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Il Male più interiore

Quali orrori ci aspettano nel mondo contorto creato da Shinji Mikami?

RECENSIONE di Massimo Reina   —   14/10/2014

Per i videogiocatori di tutto il mondo, Shinji Mikami è e resterà sempre il papà di Resident Evil e del survival horror moderno. Chiaro che quando qualche anno fa sulle sue pagine di Famitsu venne rivelato che l'artista era al lavoro su un nuovo progetto intitolato Zwei, con il quale prometteva di riportare il genere ai fasti qualitativi di un tempo, la comunità di appassionati non poteva che entrare in fibrillazione. Prodotto da Bethesda ma sviluppato completamente da Tango Gameworks il gioco, che attinge a piene mani da alcuni dei massimi esponenti del genere, è finalmente pronto ad esordire sui mercati di tutto il mondo, e noi lo abbiamo recensito per voi. Evitando di impelagarci in troppi spoiler, diciamo da subito che la trama alla base di The Evil Within ruota intorno al detective Sebastian Castellanos, e di una "forza" oscura e potente che sembra aver contaminato dapprima un ospedale psichiatrico, dove si registra un vero e proprio massacro di pazienti, medici e poliziotti, e poi l'intera città. In un clima inquietante e carico di mistero, Sebastian si ritrova ad affrontare un incubo senza fine, dove non sempre è chiaro cosa sia la realtà e cosa, invece, frutto di una qualche forma di follia.

Il nuovo incubo partorito dalla mente di Shinji Mikami è un omaggio ai classici del survival horror

Male nostrum

Di certo nulla è quello che sembra e Mikami è uno di quegli autori giapponesi in grado di dare un tocco cinematografico alle sue opere anche avvalendosi di citazioni e riferimenti assortiti. In questo caso attraverso spunti e idee prese dal cinema horror e, come vedremo, anche da altre produzioni videoludiche. Una volta cominciato a giocare, l'atmosfera è decisamente surreale, e fin dalle prime battute si respira un senso di inquietudine e di mistero nel ritrovarsi nel bel mezzo di un incubo, senza riuscire a capire cosa stia accadendo. Sensazioni subito amplificate dalla situazione di assoluto abbandono vissuta dal personaggio, dai corridoi bui e angoscianti, dagli ambienti corrotti di cui sembra quasi di poter sentire l'odore di muffa, sangue e marcio.

Il Male più interiore
Il Male più interiore

Di fronte a un terrore inimmaginabile, quasi lovecraftiano, nei panni di Sebastian l'utente deve esplorare ambienti paurosi, risolvere dei semplici enigmi e combattere per la sua sopravvivenza. E per farlo deve ricorrere a ogni mezzo. Nelle fasi più "tranquille", soprattutto quando si esplora o si cerca d risolvere degli enigmi, il gioco sembra strizzare l'occhio ai primi capitoli di Silent Hill, con gli ambienti opprimenti, che a volte cambiano davanti al protagonista, i rumori sinistri, gli spazi bui, la filigrana sullo schermo e il character design di alcuni nemici. E' in questi frangenti che la produzione di Tango Gameworks riesce forse a mettere addosso la giusta dose di tensione all'utente, preoccupato che l'impercettibile suono sordo di passi alle sue spalle, o la lampada al neon che si è appena fulminata lasciando nell'oscurità l'angolo adiacente a un passaggio, non siano dei segnali di qualche pericolo nascosto. Quando invece la situazione vede Sebastian impegnato nella difesa estrema della sua vita, l'orrore inizialmente più viscerale, quasi intimo, si trasforma in qualcosa di diverso, e trascina il giocatore in un incubo "mutante", fatto di combattimenti, realtà parallele e scene splatter, per un mix di elementi che per alcune meccaniche appare palesemente ispirato al quarto capitolo di Resident Evil, anche se in forma più evoluta. Come nel caso del sistema di controllo, paragonabile a quello di un moderno sparatutto d'azione in terza persona, con la possibilità quindi di sparare e muoversi contemporaneamente, o nella possibilità di fare un po' di crafting, e far evolvere perfino le abilità del protagonista. Raccogliendo infatti delle apposite bottigliette sparse in giro per gli scenari, e trovando uno specchio per uno spostamento dimensionale in un ospedale, Castellanos può usarle per potenziare se stesso e le sue armi. Nel primo caso si possono migliorare le caratteristiche del detective, come aumentare la sua barra energetica o la resistenza fisica dopo uno scatto, mentre nel secondo si può lavorare sul moltiplicatore di danno o sulla velocità di ricarica delle armi, e così via. In termini di gameplay, invece, la firma di Mikami è evidente anche per quanto riguarda il tipo di visuale, che si trova di spalle e leggermente spostata sulla sinistra, o in alcune soluzioni applicate ai combattimenti corpo a corpo e al sistema di mira, che però, specie quando i mostri sono troppo vicini, talvolta stecca un po' risultando poco fluido. L'interfaccia invece è stata notevolmente ridotta per interferire il minimo possibile con l'azione.

Dalle origini della serie di Capcom, Studio Tango ha voluto poi cogliere pure l'anima survival dell'esperienza, mettendo a disposizione poche munizioni, da dosare con cura. Rimanere del tutto a secco è abbastanza improbabile, ma la quantità di proiettili è sufficientemente risicata da fare in modo che il giocatore non abusi mai troppo del grilletto. Per giocare ulteriormente con questa idea, gli sviluppatori hanno fatto si che Sebastian potesse essere in grado di colpire a pugni i suoi avversari, di utilizzare delle mine, o di sfruttare a proprio vantaggio le trappole che infestano certi ambienti (ci sono per esempio tagliole ed esplosivi a rilevazione di movimento, che possono tra l'altro essere disinnescati, per raccoglierne i pezzi e riciclarli per creare dei dardi per la balestra, una delle armi del gioco).

Il Male più interiore

Il titolo in questo senso spinge il videogiocatore a un uso intelligente delle risorse a sua disposizione, a riprovare alcune volte certe situazioni, a studiare quasi l'ambiente e le creature da abbattere, prima di venire a capo del problema ed eliminare la minaccia. In questo modo, morte dopo morte, l'utente può diventare più esperto e consapevole della posizione e del comportamento di ogni nemico, e di ogni trappola piazzata nell'area. Un'idea tutto sommato interessante, ma che forse può scoraggiare i giocatori meno pazienti. Soprattutto perché in realtà è sempre consigliabile muoversi con circospezione, visto che The Evil Within è un gioco difficile. Molto difficile. E lo scontro è spesso la soluzione più sbagliata, soprattutto se giocato, come abbiamo fatto noi, a livello Sopravvivenza. Il videogiocatore può allora agire nell'ombra, distrarre i nemici lanciando delle bottiglie, prenderli alle spalle per un'uccisione silenziosa o attirarli, come accennato prima, in trappola. Se da un lato, come detto prima, il prodotto è caratterizzato da una direzione precisa, forte di una solida base "tradizionalista", dall'altro sembra predisporsi anche all'apertura verso elementi nuovi, chiaramente ispirati alle fasi stealth dello splendido The Last of Us. Nel bestiario di The Evil Within ci sono vari tipi di nemici, la maggior parte dei quali ci hanno ricordato gli Shibito di Forbidden Siren, e altri caratterizzati da un aspetto decisamente disturbante, con pattern di attacco, dimensioni e momenti di "apparizione" differenti. Sta al giocatore decidere il da farsi. Nel caso invece dei grossi "boss", alcuni dei quali praticamente imbattibili, la soluzione migliore resta la fuga. Certe evasioni sono abbastanza lineari, altre lo sono un po' meno, ma non tutte sono uguali. In determinati momenti, Sebastian può infatti scamparla semplicemente scattando lontano dal nemico e schivando alcuni ostacoli, mentre in altre situazioni deve fare anche attenzione alle trappole che il nemico lancia o piazza nelle vicinanze.

Trofei PlayStation 4

The Evil Within offre 42 trofei, suddivisi in 28 di bronzo, 9 d'argento, 4 d'oro e uno di platino. Per ottenerli basta progredire nell'avventura, soddisfacendo richieste come per esempio recuperare ogni collezionabile del gioco, potenziare ogni arma o sconfiggere particolari nemici. Più complessi sono invece i due che richiedono di completare il gioco in modalità AKUMU o entro cinque ore.

Dimensione terrore

Tutto perfetto, quindi? La risposta è "nì". A voler essere pignoli, infatti, si potrebbe dire che quello che è la forza del titolo, cioè a dire il voler essere simile ai grandi classici del genere, potrebbe al contempo costituire anche il suo limite. Questo perché magari coloro che non vivono di "pane e survival", o che sono alla ricerca di un titolo ricco di novità o dall'impatto stupefacente, potrebbero non apprezzarlo fino in fondo, scorgendo in esso una certa ripetitività di fondo in alcune meccaniche, o percependo quasi una sensazione di "già visto" in alcuni momenti di gioco. In realtà a nostro modo di vedere, a parte la mancanza di originalità (che non sempre è un male), l'unico grosso difetto che si può imputare alla produzione è una certa incapacità nello spaventare realmente il giocatore. Non che in tal senso manchino spunti per saltare sulla sedia, ma certo questi momenti sono pochi in relazione alla volontà espressa più volte dall'autore, di rinvigorire il genere survival terrorizzando il pubblico. In ogni caso, secondo noi bisogna guardare al gioco di Mikami senza pregiudizi, quindi come a un titolo che omaggia, lo ribadiamo, i survival tradizionali senza fronzoli o rivoluzioni di sorta. Per il resto, passando ad analizzare l'aspetto tecnico, c'è da dire che The Evil Within è piacevole: il level design è abbastanza vario, gli scenari differenti gli uni dagli altri, almeno da un certo punto in poi, e la modellazione dei personaggi principali è buona (un po' meno quella degli altri).

Il Male più interiore

Globalmente si nota una certa capacità di mantenere la qualità media sempre allo stesso livello, grazie alla versione adattata dell'id Tech 5, l'engine firmato id Software. Trattandosi però di un prodotto a cavallo tra due generazioni, dal punto di vista estetico il gioco risulta qualitativamente ancorato più alle "vecchie" console che a quella raggiungibile sui sistemi odierni.

Il Male più interiore

Il colpo d'occhio non è male, e la grafica riesce a restituire appieno tutta l'atmosfera inquietante e contorta dell'universo da incubo in cui si ritrova il protagonista, complice la cura riposta da Mikami nella regia e nei dettagli, come per esempio le scie di sangue sul terreno, i corpi straziati, e i tanti angoli bui, a loro volta valorizzati dal sapiente uso delle fonti di luce e dai susseguenti giochi d'ombra. Senza contare la buona qualità dei particellari: dal fumo generato dalle fiamme alla nebbiolina degli ambienti umidi, fino ai detriti che invadono l'aria circostante nelle aree cittadine. L'adozione del formato cinematografico 21:9 anziché del 16:9, poi, si dimostra una finezza per cinefili, con le bande nere che tra l'altro non danno alcun fastidio. Di contro, è anche vero che alcune texture sono abbastanza deludenti, specie quelle utilizzate per taluni personaggi o per alcuni elementi che costituiscono gli scenari: viste a distanza ravvicinata, sono grezze e generalmente piatte. Senza dimenticare certi elementi di contorno, come per esempio gli insetti che infestano le case, che sono praticamente 2D, e si muovono proiettati sulle pareti o sul pavimento. La nostra sensazione è che anche l'effetto disturbo dell'immagine alla Silent Hill, sia un escamotage per camuffare alcuni difetti grafici più che una "semplice" scelta artistica. Dove Tango Gameworks ha operato in maniera ottimale è il comparto sonoro, con tanto di parlato in italiano. Come avevamo segnalato in una nostra anteprima, fatta eccezione per qualche sfortunata traduzione dei testi, e un paio di battute del protagonista doppiate in modo poco convincente, il risultato è buono. Decisamente ottimi gli effetti audio, con tutto il campionario di grugniti, rumori sinistri, effetti ambientali e quant'altro si possa "desiderare" in un prodotto del genere, così come la colonna sonora, piuttosto azzeccata, capace com'è di dare la giusta carica quando richiesto, o di accompagnare i momenti di maggiore tensione narrativa.

Conclusioni

Versione testata PlayStation 4
Multiplayer.it
8.5
Lettori (312)
7.9
Il tuo voto

La sfida più difficile per chi si cimenta con il genere horror è quasi sempre quella di riuscire a stupire e spaventare un pubblico ormai poco avvezzo alle sorprese, abituato da troppo tempo a vedersi sbucare un alieno da un condotto d'aria o uno zombi dall'angolo buio di una magione abbandonata, e di proporre al contempo un concept innovativo e a suo modo originale. The Evil Within preferisce andare sul sicuro, cercando di mettere assieme, quasi omaggiandoli, il meglio delle serie Resident Evil e Silent Hill, aggiungendovi un po' di The Last of Us e qualcosa di suo. Il risultato è un'avventura forse poco originale, ma tutto sommato all'altezza delle aspettative pur non risultando mai sbalorditiva, con una storia scorrevole, un livello di sfida alto e un gameplay in grado di coinvolgere, il cui unico vero difetto è forse il non riuscire appieno nel suo intento di spaventare realmente il giocatore.

PRO

  • Ritorno alle origini del survival horror, ma con alcune meccaniche più moderne
  • Livello di sfida che punta verso l'alto
  • Buona l'atmosfera, sinistra e inquietante
  • Doppiaggio in italiano

CONTRO

  • Scene scriptate poco interessanti
  • Non fa davvero paura
  • Graficamente ha alti e bassi