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Una prigione cinese costringe i detenuti a giocare a World of Warcraft

Gli MMORPG come sanzione per una vita dedita al crimine

NOTIZIA di Simone Tagliaferri   —   27/01/2015

Pensate, c'è chi paga per giocare a World of Warcraft tutti i giorni, per ore e ore. No, non stiamo parlando di appassionati del gioco, ma di carcerati cinesi della prigione di Nahe, in Heilongjiang, una regione all'estremo nord della nazione. Insomma, perché costringere i carcerati ai lavori forzati, come succede altrove, quando li si può condannare a un'attività molto più alienante e fruttuosa? Nel 2006 la prigione di Nahe acquistò duecentocinquanta computer. Due piani della struttura furono convertiti in stanze da gioco dedicate ai titoli online, incluso quello di Blizzard. Battute a parte, non c'è niente di divertente in questa faccenda, perché i prigionieri sono costretti ad accumulare moneta di gioco per poi trasformarla in moneta vera e, nel caso non raggiungano la quota stabilita, vengono picchiati dai custodi, a volte in modo talmente brutale da causare ferite permanenti, come riportato da alcune fonti.

La prigione di Nahe è da tempo conosciuta per i suoi metodi brutali e per sfruttare i prigionieri in ogni modo possibile e immaginabile, addirittura con l'apertura di una caffetteria per i prigionieri dai prezzi maggiorati rispetto a quelli del mercato cinese. Con gli anni sono stati riportati moltissimi tentativi di suicidio e racconti di angherie varie subite dai carcerati all'interno di quelle infauste mura, roba da fare accapponare la pelle.

Fonte: The World of Chinese