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Colori anomali

Può un'idea molto semplice trasformarsi in un grande gioco?

RECENSIONE di Simone Tagliaferri   —   15/05/2013

Al nono bicchiere di birra il gameplay di Dyad, affascinante simulatore di corridoi colorati, diventa cristallino. Se lo asciughiamo all'osso, possiamo descriverlo come un racing game dentro dei tunnel colorati con vari obiettivi da raggiungere per ottenere le tre stelle che segnano una gara eccellente. Ogni livello ha delle sue meccaniche peculiari, che diventano sempre più complesse di schema in schema.

Colori anomali

In realtà non è proprio vero, nel senso che spesso a un livello in cui viene introdotta una nuova meccanica, solitamente spiegata da un tutorial animato, ne seguono alcuni in cui la stessa viene approfondita e sviluppata. Per farvi degli esempi concreti, nei primi livelli bisogna semplicemente afferrare delle sfere di luce in sequenza, in altri successivi bisogna raccoglierle in coppia (a seconda del colore), mentre andando avanti si arriva a dover afferrare dei nemici, toccare lateralmente la sfera in cui li si è imprigionati, per accumulare un boost con cui sfrecciare contro i nemici stessi. Ora, immaginiamo che qualcuno di voi avrà sicuramente capito male, credendo addirittura che Dyad disponga di un gameplay complesso. In realtà la crescita della sfida è così graduale che non c'è mai un singolo momento in cui non si sa cosa fare, tranne nel caso in cui all'apparire dei tutorial si decida di fare un po' di flessioni evitando accuratamente di leggerli. Alla fine di ogni livello, a seconda della prestazioni, vengono assegnate delle stelle e si sbloccano delle sfide supplementari; delle versioni molto più difficili di quella base. Ovviamente lo scopo finale, oltre che avanzare verso la fatal corsa finale, è quella di battere record su record per vantarsi con gli amici della propria abilità.

Flusso d'incoscienza

Dyad non è solo meccaniche di gioco. Anzi, Dyad è soprattutto il suo lato estetico. Gli sviluppatori sono stati attentissimi a rendere unica la parte visiva,

Colori anomali

creando dei tunnel di luci e colori che sembrano usciti da un disco dei Pink Floyd suonato dai Tangerine Dream sotto acido, perfettamente accompagnati da musica elettronica ed esplosioni soffuse. Insomma, sembra una tesi di laurea su Jeff Minter fatta videogioco. Il livello di dedizione verso il suo concept reale, considerabile tale al punto che possiamo definire secondarie le altre meccaniche prima descritte rispetto alla semplice volontà di stupire e ammaliare il videogiocatore, porta a una serie di paradossi non sempre positivi. Ad esempio le fasi avanzate diventano un puro flusso di incoscienza in cui le meccaniche di punteggio si perdono nelle sfumature arcobaleno che appaiono continuamente sullo schermo. Parafrasando: lì dov'è richiesta più abilità ci si trova a dover combattere con la difficoltà di individuare gli elementi attivi dello scenario e si arriva a pensare che si riesca a vincere più per la forza del caso che per effettiva capacità. Quasi verrebbe voglia di disattivare il gioco e farsi un viaggio allucinato lungo i tunnel senza dover stare a pensare a come afferrare palle luminose o a come sfiorare nemici senza finirgli addosso.

Colori anomali

Questa sensazione di quasi inutilità del giocato rispetto al visivo è magnificata dal ventisettesimo livello, che altro non è se non un lungo sfogo di quanto Dyad avrebbe voluto essere nei ventisei livelli precedenti, ossia psichedelia allo stato puro in cui è davvero difficile andare oltre la fortuna per segnare punteggi elevati (probabilmente se avete un colpo d'occhio eccezionale a voi andrà molto meglio). Ecco, da Dyad non aspettatevi tanto un videogioco, quanto l'espressione di uno stile che non ha nessun'altra ambizione di esporre se stesso. Se l'idea non vi lascia indifferenti, allora lo amerete alla follia, ma gli altri badino bene che difficilmente andranno oltre le due ore di gioco, tempo più che sufficiente per esaurire tutti i contenuti proposti, anche perché proprio la subordinarietà delle meccaniche all'aspetto estetico potrebbe privare le stesse di interesse ben prima della conclusione dell'ultimo livello.

Conclusioni

Multiplayer.it
7.0
Lettori (6)
6.4
Il tuo voto

Dyad è particolare in molti sensi. All'inizio prende, non tanto per le sue meccaniche di gioco, pur accattivanti nella loro apparente varietà, quanto per la capacità della grafica psichedelica di ammaliare il giocatore dentro spire di estatica potenza. Insomma, si guarda il monitor rapiti dai corridoi astratti che compongono i ventisette livelli, dove i colori e i suoni s'intrecciano in modo caleidoscopico seguendo le azioni del giocatore. L'effetto è grandioso, ma ha una durata limitata. Passato lo sballo si rischia seriamente di trovarsi spaesati alla ricerca di qualcosa che spinga a giocare ancora, e non parliamo di uno sballo di molte ore, ma di qualche decina di minuti, ossia il tempo necessario per concludere tutte le sfide principali (comunque non sperate di macinare record giocando una sola volta ogni sfida). Insomma, Dyad è estetica piegata a un gameplay appena discreto. Può prendere e qualche sfida è gustosa da rigiocare più volte, ma non è detto che riesca a superare il tempo dello stupore che suscita nella prima ora di gioco.

PRO

  • Esteticamente ammaliante
  • Meccaniche di gioco varie e immediate...

CONTRO

  • ...purtroppo non profondissime
  • Se non si corre per i record, dura pochissimo

Requisiti di Sistema PC

Configurazione di Prova

  • La redazione usa il Personal Computer ASUS CG8250
  • Processore Intel Core i7-3770K @ 3.50GHz
  • 16 GB di RAM
  • Scheda video NVIDIA GeForce GTX680
  • Sistema operativo Windows 8

Requisiti minimi

  • Sistema operativo: Windows XP, Vista, o Windows 7
  • Processore: i3
  • RAM: 1 GB
  • Spazio su disco: 1337MB
  • DirectX: 9.0c

Requisiti consigliati

  • Processore: i5
  • RAM: 2 GB