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The Last Faith, la recensione del metroidvania soulslike che si ispira a Bloodborne

L'avventura di Eryk tra abomini e falsi dei rimane troppo aderente al materiale cui Kumi Souls Games si ispira, ma risulta comunque godibile.

The Last Faith, la recensione del metroidvania soulslike che si ispira a Bloodborne
RECENSIONE di Giulia Martino   —   01/12/2023

Nelle strade sporche e cupe di una città che ricorda la Londra vittoriana si muove un avventuriero affetto da una misteriosa malattia del sangue. Queste premesse ricordano da vicino l'indimenticabile Bloodborne di FromSoftware, a tutti gli effetti una delle più chiare fonti d'ispirazione per gli sviluppatori di Kumi Souls Games nella creazione del loro metroidvania soulslike The Last Faith, in particolare dal punto di vista della narrazione e dell'ambientazione: la città di Mythringal risulta spesso una sorta di resa bidimensionale di Yharnam, mettendo altresì in luce le criticità di un'aderenza così forte a un materiale d'origine tanto celebre e ispirato.

Perché in questo modo The Last Faith espone il fianco a ben più di un appunto. Negli sprazzi di lore contenuta nelle descrizioni di oggetti, incantesimi e armi non abbiamo scovato lo stesso fascino, lo stesso richiamo irresistibile presente nel grande lavoro di FromSoftware. Stimolante nel suo sistema di combattimento e pienamente sfidante anche per gli esperti del genere - a patto di non abusare del suo sistema di potenziamenti - The Last Faith vive il suo meglio nei rari momenti in cui riesce ad affrancarsi da un soffocante citazionismo verso Bloodborne e altri riferimenti importanti (Blasphemous è un'altra evidente fonte di ispirazione) e nei crudeli combattimenti contro i boss, specialmente nella prima parte dell'avventura, quando non si è ancora trovata la strada per rendere Eryk la minaccia più pericolosa di tutta Mythringal.

Scopriamo di più su questo cupo metroidvania nella nostra recensione di The Last Faith.

Un mondo malato

Falsi dei, abomini, draghi scheletrici, giganti mostruosi: The Last Faith pone il protagonista Eryk davanti a una carrellata di orrori abbastanza familiari per gli appassionati di videogiochi come Bloodborne
Falsi dei, abomini, draghi scheletrici, giganti mostruosi: The Last Faith pone il protagonista Eryk davanti a una carrellata di orrori abbastanza familiari per gli appassionati di videogiochi come Bloodborne

Il risveglio di Eryk avviene nel segno di parole misteriose, all'interno di un luogo di cui non ha memoria. La sua missione non è chiara: tutto ciò che scopriamo è che il protagonista è affetto da una malattia del sangue capace di degradare la sua coscienza e la sua sanità mentale, e questa patologia è intrecciata a un complesso sistema religioso di venerazione di empie divinità.

Come in tutti i giochi ispirati ai prodotti di FromSoftware, la trama viene disvelata tramite lettere, dialoghi con i personaggi non giocanti, descrizioni di oggetti e incantesimi. Manca però quell'originalità, quello smalto che porta a riflettere per ore e ore sulla narrazione silenziosa portata avanti dai nemici, dalle ambientazioni, dai boss: The Last Faith non osa mai fino in fondo, appoggiandosi eccessivamente a tematiche narrative chiaramente mutuate da Bloodborne e non provando mai a dire qualcosa di autenticamente suo.

Non aiuta una indubbia monotonia nelle ambientazioni, che peraltro colpisce anche uno degli aspetti più importanti in un metroidvania, ossia l'esplorazione. In The Last Faith è essenziale tenere un taccuino sottomano per segnare punti d'interesse o posizioni di personaggi non giocanti che potrebbero tornare utili in futuro, o magari impiegare i segnalini messi a disposizione all'interno della mappa. Questo perché ben presto chiese diroccate, manieri in rovina e umide caverne incominceranno a sembrarci tutte uguali, privi come sono di punti di riferimento chiaramente riconoscibili: in questo senso, altri esponenti del genere metroidvania - tra cui potremmo citare Hollow Knight e Castlevania: Symphony of the Night - sono stati indiscussi maestri, riuscendo a creare ambienti diversificati e strutturati in maniera tale da imprimersi a fuoco nella mente del giocatore.

Una progressione altalenante

Il livello di difficoltà è pesantemente altalenante nella prima parte del gioco, fino a quando non si inizia a puntare tutto su una determinata statistica, potenziare l'arma collegata e vivere per sempre felici e contenti
Il livello di difficoltà è pesantemente altalenante nella prima parte del gioco, fino a quando non si inizia a puntare tutto su una determinata statistica, potenziare l'arma collegata e vivere per sempre felici e contenti

I combattimenti sono certamente il punto forte di The Last Faith. Stimolanti e divertenti, sono capaci di mettere a dura prova anche i veterani nel genere, in particolare nel corso degli scontri coi boss. E se è vero che alcuni posizionamenti dei nemici all'interno delle ambientazioni sono indubbiamente ingiusti e infelici, è altrettanto vero che raramente ci siamo trovati a sentirci realmente frustrati, grazie a un posizionamento degli altari (l'equivalente dei falò di soulsiana memoria) solitamente equo e ben bilanciato.

All'inizio è possibile scegliere una fra quattro classi: picchiatore (con elevata forza e vitalità), canaglia (con un focus su destrezza), osservatore stellare (che punta tutto sulla statistica mente, legata agli incantesimi) e cecchino (con un alto punteggio di istinto e mente). Le statistiche possono essere migliorate presso un apposito personaggio non giocante investendo Nycrux, la valuta del gioco, reperibile in abbondanza dai cadaveri dei nostri nemici. Salire di livello, in The Last Faith, non è un'operazione così complicata: nella versione da noi provata abbiamo riscontrato un elevato numero di Nycrux rilasciato dai nemici base, e in caso di difficoltà nel proseguire può essere una buona idea percorrere più volte le ambientazioni (rigenerando i nemici tramite l'interazione con gli altari di salvataggi) per guadagnare Nycrux e così incrementare le proprie statistiche.

Il livello medio delle battaglie contro i boss è più che buono, anche grazie a una elevata variabilità nelle loro tipologie e pattern di attacco
Il livello medio delle battaglie contro i boss è più che buono, anche grazie a una elevata variabilità nelle loro tipologie e pattern di attacco

Sotto questo aspetto, è un peccato che The Last Faith non incoraggi affatto variazioni nell'approccio del giocatore ai combattimenti. Sono presenti vari tipi di armi, dagli spadoni alle fruste chiodate, ma non è presente alcun modo per variare le statistiche del personaggio (come avviene invece con le Lacrime di Larva in Elden Ring, giusto per fare un esempio recente): ciò fa sì che si tenderà a utilizzare per tutto il gioco la tipologia di arma che scala sulla statistica su cui vogliamo puntare maggiormente, per esempio lo spadone in una build incentrata su forza. Questo sistema porta a infilarsi in un tunnel di ripetitività da cui uscire è semplicemente irragionevole: perché perdere un vantaggio che si fa sempre più forte man mano che il gioco prosegue?

Combattimenti al fulmicotone

Eryk ha a disposizione numerose opzioni offensive e difensive, tra cui spadoni e fruste, una pistola, e poi amuleti, incantesimi, oggetti di potenziamento e di cura
Eryk ha a disposizione numerose opzioni offensive e difensive, tra cui spadoni e fruste, una pistola, e poi amuleti, incantesimi, oggetti di potenziamento e di cura

Il sistema scelto da Kumi Souls Games ha quindi lo spiacevole effetto di appiattire la curva di difficoltà verso il finale, quando il numero di amuleti accumulati, i potenziamenti delle armi e le statistiche ormai elevate portano il giocatore a concludere senza troppi problemi l'avventura di Eryk, della durata di circa venti ore. Fino ad allora, però, abbiamo riscontrato una difficoltà (fattore con alta variabilità soggettiva, intendiamoci) decisamente singhiozzante, sviluppata in maniera poco organica e lineare.

Si trova qui un elemento meritevole d'indagine in ogni videogioco appartenente al genere soulslike: la progressiva perdita di quel senso di paura e pericolo costanti, sostituita dalla consapevolezza di essere diventati, con fatica e sacrificio, la presenza più letale sullo schermo. The Last Faith, come Dark Souls prima di lui, diventa così un parco giochi nel finale, annacquando quell'iniziale timore e riverenza verso i falsi dei e gli abomini che si affrontano tra le strade di Mythringal. Certo, la gran parte dei giochi altro non sono che metafore del miglioramento progressivo dell'essere umano, incarnato idealmente dall'eroe videoludico, ma si tratta di un punto comunque meritevole di indagine e di riflessione, specie per chi - come scrive - trova ben più memorabili le fasi iniziali di ogni soulslike rispetto alle battute finali.

In generale, il piazzamento ben pensato dei checkpoint (rappresentati da altari) fa sì che The Last Faith risulti raramente un'esperienza frustante, nonostante il suo livello di difficoltà tutt'altro che banale
In generale, il piazzamento ben pensato dei checkpoint (rappresentati da altari) fa sì che The Last Faith risulti raramente un'esperienza frustante, nonostante il suo livello di difficoltà tutt'altro che banale

Fortuna che le battaglie contro i boss creano dei momenti solitamente incisivi e interessanti, sia per quanto riguarda gli avversari di stazza e forma umanoide, sia per gli abomini, i dragoni, i giganti. Anche qui si avverte una chiara ispirazione agli universi di FromSoftware, in particolare, ma abbiamo rintracciato una buona variabilità nei pattern di combattimento e un design solitamente azzeccato, complice una pixel art senz'altro piacevole, pur costantemente appiattita su una palette cromatica confinata ai colori freddi (blu e indaco su tutti): a nostro avviso, il lavoro di Kumi Souls Games avrebbe beneficiato non poco da un approccio più coraggioso e postmoderno, capace più di deformare che di omaggiare il materiale videoludico preso come riferimento.

Abilità ed esplorazione

Non mancano ostacoli ambientali di vario tipo: Eryk e il giocatore devono tenere gli occhi sempre bene aperti per sopravvivere
Non mancano ostacoli ambientali di vario tipo: Eryk e il giocatore devono tenere gli occhi sempre bene aperti per sopravvivere

Abbiamo già accennato a una certa monotonia nelle ambientazioni di The Last Faith, nella cui mappa l'indicazione delle porte aperte e chiuse non è sufficiente a fare chiarezza nella mente del giocatore. Ci siamo trovati più volte un po' spaesati, specialmente quando volevamo ritrovare un personaggio non giocante per parlare nuovamente con lui, magari per consegnargli un oggetto chiave.

Il tutto si svolge nell'ambito di una traversata delle ambientazioni segnata dalla progressiva acquisizione di nuove abilità: sconfiggere un boss porta solitamente a sbloccare una nuova capacità di Eryk, che diventa in grado di usare un rampino, scattare a mezz'aria e così via. Queste abilità hanno ripercussioni anche sui combattimenti, rendendoli via via più interessanti e dinamici, ma il loro impatto più significativo è certamente nell'esplorazione: mano a mano si apriranno sempre più percorsi per il nostro Eryk, con un buon numero di aree e boss del tutto opzionali.

Purtroppo il livello del doppiaggio è piuttosto basso: si tratta di un comparto spesso sottovalutato. In The Last Faith, i dialoghi sono spesso privi di mordente e non destano l'interesse del giocatore
Purtroppo il livello del doppiaggio è piuttosto basso: si tratta di un comparto spesso sottovalutato. In The Last Faith, i dialoghi sono spesso privi di mordente e non destano l'interesse del giocatore

Addentrandoci nell'analisi del comparto artistico del gioco, possiamo dire che abbiamo trovato tutt'altro che indimenticabile la colonna sonora, ancorata su un approccio molto tradizionale, fatto di cori e cupe note di violoncello e pianoforte. In sintesi, le musiche fanno il loro lavoro, ma sono ben lontane dal piantarsi saldamente nella testa del giocatore. Piuttosto scarno il doppiaggio in lingua inglese, e talvolta poco curate le traduzioni di testi, dialoghi e menu in lingua italiana.

Conclusioni

Versione testata PC Windows
Digital Delivery Steam
Prezzo 26.99 €
Multiplayer.it
7.0
Lettori (25)
8.0
Il tuo voto

The Last Faith è un viaggio fin troppo familiare per gli appassionati dei grandi esponenti dei generi di riferimento dell'opera di Kumi Souls Games, ossia il metroidvania e il soulslike. Eryk e i suoi comprimari non spiccano vividi sulle pagine di una storia indimenticabile, bensì risultano funzionali a una ventina di ore indubbiamente godibili, ma prive di quel mordente e di quell'originalità che hanno portato altre opere videoludiche a brillare in passato. Buono il sistema di combattimento, così come il design dei nemici e delle ambientazioni. The Last Faith, nel complesso, è proprio questo: un gioco buono, ma senza il coraggio necessario per spiccare il volo e imprimersi a fuoco nell'immaginario dei giocatori, già saturo di visioni d'orrore di stampo vittoriano, e forse bisognoso di un qualcosa di nuovo, di diverso, di più originale.

PRO

  • Combattimenti divertenti e stimolanti
  • Battaglie con i boss spesso molto interessanti
  • Anche i nemici base hanno tanto da dire

CONTRO

  • Le fonti di ispirazione sono fin troppo riconoscibili
  • Nessuna spinta per approfondire la narrazione
  • Fin troppo semplice abusare del sistema di potenziamento