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Suicide Squad: Kill the Justice League, abbiamo provato il discusso progetto di Rocksteady

Dopo diversi rinvii abbiamo provato in anteprima Suicide Squad: Kill the Justice League di Rocksteady, scoprendo un buon videogioco che farà sicuramente discutere.

Suicide Squad: Kill the Justice League, abbiamo provato il discusso progetto di Rocksteady
PROVATO di Lorenzo Mancosu   —   09/01/2024

Alcuni videogiochi sembrano nascere sotto una cattiva stella: è proprio così che ha avuto inizio la lunga e travagliata vicenda del misterioso titolo a tema Suicide Squad che per diversi anni ha serpeggiato nei corridoi di Warner Bros Games. Inizialmente immaginato agli albori del 2010, è finito al centro di numerose speculazioni scaturite prevalentemente dalle comparse della squadra di criminali sui fondali della serie Arkham sviluppata da Rocksteady: se, attorno al 2015, l'industria dava ormai per certo il fatto che una pubblicazione a opera degli studi di WB Games Montréal fosse ormai dietro l'angolo, il giornalista Jason Schreier svelò per mezzo di un report che tale produzione era stata definitivamente cancellata.

Poi, durante l'estate del 2020, il lungo silenzio fu inaspettatamente interrotto dai creativi di Rocksteady in persona, che pubblicarono un'eloquente immagine di Superman finito nel centro del mirino della Suicide Squad. Da quell'istante, e soprattutto dal primo trailer dell'evento DC FanDome che seguì a stretto giro, è successo di tutto e di più: originariamente previsto per il 2022, il gioco è stato rinviato di un anno, poi si è scoperto che si sarebbe trattato di un'esperienza prevalentemente multigiocatore che richiedeva una costante connessione a internet, dopodiché è andato incontro a un ulteriore rinvio che ha fissato la data di pubblicazione definitiva, ovvero il prossimo 2 febbraio 2024.

A riscaldare l'atmosfera attorno agli appassionati non è stata tuttavia la questione relativa ai rinvii, bensì due particolari caratteristiche del progetto che proprio non sono andate giù ai membri della comunità. In primo luogo si è discusso della natura stessa della produzione, uno sparatutto d'azione in terza persona estremamente vicino alla struttura dei giochi come servizi, una formula che molti ritengono ormai in cammino sul viale del tramonto. In seconda istanza si è fortemente criticato l'impiego stesso di uno studio blasonato come Rocksteady, dai più ritenuto il grande fiore all'occhiello della compagnia grazie alle straordinarie avventure per il giocatore singolo con cui ha colorato l'universo di Batman, per dare i natali a una deviazione tanto diversa. Insomma, l'aria attorno al progetto ricorda molto da vicino quella che ha recentemente toccato la cancellazione del The Last of Us Online a opera di Naughty Dog.

In un contesto simile è molto difficile analizzare questa produzione liberandosi da qualsiasi genere di pregiudizio, ma siamo volati negli studi di Londra di Rocksteady per provare in anteprima Suicide Squad: Kill the Justice League: gli sviluppatori ci hanno concesso l'opportunità di vivere una nuova partita fin dall'inizio, sguinzagliandoci per le strade della città di Metropolis per oltre quattro ore, impugnando il pad accanto a noi e spiegandoci nel dettaglio quale fosse la loro filosofia. Ad attenderci abbiamo trovato un titolo solido, rapido e divertente, qualcosa di molto lontano dall'apocalisse preventivata, ma frutto di un'idea che ha già fatto discutere e che finirà inevitabilmente per far discutere anche in futuro.

La Suicide Squad entra in azione: il contesto

La Task Force X raggiunge la Sala della Giustizia di Metropolis
La Task Force X raggiunge la Sala della Giustizia di Metropolis

Harley Quinn, King Shark, Captain Boomerang e Deadshot si trovano incatenati al cospetto di Amanda Waller, la spietata agente governativa che - dopo averli convinti con l'inganno a iniettarsi un devastante esplosivo direttamente in corpo - gli apre uno spiraglio di libertà in cambio del sacrificio della propria vita. Nasce allora la Task Force X, altrimenti nota come Suicide Squad, un gruppo di supercriminali totalmente folli e male assortiti che s'imbarca contro la propria volontà in quella che si rivelerà, ovviamente, una missione suicida. È subito evidente che quella della Waller sia una decisione guidata dalla disperazione, perché la prima tappa del viaggio degli antieroi è proprio la Sala della Giustizia, la storica sede della Justice League, il sancta sanctorum che ospita alcuni dei gadget più celebri dell'universo DC, dei quali il gruppo di criminali finirà ovviamente per fare razzia.

Sarà solo allora che si scoprirà la vera natura del campo di battaglia nonché la ragione che ha costretto il governo a riporre le proprie speranze in un gruppo di pazzi: la città di Metropolis è infatti tenuta sotto scacco dal cyborg extraterrestre Braniac, che non solo la sta mettendo a ferro e fuoco decimandone la popolazione, ma è riuscito a dominare mentalmente tutti i supereroi che hanno avuto la sfortuna di incrociare il suo cammino. Di fronte all'orizzonte inquietante dei grattacieli sotto assalto, i protagonisti s'imbattono infatti nelle varianti malvagie di Flash e Lanterna Verde, ormai tramutatisi in luogotenenti di Braniac, prendendo coscienza dell'entità della minaccia che dovranno affrontare, specialmente pensando ai componenti della Justice League che ancora mancano all'appello.

Un The Boys ambientato a Metropolis

La resa estetica della città rende onore alla tradizione di Rocksteady
La resa estetica della città rende onore alla tradizione di Rocksteady

Non è assolutamente la prima volta che la Justice League passa al lato oscuro. Se da una parte si tratta di una circostanza che si è verificata spesso e volentieri attraverso decadi di albi a fumetti, gli sviluppatori di Rocksteady hanno scelto di strizzare particolarmente l'occhio al The Boys di Ennis e Robertson, mettendo in scena varianti dei supereroi che non sono semplicemente involucri vuoti e assoggettati a Braniac, ma personaggi superbi, malvagi, violenti e quasi irritanti. Tale scelta riesce indubbiamente ad aggiungere una manciata di pepe alla vicenda, ma al contempo - unitamente alla caratterizzazione comica della Suicide Squad - rischia di realizzare un contesto molto strano, quasi macchiettistico, decisamente diverso dalla seria oscurità cui ci aveva abituato "l'Arkhamverse" costruito da Rocksteady. Già, perché la vicenda di Suicide Squad: Kill the Justice League condivide lo stesso identico universo occupato dalla serie Arkham e, come confermato dagli sviluppatori, è ambientata proprio cinque anni dopo i cupi avvenimenti di Batman: Arkham Knight.

Teatro dell'avventura è l'intera città di Metropolis, costruita con dovizia di particolari nella forma di una mappa open-world estesa circa il doppio di quella che caratterizzava l'ultima Gotham City. Se da una parte è piuttosto ironico che il primo gioco di Rocksteady ambientato in questo mondo aperto non abbia Superman come protagonista, dall'altra i creativi della casa hanno confermato tutto il proprio talento artistico, rendendo giustizia allo stile art decò che caratterizza l'architettura della città nonché segnando un impattante cambio di toni rispetto al passato. L'unico problema? La struttura cooperativa che richiede di rimanere sempre vicini agli altri membri della squadra, accanto alla velocità che caratterizza il gameplay, rendono molto difficile arrivare ad apprezzare fino in fondo i panorami di Metropolis per coglierne tutti i dettagli. Dettagli che i creativi hanno scelto comunque d'inserire nell'amalgama, riempiendo tanto la Sala della Giustizia quanto diversi altri scorci urbani di riferimenti alla tradizione della città e all'universo della Justice League.

Il gameplay

La costruzione del gameplay è quella di un looter--shooter in terza persona vicino alla struttura di Borderlands
La costruzione del gameplay è quella di un looter--shooter in terza persona vicino alla struttura di Borderlands

Suicide Squad: Kill the Justice League è uno sparatutto in terza persona con caratteristiche da looter-shooter costruito interamente attorno all'idea della cooperazione tra quattro giocatori simultanei. Una struttura, questa, che influenza inevitabilmente gran parte dell'avventura: anche giocando in solitaria non è consentito cambiare il personaggio attivo durante le fasi di combattimento, affrontandolo in compagnia non è possibile allontanarsi troppo dal team pena un'esplosione che uccide il personaggio, mentre la maggior parte delle attività sono ricamate attorno al completamento coordinato di più obiettivi in contemporanea. Si tratta di un'architettura curiosa per un'opera che trova il suo motore proprio nella narrazione, dal momento che l'intera esperienza ruota principalmente attorno alla vicenda cinematografica della caccia ai supereroi, ma bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare: pad alla mano, l'offerta confezionata da Rocksteady funziona sorprendentemente bene.

L'approccio al gameplay cambia profondamente in base al supercriminale che si sceglie d'impersonare, dato che ciascuno di essi è ricamato attorno ai classici ruoli che s'incontrano nei confini del genere: King Shark è il tradizionale tank duro a morire e pesantemente armato, Deadshot il perfetto tiratore scelto che scommette tutto sulla superiorità aerea, Captain Boomerang un attaccante a media distanza che infligge tonnellate di danni guizzando in un lampo fra un tetto e l'altro, mentre Harley Quinn incarna la più classica assassina versata nelle acrobazie, negli esplosivi e nel combattimento ravvicinato. Ognuno di essi si può ulteriormente sviluppare attraverso tre differenti alberi di talenti che consentono di programmare intricate build molto vicine a quelle del Borderlands di Gearbox, mescolando le capacità innate e una pioggia di bocche da fuoco per realizzare archetipi sempre più complessi ed efficaci. Viene da sé che altrettanto spazio è stato dedicato alla caratterizzazione dei personaggi, le cui interazioni avvolgono di un'assurda tinta comica ogni genere di compito assegnato dalla Waller o dai suoi inaspettati intermediari.

Attraverso un sistema di talenti e una pioggia di bocche da fuoco è possibile creare build vicine alla tradizione del genere
Attraverso un sistema di talenti e una pioggia di bocche da fuoco è possibile creare build vicine alla tradizione del genere

Grandissima attenzione è stata riservata al sistema di movimento, segmento nel quale prendono forma le maggiori differenze tra i protagonisti: se King Shark può spiccare balzi chilometrici prima di schiantarsi al suolo, il Capitano può invece teletrasportarsi istantaneamente nella posizione in cui ha lanciato il suo fedele boomerang e scattare come il vento, Deadshot sfrutta dei comodissimi propulsori per dominare i cieli della città, mentre Harley Quinn - forse la meno soddisfacente in ragione dell'esistenza di una certa serie dedicata all'Uomo Pipistrello - deve infine limitarsi all'utilizzo di un rampino e un piccolo drone. La navigazione di Metropolis è un ingranaggio centrale dell'esperienza, l'intero apparato del gameplay è estremamente dinamico e soprattutto verticale, pertanto gli sviluppatori vi si sono concentrati in maniera particolare, ben consapevoli di confrontarsi con un genere nel quale la mobilità e la fluidità dell'azione sono a dir poco determinanti.

Il resto delle risorse sono finite nella direzione del sistema di progressione: l'avventura della Suicide Squad è fortemente radicata nei sistemi da looter-shooter, ovvero nella quantità di danni che si riescono a infliggere, nell'attivazione di abilità passive che arrivano a rendere triviali i combattimenti, nel susseguirsi di costanti sparatorie tra i palazzi cittadini che deviano raramente dal seminato e premiano il giocatore con ricompense di rarità crescente. Alcune attività del mondo aperto richiedono di spazzare via orde di nemici, altre missioni di proteggere determinati oggetti da un assalto, altre ancora di mantenere sotto controllo determinate zone circolari, avvolgendo la produzione nella più antica atmosfera del genere di riferimento, ed è evidente che l'intera architettura sia stata studiata per risultare altamente rigiocabile e accogliere costanti iniezioni di contenuti. A tal proposito, anziché adottare un design degli oggetti e delle abilità asciutto, accessibile, impattante e immediato in stile Destiny, gli sviluppatori hanno optato per una cascata di effetti, numeri e incrementi percentuali più vicini alla tradizione The Division, il che potrebbe rappresentare un difficile scoglio per i giocatori meno esperti.

La lotta fra storia e gameplay

Nonostante le meccaniche cooperative, il gioco rimane profondamente radicato nel racconto della storia
Nonostante le meccaniche cooperative, il gioco rimane profondamente radicato nel racconto della storia

Protagonista assoluta della produzione di Rocksteady è una specie di guerra silenziosa fra due elementi contrapposti, ovvero il gameplay e la narrazione: se combattendo per le strade di Metropolis ci si imbatte in tutte le più classiche fra le meccaniche del genere looter-shooter, di solito inadatte ad accogliere il racconto di una grande storia, la ragion d'essere del progetto si nasconde proprio sul fronte di una ricca trama che si snoda attraverso una pioggia di sequenze cinematiche. Le missioni assegnate dalla Waller, le comunicazioni radio fra i membri attivi della Justice League, una serie di comparse eccellenti che spaziano da quella di Lex Luthor, a dir poco fondamentale per affrontare la minaccia imminente, fino a una ringiovanita Poison Ivy, le cui doti potrebbero rivelarsi indispensabili nelle battaglie che verranno, sono le pennellate di colore su cui Rocksteady ha scommesso tutto quanto al fine di mantenere vivo il suo "Arkhamverse" osservato attraverso gli occhi della Suicide Squad. Lo studio, pur orfano di alcuni storici creativi, non ha perso un briciolo del suo smalto: sebbene sia molto facile attaccare l'idea piuttosto anziana che sta alla base del progetto, non si può dire praticamente nulla di negativo riguardo l'azione, la resa cinematografica né tanto meno l'esecuzione tecnica.

Dando la caccia alla Justice League ci si imbatte in momenti di valore: lo è senza dubbio l'istante in cui il Flash malvagio ritorna per un attimo a essere Barry Allen, confessando quasi in lacrime a una preoccupatissima Wonder Woman che l'unico metodo efficace per mettere fine alla follia di Braniac è davvero l'assassinio dell'intera famiglia di supereroi. Non esistono soluzioni alternative, all'orizzonte non si prospetta per niente un lieto fine, non sembrano neppure esserci i presupposti per il classico ripristino dello status-quo in cui tutti vissero felici e contenti. Quello contro l'uomo più veloce al mondo è stato anche l'unico scontro diretto che abbiamo avuto occasione di vivere, una lunghissima battaglia all'ultimo sangue dalla quale traspare l'essenza stessa del progetto: raffigurare queste entità per quel che sono realmente, ovvero esseri vicini a divinità capaci di uccidere senza il minimo sforzo, creature che solamente un folle suicida potrebbe pensare di caricare a testa bassa e privo di una strategia vincente. Al tempo stesso, tuttavia, si tratta degli eroi che il pubblico desidererebbe impersonare, di guerrieri forgiati dal fuoco di mille avventure, e non è assolutamente detto che l'utenza accetti tacitamente l'idea tragicomica di vederli crollare sotto i colpi di Captain Boomerang o Harley Quinn.

Il problema è l'idea di base

Rocksteady non ha perso il suo smalto e la sua capacità, ma è difficile che l'opera possa far presa sugli appassionati della serie Arkham
Rocksteady non ha perso il suo smalto e la sua capacità, ma è difficile che l'opera possa far presa sugli appassionati della serie Arkham

È proprio questo il principale sussurro che ci ha accompagnato nel corso della prova: il serio e oscuro Arkhamverse nel quale Batman riusciva a sbarazzarsi di avversari agguerritissimi con una mano legata dietro la schiena non rischia di crollare sotto il peso della linea comica della Suicide Squad? Anche immaginando un deus-ex-machina capace di risolvere la situazione di Braniac e ripristinare gli equilibri della Justice League, magari il classico universo parallelo, è davvero questa la fine che lo studio desidera per i suoi eroi più blasonati? Per un attimo ci ha addirittura accarezzato l'idea che l'opera potesse essere una sorta di metafora, una rappresentazione della volontà di Rocksteady di staccarsi dall'universo supereroistico con un gesto eclatante, ma è ancora troppo presto per fare speculazioni di questo genere, perché per avere un quadro completo bisogna ovviamente attendere di mettere le mani sul prodotto finito.

Questo Suicide Squad si prospetta come un ricco scheletro narrativo ambientato nel cuore di Metropolis e destinato a far emergere nel tempo la sua natura di gioco continuativo di stampo looter-shooter, alzando rapidamente - e soprattutto gratis - il sipario su nuovi contenuti, attività inedite e personaggi sui quali ricamare build sempre più profonde ed elaborate. Ma se da una parte i sistemi di gameplay si presentano senza sbavature e la resa generale dell'esperienza è soddisfacente, dall'altra il gioco dovrà passare attraverso il giudizio di una comunità di appassionati che dalle fucine di Rocksteady desiderava qualsiasi cosa fuorché uno sparatutto prevalentemente cooperativo e ambientato in un universo persistente. Il gameplay fluido, il rapido sistema di movimento e la cura per la realizzazione tecnica sono dati di fatto dai quali è impossibile prescindere, ma saranno sufficienti per garantire un futuro a un progetto così lontano dal DNA dello studio?

Da Rocksteady ci si aspetta un altro tipo di esperienza, ma il risultato sembra comunque valido nel suo genere
Da Rocksteady ci si aspetta un altro tipo di esperienza, ma il risultato sembra comunque valido nel suo genere

Il rischio più concreto è quello di analizzare Suicide Squad: Kill the Justice League pensando al videogioco che si sarebbe voluto incontrare, anziché concentrarsi su ciò che realmente vuole essere. Osservandolo come un'esperienza co-op nella quale mietere orde di nemici all'ombra dei grattacieli di Metropolis, vestendo i panni di una scapestrata e divertente squadra di supercriminali, sembra svolgere il suo compito alla perfezione, garantendo più d'un sorriso, una narrazione affascinante e un solido impianto di gioco. Ma guardandolo come l'ultimo erede della blasonata serie Arkham, un titolo che nasce sulle spalle dei giganti eretti negli anni dai maestri di Rocksteady, la prospettiva finisce per cambiare radicalmente.

Il modo più facile per spiegare il primo contatto con Suicide Squad: Kill the Justice League è che si presenta come un buon gioco in un momento sfortunato. Se arrivasse immediatamente dopo un nuova grande avventura di Rocksteady dedicata a Batman, o magari addirittura a Superman, sarebbe molto più facile digerirlo per ciò che è realmente, ovvero un classico sparatutto in terza persona fondato sulle tradizionali meccaniche da looter-shooter cooperativo. La realizzazione della città di Metropolis rende onore all'eredità dello studio, le versioni corrotte dei supereroi DC sono azzeccate, la pulizia del gameplay è una testimonianza del talento degli sviluppatori, eppure fin dalle prime ore si ha la sensazione che nell'idea di base ci sia qualcosa di profondamente, irrimediabilmente sbagliato. La Suicide Squad offre un'esperienza vivace e divertente, ma dalla Rocksteady che ha rivoluzionato l'universo dei giochi su licenza - toccando le vette più elevate del mondo supereroistico - è inevitabile aspettarsi produzioni con un'ambizione diversa.

CERTEZZE

  • Metropolis è il teatro di una trama più ricca del previsto
  • Il gameplay e il sistema di movimento funzionano a meraviglia
  • Rocksteady non ha perso il tocco creativo né l'esecuzione tecnica

DUBBI

  • La linea comica nella caduta dell'Arkhamverse è molto rischiosa
  • Qualche limite di troppo generato dalla struttura cooperativa
  • Nonostante l'esecuzione, l'idea di base sembra piuttosto datata e farà tanto discutere