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Wonder Boy: The Dragon's Trap, recensione

Wonder Boy torna sotto i riflettori con un remake bello e costoso

RECENSIONE di Christian Colli   —   22/04/2017
Wonder Boy: The Dragon's Trap, recensione

Wonder Boy è uno dei brand più importanti e meno conosciuti in assoluto. È una contraddizione dovuta innanzitutto alla sua età: nel nostro ultimo Monografie vi abbiamo raccontato di come la serie sia cominciata nel 1987, il che significa che Wonder Boy: The Dragon's Trap (all'epoca Wonder Boy III: The Dragon's Trap, ma anche Monster World II in Giappone) nello specifico ha ben ventisette anni, essendo uscito nel 1989. La confusa diffusione e nomenclatura dei vari episodi - chiamati un po' Wonder Boy e un po' Monster World, nonché "clonati" nel franchise Adventure Island di Hudson Soft - ha inoltre contribuito a rendere la serie firmata Westone ancora più sfuggente, specialmente perché le migliori release videro la luce solo in Giappone sulle console a 8 e 16-bit di SEGA. Eppure Wonder Boy III rappresenta uno dei pilastri nella nascita e nell'evoluzione delle avventure/platform che oggi chiamiamo affettuosamente "metroidvania". Il piccolo sviluppatore Lizardcube ha quindi deciso di prendere in mano il codice originale e offrire alle generazioni moderne un assaggio di quel che significava giocare negli anni '80: un'operazione riuscita al cento percento, nel bene e nel male. Vi spieghiamo perché nella nostra recensione.

Wonder Boy: The Dragon's Trap è un remake fantastico ma davvero troppo corto per quel che costa

Ritorno al futuro

È semplicemente inutile analizzare Wonder Boy: The Dragon's Trap attraverso un confronto con l'originale per Master System, dato che il remake di Lizardcube sostanzialmente mappa 1:1 il codice originale: in effetti, basta premere il tasto dorsale destro in qualsiasi momento per cambiare grafica e passare dalle splendide illustrazioni e animazioni moderne a quel pugno nell'occhio che oggi ci appaiono gli sprite e i colori della console a 8-bit SEGA.

Wonder Boy: The Dragon's Trap, recensione
Wonder Boy: The Dragon's Trap, recensione

Ironico, visto che all'epoca Wonder Boy III era un gioco tecnicamente sontuoso. La soluzione adottata da Lizardcube è raffinata ed elegante. Premendo lo stick analogico destro, inoltre, è possibile anche sostituire il comparto audio moderno con quello originale e quindi si possono mischiare le carte, giocando per esempio con la colonna sonora antica e la grafica moderna o viceversa. Realisticamente, non c'è motivo per consigliare la vecchia cosmesi, poiché quella nuova ricalca perfettamente ogni frame, ma lo arricchisce di animazioni fluidissime, particolari splendidi e colori pastello che fanno assomigliare ogni location a un fumetto di Skottie Young. Anche la struttura del gioco replica perfettamente quella originale, eccezion fatta per una minuscola aggiunta: prima di cominciare la partita è possibile scegliere se impersonare Wonder Boy... o Wonder Girl, la sua controparte al femminile. Dal punto di vista del gameplay, non cambia assolutamente niente. Anzi, una volta entrati nel vivo del gioco, la scelta perde ogni significato. Wonder Boy: The Dragon's Trap, infatti, comincia quando finiva il prequel originale Wonder Boy in Monster Land: il nostro eroe - oppure la nostra eroina - affronta il Drago Meka nel suo castello, ma viene maledetto alla sua sconfitta e trasformato in un lucertolone antropomorfo. L'unico modo per tornare umani è trovare una potente reliquia, ma dimenticatevi trama o dialoghi: Wonder Boy è un titolo del 1989 a tutti gli effetti, in cui bisogna giocare invece di leggere. Sono poche righe all'inizio e alla fine a spiegarci cosa è successo, il resto è lasciato alla nostra fantasia e interpretazione. Nella fattispecie, una volta trasformati in lucertola e tornati al villaggio di Alsedo, si comincia subito a esplorare il circondario, approfittando di un mondo tutt'altro che lineare e che si estende in ogni direzione.

Personalità multiple

In forma di lucertola, il protagonista di Wonder Boy: The Dragon's Trap può sputare fuoco e accovacciarsi. Sono abilità sufficienti a superare il deserto per raggiungere il primo boss, il Drago Mummia nella piramide: sconfitto il mostro, saremo maledetti un'altra volta e trasformati in un topo capace di camminare sui muri e sui soffitti. L'avventura prosegue in questo senso: ogni nuova forma consente di esplorare zone precedentemente inaccessibili, aprire scrigni in luoghi in cui non potevamo entrare e affrontare nuovi nemici.

Wonder Boy: The Dragon's Trap, recensione
Wonder Boy: The Dragon's Trap, recensione

Ogni boss - ce ne sono cinque, oltre al Drago Meka iniziale - conferisce all'eroe o all'eroina una nuova forma: oltre al lucertolone e al topo, diventeremo piranha capaci di nuotare sott'acqua, leoni in grado di infliggere più danni ai nemici e falchi che possono volare e schivare praticamente ogni scontro. A un certo punto dell'avventura guadagneremo anche la capacità di cambiare forma a piacimento, il che sarà utile per risolvere i rompicapi più intricati e affrontare le combinazioni di nemici più moleste. Nelle trasformazioni del Wonder Boy, infatti, si nasconde una timida sfumatura da gioco di ruolo: i frame delle animazioni rendono ogni animale più o meno efficace in combattimento e alcune armi e armature guadagnano o perdono punti d'attacco o di difesa a seconda della forma con cui le equipaggiamo. Sono tratti ruolistici un po' superficiali che, tuttavia, possono fare una discreta differenza, più che altro perché all'epoca non furono implementati in modo molto bilanciato. A dirla tutta, di bilanciato Wonder Boy: The Dragon's Trap ha ben poco. È un gioco vintage che più vintage non si può, progettato da game designer il cui scopo non era quello di prendere per mano i giocatori, ma infastidirli nei modi più subdoli possibili, magari piazzando i nemici che sparano proiettili in posizioni incrociate fastidiosissime. Sono le stesse sequenze di gioco che, oggi come allora, una volta superate, danno una soddisfazione immensa. Wonder Boy: The Dragon's Trap, infatti, non è un gioco facile, più che altro perché i combattimenti richiedono un tempismo e un'esecuzione pressoché perfetti nella combinazione di salti e attacchi, specialmente quando si controllano forme, come quella del topo o del falco, meno portate allo scontro diretto. Gli stessi boss attaccano seguendo pattern estremamente basilari che, tuttavia, possono dare non poche noie se non si azzecca il momento giusto per attaccare. Nonostante ciò, Wonder Boy: The Dragon's Trap è un gioco estremamente breve, soprattutto se si gode di buona memoria o si prende nota degli ostacoli sospetti via via che si esplora ogni stage. Noi l'abbiamo completato in poco più di tre ore, sebbene ne serva qualcuna in più per trovare ogni arma o collezionabile: pur essendo un piccolo gioiello senza tempo, non siamo sicuri che il prezzo di lancio sia adatto alla sua limitata longevità.

Conclusioni

Versione testata Nintendo Switch
Digital Delivery PlayStation Store, Xbox Store, Nintendo eShop
Prezzo 19,90 €
Multiplayer.it
8.0
Lettori (21)
8.1
Il tuo voto

Wonder Boy: The Dragon's Trap è un remake che dimostra l'enorme affetto e la passione dei ragazzi di Lizardcube, uno sviluppatore che andrebbe davvero premiato per essere riuscito a mescolare passato e presente nel rispetto dell'opera originale, senza snaturarla ma, anzi, ricordandoci come si giocava negli anni '80 col piacere di una veste grafica nuova ed eccezionalmente curata. Purtroppo l'esperienza è brevissima, specie se si ha una certa dimestichezza col genere, e pertanto non ce la sentiamo di consigliare l'acquisto a prezzo pieno se non ai nostalgici o ai fan sfegati di Wonder Boy. Una volta scontato, però, non avrete davvero giustificazioni.

PRO

  • È un remake eccellente e rispettoso dell'originale
  • Direzione artistica incantevole

CONTRO

  • Le meccaniche sono giustamente assai vetuste
  • È cortissimo: si finisce in un paio d'ore o poco più