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Le ragioni degli hater

Se attizzi gli animi oltre il punto di non ritorno, poi non puoi lamentarti di subire ritorsioni se qualcosa va storto per colpa tua

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   20/05/2012

L'uscita di Diablo III è stata quantomeno problematica. Tornando a casa dopo aver fatto la coda davanti ai negozi per avere una copia del gioco (parliamo di più di due milioni di pezzi venduti in un giorno), moltissimi acquirenti si sono trovati nell'impossibilità di giocare per via dei server intasatissimi, con code previste anche di ore, che hanno richiesto a Blizzard di fare più di una manutenzione straordinaria.

Le ragioni degli hater

Spieghiamo bene perché magari qualcuno di voi in questi mesi ha fatto sesso e non ha seguito la questione: il DRM di Diablo III richiede di essere connessi anche per giocare in single player, perché ogni personaggio creato è salvato su un server Blizzard e perché, come accadeva in Borderlands, anche se si gioca da soli è possibile che qualcuno entri nella nostra partita per aiutarci. Un sistema simile permette anche di seguire i progressi degli amici (e viceversa), in modo da essere costantemente interfacciati. Insomma, un senso lo ha, diversamente dal DRM di Ubisoft, cui è stato spesso paragonato, che si risolveva in un'autenticazione continua online per nessuna feature extra. In pochi però si aspettavano che proprio la software house che da anni gestisce il colosso World of Warcraft andasse in crisi per problemi di gestione dei server, ma è anche vero che passare da zero a due milioni di utenti nel giro di poche ore è un evento che può riservare sorprese, a prescindere da quanti stress test tu possa aver fatto in passato. Rimane il problema: molti non sono riusciti ad accedere decentemente al gioco per più di tre giorni e l'ira funesta del videogiocatore frustrato, di molto peggiore di quella del pelide Achille, è scoppiata in modo deflagrante su internet.

Manifestazioni d’ira

I videogiocatori non hanno spazi per fare manifestazioni online, ma sanno bene dove andare per fare male: Metacritic. Come sfogare meglio il proprio odio se non piazzando un votaccio al gioco del momento e abbassargli la media del voto degli utenti? Presi da una rabbia incontenibile, molti acquirenti della prima ora di Diablo III si sono riversati sul famigerato sito aggrega voti e hanno iniziato a tempestare l'ultima fatica di Blizzard di zero, portando la media voto sotto il quattro. Qualcuno ha provato a mettere qualche dieci per riequilibrare, ma i tentativi sono stati vani e per ora l'odio ha vinto sull'amore.

A rendere più pesante il giudizio degli utenti è intervenuto il fatto che per qualche giorno sono mancati i giudizi della critica, solitamente più assennati e meno soggetti agli sbalzi di umore di quelli degli utenti (non sempre è vero, ma in generale sì). Il motivo è semplice: Blizzard non spedisce in anticipo codici review a siti e riviste e se si vuole recensire un suo gioco se ne deve attendere l'uscita nei negozi come tutti gli altri (quindi, come tutti gli altri, anche i redattori deputati hanno subito i problemi di lancio). Leggendo le recensioni degli utenti con i zero appare chiaro che il motivo principale di certi votacci è l'impossibilità di giocare, non il gioco in sé. Se togliessimo i voti dati dagli hater e i dieci sparati tanto per equilibrare, avremmo un quadro più chiaro e obiettivo con voti, spesso ben motivati, che vanno dal mediocre al molto buono. Insomma, si potrebbe concludere il discorso con un "siamo alle solite": gli hater si lamentano, ma dimenticheranno tutto appena potranno giocare e, nonostante tutti i piagnistei, i giocatori in generale hanno comunque comprato Diablo III, premiandolo commercialmente. Con lo stabilizzarsi della situazione, il gioco farà il suo corso regolare, magari sarà regalato qualche contenuto extra per compensare, e tanti saluti. Ma non accontentiamoci di registrare la realtà e poniamoci una domanda fondamentale: e se gli hater avessero le loro ragioni? O, meglio, se fossero semplicemente il frutto di un sistema commerciale folle e malato?

Le ragioni degli hater

Se hai speso miliardi per costruire un ponte, poi crollato il giorno dell'inaugurazione, ti meriti tutta l'ironia possibile e anche un po' di sana palta che ti riporti sulla terra. Il problema principale del caso Diablo III non è tanto il gioco in sé, quanto il modo in cui è stato venduto. Sempre più spesso le campagne marketing dei videogiochi tripla A fanno fin troppo leva sull'emotività, cercando di offrire i giochi come eventi, più che come prodotti, e provando a stimolarne l'acquisto compulsivo, ovvero un desiderio irrefrenabile di avere l'oggetto del momento, qualunque esso sia, cui è difficile sottrarsi, in modo da generare fenomeni come le ormai famigerate code, ottime per dare ancora più valore al marketing e per poter sparare numeri sempre più grossi sugli acquirenti della prima ora nei comunicati successivi. È una forma bieca per rendere affascinante il conformismo, che si traduce in fenomeni porno-fetish come gli unboxing e, in casi del genere, negli hater. Un evento, che di fatto assume le forme più ampie del rito, lo crei solo a patto di trasformare i clienti in adepti di un culto di cui tu diventi l'officiante. Si tratta di meccanismi e sentimenti profondi insiti nell'essere umano, che la psicologia, con l'aiuto dell'antropologia e della sociologia, ha da tempo messo al servizio del mercato. Le campagne marketing più grandi servono soprattutto a questo e tutto il materiale che viene reso pubblico, tramite diversi canali, non per ultime le pubblicazioni specializzate, ha il solo scopo di creare terreno fertile per produrre il senso d'imprescindibilità dell'evento, che culminerà con l'arrivo dell'oggetto nei negozi. Il processo informativo pilotato è inevitabile, perché le uniche entità che possono fornire informazioni su quello che stanno facendo sono gli sviluppatori/publisher stessi, che non hanno alcun interesse a mostrare i punti oscuri dei loro titoli in fase di anteprima. Ovviamente, e qui torniamo a Diablo III, quando generi un evento di portata mondiale come ha fatto Blizzard, basato su un forte sentimento di attesa per un momento catartico, ossia l'acquisto, come se un videogioco, o più in generale un qualsiasi oggetto tecnologico, contenesse chissà quale rivelazione mistica o bastasse da solo per elevare a uno stato di grazia da esibire in pubblico (Facebook a che altro servirebbe?), iscrivendo il neo-possessore in un club di eletti formato da una massa comunque informe, devi mettere in conto anche che possa accadere l'opposto di quanto hai provato a programmare in ogni dettaglio. Ogni fenomeno di esaltazione contiene anche i semi della distruzione. Perciò bisognerebbe evitarli a prescindere. La storia dimostra che la folla più allegra e giubilante è capace anche delle più grandi atrocità se non viene accontentata. Non pensa, segue solo un istinto collettivo brutale anche quando positivo, che si produce sommando i sentimenti individuali gonfiati dalla dispersione nel mucchio. Anche internet funziona così e lo scoppio d'odio per il fallimentare lancio del titolo Blizzard non è che l'altra faccia dell'evento/rito. Insomma, hai ghermito la folla (già ampiamente predisposta a essere ghermita), gli hai chiesto di partecipare alla tua messa cantata promettendogli un mondo perfetto, nato dal ricordo di un altro creato molti anni prima, l'hai fatta attendere, l'hai caricata per mesi bombardandola di pubblicità, cercando di fargli intendere che stava per arrivare una specie di nuova annunciazione (fino al prossimo evento, sia chiaro, altrimenti l'industria non venderebbe più niente) e poi ti permetti di fallire? I primi minuti/ore/giorni dopo l'acquisto sono quelli più importanti per la conclusione del rito e tu, nel momento culmine, hai negato ai tuoi adepti il paradiso promesso? Che cos'altro potevi aspettarti se non l'esplosione dell'odio? Quegli zeri su Metacritic sono l'equivalente dei dieci che gli stessi utenti avrebbero messo a Diablo III se tutto fosse andato secondo programma, puro vuoto critico, solo che di fronte al successo non si sarebbe lamentato nessuno e non sarebbe scoppiato nessun caso, perché la sceneggiatura sarebbe stata rispettata a dovere. Quindi sì, gli hater hanno tutto il diritto di mettere zero sottolineando che lo fanno perché dopo tre giorni non sono riusciti ad accedere al gioco, e lo hanno per come il gioco gli è stato venduto e per nessun altro motivo. L'obiettività, l'oggettività, i gusti personali e tutte le belle parole che si usano in genere per descrivere come dovrebbe essere espresso un giudizio, in un contesto simile non c'entrano assolutamente nulla.

Altri punti di vista

L'opinione di Mattia Armani: Fornire un'infrastruttura web gratuita richiede un ritorno e questo, nel caso di Blizzard, è quello di costringere tutti gli utenti dei suoi titoli a far parte del network Battle.net. Quasi una necessità oggi, ma al contempo una forzatura che crea non pochi problemi sia nel caso dei server, come abbiamo notato durante il problematico lancio di mezzanotte, sia per chi ha una connessione ancora arretrata e si trova spesso eiettato malamente dalle partite. Resta comunque eccessiva la marea di valutazioni negative che ha fatto apparire Diablo III come un capitolo minore della serie. Cerchiamo invece di trovare un paio di definizioni più calzanti e corrette, mettendo da parte la, giusta, diatriba per la questione online. Diablo III è diverso, è all'apparenza più corto del secondo capitolo ma è contraddistinto da un design dei livelli decisamente più complesso ed è arricchito da un crafting limitato ma intuitivo e decisamente funzionale all'anima farming del titolo. Un hack & slash unico, nel bene e nel male, il cui difetto maggiore che lo accumuna a moltissimi titoli, Guild Wars incluso, è la necessità, ripagata da un sistema di scambi a 5 stelle, di restare connessi.

Le ragioni degli hater

L'opinione di Pierpaolo Greco: Non voglio puntare ulteriormente il dito su una situazione che probabilmente è riduttivo definire inaccettabile e che purtroppo per almeno 72 ore ha completamente distolto l'attenzione dei giocatori da quelle che sono le reali qualità (o le reali criticità, in base ai punti di vista) di Diablo III. Simone lo ha già fatto abbastanza per tutti. Io per primo sono rimasto invischiato nell'impossibilità di entrare in game per almeno un paio di sere e tra le imprecazioni ed i convulsi battiti di tastiera non ho potuto che pensare ad una singola cosa. Ma perché mai in Blizzard non hanno pensato ad un semplicissimo sistema di coda? In fin dei conti loro per primi l'hanno pensato, strutturato e messo in piedi con World of Warcraft, perché non applicare questa conoscenza anche con l'attesissimo sequel? Se probabilmente era veramente impossibile attutire e gestire le centinaia di migliaia di tentativi di accesso contemporanei (in fin dei conti ci avviciniamo per numeri a un tentativo di attacco DDOS) perché non implementare semplicemente la fila? In questo modo posso limitarmi a inserire una volta sola la password e poi mettermi a fare altro, anche se sono il quindicimillesimo in coda. Perché, almeno dal mio punto di vista, gran parte del nervosismo passa dalla necessità convulsa di inserire quella dannata password centinaia di volte per superare finalmente "l'autenticazione delle credenziali".

L'opinione di Giorgio Melani: Non ho vissuto il lancio da dentro, ma trovo perfetta l'analisi del "rito" fatta da Simone, che tuttavia solleva anche una questione sulla validità di uno strumento come Metacritic, che dovrebbe servire a valutare un prodotto nel suo insieme. Se si considera la chimerica critica videoludica, in linea generale, come una sorta di sistema di consigli per gli acquisti (non nel senso di pubblicità, quanto proprio di guida alla giungla del mercato), assegnare decine di "zero" logicamente immeritati all'interno di un sistema che, come aggregatore, dovrebbe puntare all'oggettività rischia di annullarne la validità. Certo, le recensioni degli utenti sono cosa diversa da quelle "ufficiali", ma allora cosa sono? Lamerate gratuite? È un caso che ricorda un po' l'"affaire Mass Effect 3" e la diatriba ancora peggiore sul finale conclusa peraltro in maniera delirante, con l'ira popolare a piegare quella che dovrebbe essere un'espressione - per così dire - artistica, ovvero il finale di un'opera. Insomma, ben venga lo spirito critico, ma se qualcosa non va proprio come si spera ricordiamoci che all'esaltazione parossistica di un culto del genere si partecipa volontariamente, non si viene proprio costretti a prenderne parte.