa più sorprendente è che quella dell'arma non si rivela mai una scelta statica, perché la maturazione delle build, l'ottenimento di nuovi stili di combattimento tramite i nemici potenti abbattuti, ma soprattutto la possibilità di cambiare strategia anche nel cuore della battaglia producono una sorta di stratificazione dinamica del sistema di combattimento, che in tempo reale continua costantemente a offrire possibilità inedite e nuovi approcci a ogni genere di situazione.

Bisognerà tuttavia capire come le meccaniche di gioco si sposano con il mondo aperto
Bisognerà tuttavia capire come le meccaniche di gioco si sposano con il mondo aperto

Al momento abbiamo appena scalfito la superficie, ma è già evidente che il Team Ninja abbia voluto mescolare diverse sue ispirazioni del passato, integrando la stamina nella forma del Ki di Nioh, assegnando un pulsante dedicato al sistema di deviazioni introdotto in Wo Long: Fallen Dinasty, per poi chiudere il cerchio attraverso le due principali aggiunte, ovvero una dinamica stealth decisamente più profonda che in passato e la presenza in forma molto più massiccia delle bocche da fuoco. Se una pugnalata alla schiena e un colpo alla testa sono sufficienti per sbarazzarsi della maggior parte dei briganti, gli avversari d'élite offrono invece sfide impegnative che richiedono una profonda conoscenza della loro arma e del relativo stile per deflettere gli attacchi più pericolosi e rispondere con letali esecuzioni, l'unico modo per scalfirne realmente le difese. Come sempre, bisogna mettere in scena una specie di fluida danza d'acciaio: sfruttando i set di mosse delle armi in uso, le abilità attive, gli strumenti a disposizione e le deviazioni, è possibile trapassare le corazze nemiche come fossero burro, ma arrivare a quel livello richiede tanto allenamento e una giusta dose di prontezza di riflessi.

In ultimo, bisogna tener conto del sistema di progressione, anch'esso estremamente stratificato e ovviamente pronto a piegarsi all'inedita natura open world di Rise of the Ronin. Se il livello del giocatore influenza direttamente l'efficacia in battaglia, gli alberi delle abilità consentono d'investire punti in quattro rami dedicati, ma di fatto sono tantissime le sfaccettature che investono la crescita del protagonista: una delle più importanti è ad esempio l'esperienza legata all'uso delle singole armi, dal momento che ciascuna categoria introduce moltissimi bonus passivi sulla base del miglioramento delle competenze. A differenza delle opere passate dello studio, tuttavia, dedicarsi al completamento delle attività secondarie rende estremamente facile potenziarsi rapidamente fino a distruggere in pochi istanti i nemici che fino a un attimo prima sembravano imbattibili, pertanto il bilanciamento sarà senz'altro un osservato speciale.

Il comparto (non proprio) tecnico

Forse quello dell'open world è ancora un passo troppo grande per questo studio di grande talento?
Forse quello dell'open world è ancora un passo troppo grande per questo studio di grande talento?

Basta un singolo sguardo ai panorami dell'ambientazioni di Yokohama per rendersi conto di quanto la scelta del mondo aperto abbia avuto un violento impatto sul comparto tecnico tipico del Team Ninja: senza girarci troppo attorno, la resa grafica al momento si presenta indietro di oltre una generazione. Nonostante gli sviluppatori abbiano precisato che stanno lavorando alla classica patch del day one, la sensazione è che un aggiornamento possa limare esclusivamente qualche piccolezza, perché la maggior parte delle texture del mondo risultano piatte e sbiadite, i modelli dei personaggi non sono certo messi meglio, le animazioni non brillano affatto per pulizia, mentre il framerate - anche nella modalità che premia le prestazioni - è tutto fuorché granitico. Sarà sicuramente un aspetto da approfondire pesantemente in sede di recensione, perché per il momento sono poche le sfaccettature che riescono a salvarsi: anche il doppiaggio è uno dei più approssimativi in cui ci è capitato di incappare in tempi recenti, i fenomeni di pop up sono piuttosto vistosi, mentre la mole di micro-caricamenti che precedono ciascun dialogo potrebbe fare concorrenza a Starfield.

Più in generale, sarà da approfondire l'impatto della formula open world sui principali marchi di fabbrica del Team Ninja: fin dalle primissime ore di gioco lo studio ha confermato la sua straordinaria capacità di studiare un profondissimo sistema di combattimento, ma non è ancora chiaro se sia stato in grado di ricamarlo perfettamente su una struttura così lontana dalla sua storia.

La trama rivestirà un ruolo molto importante in Rise of the Ronin
La trama rivestirà un ruolo molto importante in Rise of the Ronin

La libertà riuscirà ad andare a braccetto con il bilanciamento? Il design fortemente legato alla fedeltà storica saprà brillare allo stesso modo dei coloratissimi Kami di Nioh? La voglia di combattere saprà tener botta per tutta la durata di un'esperienza che si prospetta estremamente più vasta delle precedenti? Con tante domande senza risposta ancora all'orizzonte, la certezza è che ci troviamo al cospetto del progetto più ambizioso mai immaginato dallo studio, un'immensa fotografia della storia giapponese che mette sul piatto uno fra i sistemi di combattimento più profondi mai visti.

Le prime due ore di Rise of the Ronin ci hanno lasciato in compagnia di non pochi dubbi: se da una parte quella del mondo aperto sembra ormai divenuta l'evoluzione naturale per la maggior parte dei videogiochi d'azione, la sua compatibilità con la ricetta - e soprattutto con le capacità - del Team Ninja è ancora tutta da verificare. La tassa più pesante sembra senza dubbio quella imposta sui comparti tecnico e grafico, che si presentano molto lontani dagli standard di questa generazione, ma il punto di forza principale dello studio è sempre coinciso con il sistema di combattimento, che nel pieno rispetto della tradizione può vantare una profondità inaudita e un numero di opzioni esagerato. Sarà sufficiente la sola voglia di gettarsi in battaglia per sorreggere un progetto tanto ambizioso? Non vediamo l'ora di scoprire se e come gli sviluppatori abbiano lavorato per armonizzare l'enorme numero di meccaniche in gioco con un'ambientazione che, per la prima volta, dovrà dimostrarsi altrettanto coinvolgente e profonda.

CERTEZZE

  • Sistema di combattimento profondo e stratificato
  • Tantissime opzioni di personalizzazione
  • Interessante dal punto di vista storico

DUBBI

  • Mondo aperto nello stile dei primissimi Assassin's Creed
  • Graficamente davvero arretrato
  • Tante imperfezioni tecniche
  • Bilanciamento ancora da valutare