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L'ultima fiaba del Gooch

Mistwalker rende i suoi omaggi alla console Nintendo con l'ultima, attesissima opera di Hironobu Sakaguchi: ecco il nostro verdetto

RECENSIONE di Christian Colli   —   29/02/2012

Per chi non lo sapesse, "Gooch" è l'affettuoso soprannome di Hironobu Sakaguchi, il vulcanico ometto giapponese che nel 1987 diede i natali al pluripremiato Final Fantasy, un franchise che oggigiorno non ha bisogno di presentazioni. Ne abbiamo parlato in una recente Monografia e vi abbiamo anche raccontato del drammatico divorzio da Square, quando Sakaguchi la abbandonò nel 2001 a causa delle disastrose performance del suo sogno cinematografico, un flop che mandò praticamente in bancarotta una delle software house più potenti degli anni novanta.

L'ultima fiaba del Gooch

Da allora Sakaguchi ha lavorato in Mistwalker, una compagnia diventata celebre più per i suoi collaboratori, il Gooch in primis, che per la qualità altalenante delle sue produzioni. Tra le più celebri ricordiamo Lost Odissey e Blue Dragon per Xbox 360, ma anche un quartetto di titoli per Nintendo DS: capirete quindi l'importanza di un gioco come The Last Story, un titolo già di per sé melanconico, appropriato agli ultimi mesi del ciclo vitale della console Nintendo. Ma il ritorno di Sakaguchi e del suo team è davvero l'incredibile successo in cui tutti speravano?

Una favola finale

C'è un'importante premessa da fare che inizialmente potrebbe causarvi un po' di confusione, ma presto tutto vi sarà chiaro: The Last Story non è un vero e proprio jRPG. O meglio, non è un jRPG nel senso in cui siamo abituati a intendere le più importanti opere di Hironobu Sakaguchi e in effetti è un videogioco che si distanzia parecchio dal suo tradizionale modus operandi. The Last Story è in realtà una vera e propria favola, raccontata perfino da una voce narrante che riporta alla mente il Peter Falk seduto vicino al letto di Fred Savage con il libro in mano ne La Storia Fantastica. Un'ottima prosa e eccellenti dialoghi (sottotitolati in un curatissimo italiano) incorniciano una storia purtroppo eccessivamente banale, figlia di luoghi comuni ai quali siamo abituati da decenni, sopratutto nell'ambito dei giochi di ruolo di stampo giapponese. Il protagonista, Zael, è un giovane mercenario sull'isola di Lazulis, uno dei pochi territori fertili rimasti al mondo.

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Con i suoi compagni, tra i quali spicca il "fratellone" Dragan, Zael sogna di diventare cavaliere e lasciarsi alle spalle una vita di miseria, solitudine e battaglie; Calista, invece, è l'ingenua nipote del conte Arganan, una nobile famiglia che domina Lazulis e che l'ha promessa in sposa a un insopportabile e codardo riccone. Le strade di Zael e Calista si incrociano quasi subito e Zael scoprirà che il misterioso potere dell'Ignoto che ha ottenuto durante una missione è legato a doppio filo con il destino di Calista, dell'isola di Lazulis e del mondo stesso. Ecco quindi un carosello di cliché: il giovane eroe tormentato, la coraggiosa fanciulla dal cuore d'oro, l'effeminato e antipatico nobile senza scrupoli. Per assurdo, i due protagonisti, attorno alla cui love-story ruotano tutti i quarantaquattro capitoli della storia, sono senza dubbio i personaggi più scialbi e stereotipati del cast; i comprimari, in particolar modo i compagni di gruppo di Zael con menzione speciale per la strepitosa Syrenne, spiccano fin da subito per i loro caratteri peculiari e il loro modo di chiacchierare e interagire durante esplorazioni e combattimenti, impreziositi da un intenso doppiaggio, spiccatamente anglosassone e di alto livello. La trama di The Last Story non è assolutamente sgradevole ma è purtroppo assai prevedibile e scontata (quantomeno fino agli eclatanti colpi di scena finali)

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ed è raccontata attraverso un uso fin troppo frequente di cutscene, le quali interrompono l'azione letteralmente ogni manciata di passi, trasformando gran parte della già esigua ventina di ore necessaria a completare la porzione principale dell'avventura in una sorta di film interattivo, in cui il giocatore solo di tanto in tanto combatte, esplora e controlla effettivamente le azioni di Zael e soci. Questa struttura appesantisce la sceneggiatura già frequentemente lenta e stucchevole del Sakaguchi, rendendo alcune sequenze narrative letteralmente soporifere, non a caso è possibile premere un tasto per accelerare o interrompere direttamente lo svolgersi delle cutscene. La colonna sonora è stata affidata a un Nobuo Uematsu meno incisivo del solito: in generale, i brani sono di superba qualità, ma lo stile del compositore ha un tocco questa volta nettamente più "sperimentale" del solito; le musiche tendono infatti a essere contestualizzate agli eventi in corso e durante le esplorazioni regna spesso il silenzio, interrotto unicamente dal rumore dei nostri passi o dal chiacchiericcio dei nostri compagni. Di conseguenza non c'è brano, a parte forse quello introduttivo e l'eccentrico accompagnamento al combattimento finale, che risulti davvero memorabile.

Un racconto interattivo

Non è solo la storia, frammentata e fin troppo narrata, a distanziarsi dallo stile dei più tradizionali jRPG a cui ci ha abituato Sakaguchi, influenzando lo sviluppo di un intero genere videoludico per anni. I capitoli in cui è suddiviso il racconto ricoprono il ruolo di vere e proprie micro-missioni o stage, per usare un termine più consono ai giochi d'azione, un genere che spartisce parecchio con l'ultima fatica di Mistwalker; il giocatore viene infatti guidato per mano e condotto di zona in zona e di vicenda in vicenda, in uno sviluppo lineare ma abbastanza organico degli eventi di cui sono protagonisti Zael e soci. Dimenticatevi l'esplorazione libera, i mondi aperti, il free-roaming: quando accessibile, la mappa di The Last Story si limita a mostrarci location già esplorate che si configurano come veri e propri "mini-dungeon" in cui si incontrano i nemici in punti prefissati, ben definiti dallo svolgersi della narrazione e introdotti nella maggior parte dei casi dalle immancabili cutscene.

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Il giocatore controlla unicamente Zael in terza persona mentre i suoi compagni, fino a un massimo di cinque, vengono gestiti da una discreta intelligenza artificiale. Gli attacchi di Zael vengono sferrati in tempo reale premendo ripetutamente un tasto del controller (una soluzione che ci sentiamo vivamente di consigliare in alternativa all'attacco automatico predefinito) e possono essere concatenati in classiche combo. Combinando la pressione dei tasti corretti è possibile equipaggiare la balestra e mirare in prima persona contro nemici ed elementi dell'ambiente che in alcuni casi possono essere distrutti per ottenere preziosi vantaggi e infliggere danni collaterali. I vari campi di battaglia offrono numerosi elementi che è possibile sfruttare come ripari in puro stile Gears of War o Uncharted, per nominare due titoli celebri: dietro un riparo Zael è nascosto ai nemici circostanti e può ripetutamente sfruttare questa posizione per sferrare devastanti attacchi a sorpresa. Quello che sembra in effetti un sistema di combattimento spiccatamente action e anche un po' banale è influenzato da un'importante meccanica che gli conferisce un sano tocco di strategia: la maggior parte dei danni viene infatti prodotta dalle devastanti magie dei compagni e alcune di esse sono fondamentali per guarire il gruppo e conferire bonus di grande importanza. Il tempo di lancio delle magie è però dannatamente lungo e il minimo attacco può interrompere la formula, costringendo i nostri compagni a ricominciare il rito dall'inizio: entra quindi in gioco il potere dell'Ignoto che permette a Zael di attirare l'attenzione dei nemici. Il giocatore svolge insomma il ruolo di "esca", allontanando i nemici dai suoi compagni in modo che possano recitare le formule magiche in santa pace, sfruttando i ripari per colpire di sorpresa, confondere gli avversari e isolarli al momento giusto.

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Le magie lanciate, inoltre, producono dei cerchi luminosi che è possibile sfruttare in un sistema molto simile a quello di Tales of the Abyss (PlayStation 2, Nintendo 3DS): un'abilità di Zael permette infatti di espandere l'effetto magico dei cerchi, per esempio guarendo tutti i compagni sul campo o generando protezioni e potenziamenti. Nel giro di qualche ora i combattimenti di The Last Story acquisiscono una notevole profondità strategica, purtroppo inficiata inesorabilmente dalla confusione generata da effetti grafici, nemici e personaggi in lotta: a causa anche di una telecamera davvero discutibile, si ha spesso la sensazione di combattere a casaccio, attaccando in direzione quasi casuale per colpire nemici spesso celati al nostro stesso campo visivo da ostacoli o angolazioni sfortunate della ripresa. La sfida offerta dalle forze nemiche è inoltre clamorosamente bassa, grazie anche al sistema di resurrezione automatica che può essere sfruttato fino a cinque volte per scontro; la situazione migliora invece nel caso dei boss che generalmente affronteremo alla fine di ogni capitolo: questi nemici vanno sconfitti utilizzando particolari strategie che sfruttano i loro punti deboli o particolari combinazioni di armi e magie, in uno stile che ricorda non poco i memorabili boss di The Legend of Zelda e che offre battaglie più che soddisfacenti.

Una storia controversa

Quando The Last Story offre al giocatore una maggiore libertà, affiora la sua natura di tipico jRPG in cui la gestione di equipaggiamento, missioni secondarie ed esplorazione diventa un'attività di grande importanza. L'equipaggiamento dei personaggi, colorabile a piacimento, può essere acquistato o trovato sul campo di battaglia, spesso scelto casualmente dal gioco attraverso un'inquietante sistema a roulette che dovrebbe, almeno in teoria, incentivare alla ripetizione dei vari scontri. Gli oggetti possono essere potenziati pagando in denaro e materiali e quasi tutti acquisiscono capacità secondarie con il susseguirsi degli upgrade.

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La maggior parte dei negozi e delle sidequest sono accessibili dalla città principale del gioco, un immenso hub non particolarmente facile da navigare che include anche la tipica arena per mettersi alla prova in scontri di difficoltà crescente. Chiude questo cerchio del gameplay una gradevole modalità multigiocatore online che consente di affrontare in battaglia altri giocatori come se fossero comuni nemici, oppure di unirsi a loro per abbattere versioni potenziate dei più minacciosi boss della storia: in questo frangente The Last Story assume l'identità di un Monster Hunter sui generis, in cui è necessario schivare gli attacchi nemici e coordinare magie e abilità per avere la meglio sugli avversari di turno e guadagnare alla fine della partita livelli di esperienza e oggetti rari altrimenti impossibili da ottenere. Appare chiaro, a questo punto, che The Last Story è un gioco che cerca di offrire svariati tipi di esperienze e di distaccarsi dalla tradizione con una struttura e un gameplay diversi da solito; purtroppo, però, ci riesce soltanto in parte, e questa conflitto tra l'essere e l'apparire risulta ancora più chiaro attraverso l'analisi di un comparto tecnico davvero altalenante. Lo stile ricercatissimo e la notevole cura per i dettagli presenti in ogni schermata di gioco fanno a cazzotti con risultati che lo sviluppatore AQ Interactive ha deciso di raggiungere senza forse tenere conto della tecnologia a disposizione.

L'ultima fiaba del Gooch

La resa visiva di The Last Story è un continuo alternarsi di alti e bassi: i modelli poligonali di personaggi e nemici sono meravigliosamente curati e definiti, eppure godono di animazioni legnose e poco realistiche, sopratutto in combattimento, e si muovono in location in cui il contrasto tra i riflessi in alta risoluzione dei liquidi e le agghiaccianti texture applicate a superfici come muri e pavimenti colloca il gioco in uno spiacevole limbo a metà tra Nintendo Wii e Sony PSP. Il problema più grave, probabilmente, è caratterizzato dai frequenti e pesanti cali di frame-rate che si verificano in praticamente qualunque situazione, in combattimento o durante le esplorazioni, che siano all'aperto o al chiuso. L'adozione di molteplici effetti di illuminazione, shader e filtri di vario genere, appesantisce l'engine in modo frequente e consistente, causando spiacevoli rallentamenti ai quali è difficile fare l'abitudine anche dopo numerose ore di gioco. L'impatto visivo immediato è notevolissimo ma i risultati veri e propri lasciano davvero con l'amaro in bocca.

Conclusioni

Multiplayer.it
8.0
Lettori (271)
9.0
Il tuo voto

The Last Story è un progetto forse perfino troppo ambizioso che cerca di distinguersi in tutti i campi senza riuscirci veramente in nessuno di essi. L'aspetto più deludente è probabilmente quello tecnico, un tripudio grafico che crolla sotto il peso di un superficiale tentativo di mostrare i muscoli dell'hardware Nintendo. Ma intendiamoci, The Last Story non è assolutamente un brutto gioco: semplicemente, non è il grande ritorno che ci si aspettava dal Gooch e la sua cricca. Affrontarlo come se fosse un jRPG di stampo classico è l'errore più grande che si possa fare, come dimostrano anche la sua breve durata e l'ibrido battle-system. Resta comunque uno dei migliori titoli disponibili per Nintendo Wii, seppur clamorosamente inferiore all'eccezionale Xenoblade Chronicles di Monolith Soft che, zitto zitto, riesce a fare tutto quello che vorrebbe Sakaguchi e anche meglio.

PRO

  • Cast accattivante e ottimamente caratterizzato
  • Sistema di combattimento divertente
  • Struttura particolare e diversa dal solito

CONTRO

  • Trama stereotipata e prevedibile
  • Tecnicamente troppo ambizioso e pieno di contraddizioni
  • Narrazione troppo invadente