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C'era una volta Bugs Bunny: Lost in Time

Nel 1999 fu pubblicato Bugs Bunny: Lost in Time, titolo sviluppato da Behaviour Interactive che si trasformò in un gioco di culto per la prima PlayStation.

C'era una volta Bugs Bunny: Lost in Time
SPECIALE di Lorenzo Mancosu   —   13/04/2024

Se nella storia dei videogiochi c'è stata una costante, quella è senza dubbio la massiccia presenza di opere interamente ricamate attorno a una licenza di successo: oggi si dice sempre più spesso che l'industria tripla A ha estremamente bisogno di fare affidamento su marchi affermati, ma è dagli anni '70 che i produttori si sono resi conto della potenza delle cosiddette operazioni tie-in. C'è stato un momento in cui la locandina di qualsiasi pellicola hollywoodiana pubblicata finiva per campeggiare sulle vetrate dei flipper e sulle copertine dei videogiochi, e se nel corso dei decenni la tendenza si è leggermente placata è solo perché spesso e volentieri la qualità di tali progetti, realizzati in fretta e furia, non si rivelava all'altezza del traino cinematografico.

La quinta generazione di console ha rappresentato tuttavia un'oasi dorata, specialmente per quanto riguarda il sottobosco dell'animazione, protagonista di una valanga di adattamenti capaci di riscuotere un successo solitamente alieno a operazioni di questo genere. Ciò è accaduto in ragione dell'inaspettata imposizione di un nuovo modello di videogioco, quello del platformer tridimensionale d'ispirazione collectathon, che si dimostrò semplice, duttile e immediato al punto tale da trasformarsi nella culla perfetta per dar vita a piccoli mondi di fantasia. Fu la prima età dell'oro di Traveller's Tales e di sue opere storiche quali Toy Story 2: Buzz Lightyear to the Rescue o A Bug's Life, ma fu soprattutto la cornice ideale per far emergere nuovi contendenti: tra questi c'era anche Behaviour Interactive, lo studio che ha dato i natali a Bug's Bunny: Lost in Time, un titolo che nel nostro paese è venerato alla stregua di una sacra reliquia.

La genesi

Knight-mare Hare del 1955 è stata la principale ispirazione per Lost in Time
Knight-mare Hare del 1955 è stata la principale ispirazione per Lost in Time

La storia di Bugs Bunny: Lost in Time è strettamente legata a quella del suo predecessore Jersey Devil, un platformer tridimensionale sviluppato dall'allora Megatoon Studio che trovò un distributore in Sony Computer Entertainment America, piazzando la società fondata da Rémi Racine sulla cartina internazionale. Infogrames Entertainment aveva infatti appena acquistato i diritti per realizzare videogiochi dedicati al cast dei Looney Tunes, e avendo letto correttamente l'esplosione di quel particolare genere decise di affidare la sua stella più luminosa proprio nelle mani di Megatoon, che nel frattempo aveva cambiato nome in Behaviour Interactive. Fu solo allora, nel 1998, che il game designer Claude Pelletier poté iniziare a immaginare il videogioco dedicato a Bugs Bunny destinato a trasformarsi in Lost in Time, titolo che sarebbe stato pubblicato solamente un anno più tardi, durante l'estate del '99.

Le ristrettezze nei tempi di sviluppo furono indubbiamente mitigate dall'esistenza di Jersey Devil, dal momento che l'opera fu costruita prevalentemente su quell'antico scheletro. Il framework fu adattato alle caratteristiche del coniglio di casa Warner Bros, che per esempio manteneva intatta la capacità di planare del predecessore, ma lo faceva semplicemente utilizzando le orecchie come fossero delle eliche, prima di aprire a opzioni inedite come quella di tuffarsi in delle buche e proseguire scavando al di sotto della superficie. La premessa narrativa fu invece individuata nel corto del 1955 Knight-mare Hare - a sua volta ispirato da Uno Yankee alla corte di Re Artù di Mark Twain - cartone animato che vedeva Bugs Bunny catapultato nel medioevo e accolto da Merlino Munroe, vecchio stregone che abitava la torre solitaria di "Da nessuna parte". Fissati questi punti fermi, uno dei platformer classici più amati di tutti i tempi iniziò finalmente a prender forma.

Il gioco vero e proprio

Finitio 'Da nessuna parte', Bugs avrebbe dovuto viaggiare nel tempo recuperando carote dorate e sveglie
Finitio "Da nessuna parte", Bugs avrebbe dovuto viaggiare nel tempo recuperando carote dorate e sveglie

La sinossi era quanto di più semplice si potesse immaginare: Bugs Bunny, determinato ad andare in vacanza a Pismo Beach, sbagliava strada e s'imbatteva in una macchina del tempo che lo catapultava "Da nessuna parte", luogo in cui Merlino Munroe gli svelava che avrebbe avuto bisogno di raccogliere una serie di sveglie disseminate in varie epoche storiche al fine di tornare "Da qualche parte". L'espediente del viaggio nel tempo permise al team di Pelletier di giostrarsi agilmente fra i cinque principali fondali del progetto, ovvero l'Età della Pietra, il Tempo dei Pirati, il Medioevo, gli Anni Trenta e la Dimensione X, ciascuno di essi tratto direttamente dai confini di uno specifico corto animato.

L'ambientazione preistorica era per esempio ispirata da Pre-Hysterical Hare del 1958 e trovava il suo principale nemico proprio nel Taddeo in versione cavernicola, la Dimensione X e Marvin il Marziano furono invece pescati direttamente da "Un coniglio fra le stelle", mentre il medioevo fondeva le ispirazioni di Rabbit Hood del 1949 e Robin Hood Daffy, dal quale fu estrapolata la personalità di Daffy Duck incontrata nel titolo. All'atto pratico, ciascuno dei singoli livelli si configurava come il classico scatolone nello stile dei collectathon, ovvero piccole mappe più o meno aperte che alzavano il sipario su sezioni a piattaforme, nemici da abbattere e soprattutto oggetti da collezionare quali sveglie, carote dorate e casse ACME.

L'asciutta struttura ludica di Lost in Time prevedeva livelli da esplorare in puro stile platformer 3D
L'asciutta struttura ludica di Lost in Time prevedeva livelli da esplorare in puro stile platformer 3D

Ai semplici input per governare Bugs Bunny si aggiungeva solamente qualche potere garantito da Merlino nell'epoca medievale, su tutti il celebre super salto che poteva essere attivato al grido di "Olly-olly hula hop!", spalancando i cancelli su una componente di backtracking piuttosto invasiva; per concludere definitivamente l'avventura, era ovviamente necessario recuperare ogni singolo collezionabile disseminato nei livelli. Merita una menzione speciale il comparto sonoro, tanto per quel che concerne la musica composta da Gilles Leveillé, poi sparito dall'industria dei videogiochi, quanto soprattutto per il doppiaggio italiano, che affidava i protagonisti alle voci ufficiali di Massimo Giuliani per Bugs Bunny, Vittorio Amandola per Yosemite Sam e Marco Mete per Daffy Duck.

Il destino di Bugs Bunny: Lost in Time

Nonostante la tiepida accoglienza della critica l'opera si è trasformata in un cult
Nonostante la tiepida accoglienza della critica l'opera si è trasformata in un cult

Al momento della pubblicazione Bugs Bunny: Lost in Time raccolse una media di valutazioni di 68 per la versione PlayStation e non arrivò alla sufficienza per quella PC: a ben vedere non si tratta di una sorpresa, perché l'opera di Behaviour Interactive si collocava piuttosto indietro rispetto a capostipiti del genere quali Super Mario 64 o Banjo Kazooie, tanto sul piano meccanico quanto sul fronte puramente tecnico. Di contro, l'avventura di Bugs Bunny ottenne risultati finanziari soddisfacenti al punto da garantire l'emersione di un sequel indiretto, ovvero Bugs Bunny e Taz in Viaggio nel Tempo del 2000, ma soprattutto si trasformò in un videogioco di culto ancora oggi riverito come un classico intramontabile dell'epoca PlayStation. Non c'è da stupirsi: due anni prima della pubblicazione aveva visto luce Space Jam!, pellicola che sfruttò la spinta garantita anche da Michael Jordan per cementare i Looney Tunes come istituzioni dell'intrattenimento moderno.

Nonostante la presenza di eccellenti esperienze tratte dal brand, come Looney Tunes del 1992 per Game Boy o Duck Dodgers Starring Daffy Duck del 2000, Lost in Time non ha mai ceduto la corona della popolarità, al punto tale da generare qualche dubbio riguardo i numeri dell'effettiva diffusione: il fatto che il 20% della base installata di PlayStation sfruttasse console modificate fa sorgere il dubbio che il pubblico effettivo del titolo di Behaviour sia enormemente maggiore rispetto ai numeri delle vendite ufficiali. Ciò detto, è sempre piacevole tuffarsi nei ricordi dell'età dell'oro della quinta generazione di console, proprio perché si tendono a incontrare parecchie produzioni simili a Bugs Bunny Lost in Time: videogiochi che certamente non sono perfetti, per nulla innovativi, talvolta funestati di problemi, ma che sono stati accolti a braccia aperte da un pubblico trainato esclusivamente dalla gioia e dalla meraviglia.