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PC Magazine #142

Tutto il mondo del gioco su PC nella rubrica settimanale di Multiplayer.it!

RUBRICA di La Redazione   —   21/12/2013

Negli ultimi anni ci siamo abituati a vedere mod capaci di migliorare e ampliare l'esperienza di gioco. In un paio di casi, ovvero i porting PC di Deadly Premonition e Dark Souls, la situazione è stata addirittura paradossale: il lancio, avvenuto mesi e mesi dopo gli originali su console, presentava gravi problemi che mostravano negligenza e scarsa attenzione da parte degli sviluppatori, ma che sono stati limitati - quando non eliminati del tutto - dall'intervento di Peter "Durante" Thoman, divenuto uno degli eroi del popolare forum NeoGaf. Wired ne celebra la figura con questa intervista. TheGuardian, invece, si chiede quando e con quali modalità i giochi proporranno sistemi economici complessi, portando conseguentemente un nuovo livello di profondità alle nostre esperienze interattive. Il dualismo PC e console di nuova generazione è al centro dell'editoriale di Ben Croshaw su The Escapist: quali innovazioni e quali vantaggi stanno portando i neonati hardware? Quali le prospettive? Sono domande interessanti sviluppate con argomentazioni sensate. Come al solito vi lasciamo con i video: la pagina Tumblr Hacktime raccoglie i migliori documentari disponibili online sulla materia dell'hacking, facendo da prezioso database per una materia interessantissima e molto trattata.

Tutto il mondo del gioco su PC nella rubrica settimanale di Multiplayer.it!

PC Magazine #142

COMPONENTECARATTERISTICHEPREZZO
ProcessoreAMD FX-6350 € 115.00
Scheda MadreASUS M5A99X EVO R2.0 AM3+ € 115.00
Scheda Video AMD Radeon HD 7870 € 135.00
RAM CORSAIR XMS3 8Gb (2x4Gb) ddr3 1600 MHz € 75.00
Alimentatore CORSAIR cx500 v2 500 Watt € 55.00
Hard DiskHard Disk Seagate - Barracuda 500 GB SATA-II 3.5LP 12.4MS 7200RP € 45.00
Lettore-Masterizzatore Ottico Masterizzatore Samsung SH-S223Q € 20.00
CaseCooler Master Elite 360 € 40.00
CONFIGURAZIONE COMPUTER ENTRY LEVEL € 600.00

PC Magazine #142

Siete tutti su Steam che fate il pieno di giochi, lo sappiamo; d'altronde siamo anche noi lì con il carrello pieno. Perciò questa settimana vi presentiamo tre giochi che meritano il vostro tempo e i vostri soldi, e che trovate sulla piattaforma di Valve. A dire il vero uno è ancora in attesa di approvazione: un motivo in più per dedicargli qualche secondo, no?

È sicuramente incompleto, manca per esempio ancora tutta la modalità campagna, ma già solo combattere nell'arena contro l'intelligenza artificiale sembra un'esperienza molto soddisfacente. Parliamo di Overgrowth, da poco disponibile su Steam con accesso anticipato. In questo gioco brutale, sinistri conigli antropomorfi se le danno senza pietà. Il sistema di combattimento è contestuale, ciò significa che gli attacchi e le parate devono essere scelti all'istante e l'azione che ne risulta dipende da come ci stiamo muovendo e dalle contromosse dell'avversario. Non si può stare insomma con la guardia alta o premere tasti a caso. Il risultato sono scontri estremamente fluidi, realistici e spettacolari, nella loro fredda brutalità. Basta un colpo alla testa o una coltellata data bene per uccidere il nemico, o crollare a terra esanimi. Se l'idea vi ispira, e volete sollazzarvi con l'editor dei livelli e le mod, in attesa di ulteriori sviluppi, il gioco è in vendita scontato a 23,23 euro.

Il giovane Tesla è la celebrità più adatta per questo gioco di piattaforme in cui elettricità e campi magnetici rappresentano l'ostacolo principale. Disegnato in stile cartoon, il nostro eroe dai capelli leccati si muove agile tra le schermate, senza interruzioni o rallentamenti. Puzzle, sezioni narrative, scontri con i boss: tutti gli elementi si susseguono con una continuità sorprendente. Grazie anche ai controlli accurati e alle tante idee intelligenti, questo Teslagrad sembra capace di rinfrescare un genere che si ripresenta in una sfilza infinita di titoli, spesso troppo simili l'uno all'altro. Guardate nel video se la cappa polarizzante non è deliziosa e geniale; per non parlare di tutte le altre invenzioni a tema di cui si servirà il giovane scienziato. Infine, l'ambientazione steampunk è la ciliegina sulla torta di un gioco che vi consigliamo di inserire nel vostro carrello natalizio. Lo trovate su Steam o su GOG scontato del 20% a 7,19 euro.

Se vi avanzano dieci minuti di tempo potreste impiegarli per finire GRAIL, un browser game gratuito sviluppato in occasione del Ludum Dare 28. Nei panni di un cavaliere deciso a recuperare il sacro calice, dovremo vedercela con trappole, puzzle, nemici e piattaforme. Ci sono checkpoint e vite infinite a rendere meno arduo il compito, ma non aspettatevi comunque che sia una passeggiata. Al di là dell'aspetto piacevole, uno dei motivi per i quali GRAIL merita attenzione è che si fa tutto con un pulsante. Basta premerlo e, a seconda della situazione in cui ci troviamo, il gioco saprà se farci saltare, attivare un interruttore o mulinare la spada.

Ultionus: A Tale of Petty Revenge racconta l'impresa di Serena S, un'amazzone che ha preso male l'ennesima trollata ai suoi danni su Spacebook e decide quindi di dare la caccia a chi l'ha offesa per fargliela pagare. Perché il suo viaggio debba essere ostacolato da ogni genere di mostro o minaccia naturale non si capisce, ma tant'è. Ci sono sette livelli in tutto: all'inizio ci troviamo a bordo della nostra astronave e il gioco ricorda uno sparatutto della vecchia scuola, poi, senza che possiamo opporci, veniamo abbattuti, e lì comincia la nostra avventura a piedi. Sempre in due dimensioni e a scorrimento orizzontale. La splendida grafica retrò è merito di Andrew "DarkFalzX" Bado, autore di Legend of Iya, mentre per le musiche potete inviare i vostri complimenti a Jake Kaufman. Al momento è disponibile una demo del gioco, mentre per l'acquisto dovete visitare la pagina ufficiale e scucire dieci dollari. Infine gli adepti di Gabe possono votarlo su Steam Greenlight.

di Andrea Rubbini

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Dungeon Master

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Sono anni che chi scrive non gioca a una sessione carta e penna di Dungeons & Dragons, di qualsiasi versione. In realtà gli è difficile ricordare anche molte delle regole che determinavano il suo intrufolarsi in pericolosi labirinti sotterranei pullulanti di mostri dalla dubbia igiene e dall'alito mefitico. Però di qualcosa ha memoria. Un bravo dungeon master sapeva come creare situazioni appassionanti anche nei limiti dei quadrati che componevano le mappe. Trappole, trabocchetti, puzzle da risolvere, enigmi, misteri, agguati letali... tutto era progettato per farti procedere con cautela e osservare il mondo circostante, anche se esisteva soltanto nella tua fantasia. Il dialogo tra giocatori e tra giocatori e master era continuo, perché tra stanze segrete da trovare, magari per scoprire una leva che serviva per dare accesso a un luogo altrimenti precluso ai nostri passi, o piastre da premere in un ordine preciso, suggerito da un dialogo ascoltato in una stanza attraversata un'ora prima, bisognava di volta in volta decidere cosa fare per andare avanti, cercando di non essere troppo avventati. C'erano anche i nemici, difficilmente piazzati per fare numero. Il master intelligente li usava per dare vita a combattimenti che richiedessero un minimo di strategia e che magnificassero le abilità del gruppo, senza rinunciare alla sfida. C'erano anche tesori da trovare, potenti artefatti da raccogliere, boss da sconfiggere; ma tutto era usato con parsimonia, senza eccedere nelle soluzioni più facili per gratificare i giocatori. Era chiaro a tutti che, ottenendo subito una potenza eccessiva, il gioco non avrebbe avuto più senso. L'attesa e le difficoltà rendevano l'esperienza più soddisfacente.

Dungeon Master era un titolo tecnologicamente molto avanzato per i suoi anni. Fu il primo a introdurre i combattimenti in tempo reale in un gioco di ruolo in prima persona (gli altri titoli con dungeon esplorati da questa prospettiva avevano tutti combattimenti a turni) e fu tra i primi a usare il suono stereofonico come meccanica, ossia per suggerire l'avvicinarsi di un nemico.

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Nonostante il "miracolo tecnologico", gli sviluppatori della compianta FTL si sforzarono e riuscirono a non tradire lo spirito delle migliori campagne di Dungeons & Dragons. Le mappe di Dungeon Master erano dei dedali pieni di tutto quello che abbiamo descritto nel lungo paragrafo precedente, ossia dei dedali letali che andavano esplorati palmo a palmo per essere superati e che offrivano ricompense graduali, senza lasciarsi trascinare in eccessi. Ora occorre specificare che questa rievocazione è nata giocando all'ennesimo finto gioco di ruolo spacciato come tale. Nemmeno lo nominiamo, tanto non serve. Lo riconoscerete anche se non ci avete mai giocato. Vi basti la descrizione di un frammento di gameplay: dopo aver superato in pochi minuti ondate di anonime creature, incapaci di rappresentare null'altro che un passatempo, dopo aver lanciato incantesimi come se non ci fosse un domani e dopo aver liberato un prigioniero seguendo un percorso lineare, senza aver dovuto nemmeno cercare la chiave della sua cella, ci siamo accorti di aver raccolto un arsenale di armi magiche di potenza variabile e dai nomi ridicoli. Le abbiamo portate da un mercante di passaggio con in negozio armi e oggetti dalla potenza incredibile e dal prezzo spropositato. Sulla strada percorsa abbiamo affrontato tre mini boss e un boss, le fattezze dei quali quasi stentiamo a ricordare.

Sono altri mondi, altri modi di giocare, altre filosofie su cosa debba o meno contenere ed essere un gioco di ruolo. Non vogliamo discutere su cosa sia più divertente o meno, perché questo lo può decidere solo la cultura e la storia di un individuo e della società in cui vive. Anzi, diciamo meglio: il gameplay del gioco del secondo esempio è sicuramente più divertente per la maggior parte dei videogiocatori contemporanei. Ma non è questo il punto. Il punto è che in Dungeon Master c'era innovazione, ma c'era anche passione. Chi lo aveva creato aveva giocato di ruolo, com'era evidente sin dal titolo, e, soprattutto, aveva ragionato su come innovare senza rovinare quelle che erano state anche le sue emozioni.

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Aveva ragionato su cosa fosse un gioco di ruolo cartaceo e aveva cercato di renderlo il più possibile nei suoi tratti fondanti. Il secondo esempio, invece, è frutto dalla psicanalisi. Il modello di riferimento è quello della tossicodipendenza (senza scherzi), con dosi graduali e sempre maggiori di soddisfacimento effimero date al fruitore per trattenerlo e assuefarlo al gioco. In Dungeon Master è richiesto un giocatore pensante, nel secondo una macchina che continui a premere un tasto a ripetizione fino alla fine dei suoi giorni. Entrambi sono catalogati come giochi di ruolo, ma bisognerebbe mettersi d'accordo su quale "ruolo" si venga chiamati a interpretare. In Dungeon Master eravamo attivi. Non c'era un'arma abbastanza potente che potesse garantire la vittoria davanti a un nemico affrontato con sufficienza e non c'era compensazione all'incapacità. Nel secondo caso siamo diventati passivi, sempre più marginali al contesto ludico e impossibilitati a esercitare altro che il ruolo di macchina della catena di montaggio. Paradossalmente siamo sviliti in quanto persone da chi fa di tutto per soddisfarci. L'amara conclusione è che in Dungeon Master gli sviluppatori ci consideravano loro pari e ci sfidavano in quanto tali. Nel titolo descritto, in cui ne riconoscerete tanti, gli sviluppatori ammettono la nostra inferiorità e ci trattano come incapaci che non possono ambire a nessun altra forma di divertimento se non quella della scimmietta che preme bottoni che gli trasmettono piacevoli scosse elettriche.

di Simone Tagliaferri

Titolo: Dungeon Master
Sviluppatore: FTL
Anno di pubblicazione: 1987
Come reperirlo: Attualmente non c'è modo, se non rivolgendosi al mercato dell'usato, di acquistare una copia originale di Dungeon Master. Se volete provare un'esperienza simile vi consigliamo di acquistare The Legend of Grimrock. Se volete però, esistono alcuni cloni in Java dell'originale. Ad esempio questo qui: link
Perché giocarlo oggi: perché è invecchiato molto bene e se avete voglia o bisogno di un gioco di ruolo intricato potrebbe essere quello giusto.

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Warhammer Online
L'evento di chiusura di Warhammer Online è stato l'ultimo ceffone a uno zoccolo duro di sostenitori che ha retto il moccolo per anni a un gioco in cui non credeva più neppure lo sviluppatore. Il MMORPG targato Mythic Enternaiment e basato sulla famosissima licenza Games Workshop se n'è andato così, senza troppe cerimonie, nella fredda giornata del 18 dicembre, a poco più di cinque anni dal suo lancio.

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L'annuncio della chiusura, peraltro, è stato pubblicato proprio il giorno del quinto anniversario, il 18 settembre scorso, come a dire che non valeva più la pena festeggiare neppure per quei pochi fedeli. In Warhammer Online: Age of Reckoning sono andate storte un sacco di cose, e noi oggi vogliamo parlarne proprio perché solo tre giorni fa ha chiuso i battenti e l'amaro in bocca ci è comunque rimasto, dato che la licenza era davvero importante e amatissima e, tutto sommato, le fondamenta per un eccellente MMORPG c'erano state tutte. Ricordiamo ancora con piacere l'hype che gli si era generato intorno in un momento in cui, nel mercato degli MMO, World of Warcraft sembrava l'unica opzione e certo non era lì che si sarebbero trovate le emozioni delle battaglie campali di Dark Age of Camelot. Erano soprattutto i fan del precedente MMO di Mythic ad attendere spasmodicamente quella che pareva la terra promessa del PvP di tipo "reame contro reame" e furono proprio loro i primi a restare scottati dalla release.

Un lancio tormentato, quello di Warhammer Online, che col passare dei mesi in quel 2008 maledetto non aveva accumulato contenuti, ma anzi li aveva persi: due classi e quattro capitali, per l'esattezza. Una decisione da parte di Mythic che scosse non poco una fanbase già preoccupata dalla recente assimilazione da parte di Electronic Arts e che aveva mostrato non poche perplessità di fronte a una Beta non proprio convincente, soprattutto dal punto di vista tecnico. E poi Warhammer Online era uscito, ed era anche andato piuttosto bene, con più di un milione di copie vendute e oltre ottocentomila iscritti paganti. Warhammer Online era uno dei primi, veri rivali di World of Warcraft nel campo dei MMORPG a sottoscrizione e, credeteci o no, quel primo mese, ma anche quello dopo, parve quasi che Blizzard avesse trovato la proverbiale nemesi.

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Ma poi le magagne tecniche non si risolsero mai e Warhammer Online prese a mostrare il fianco soprattutto sul PvP, che doveva essere il suo fiore all'occhiello e che invece si rivelò una delusione, con le sue classi sbilanciate, il rilevamento di collisioni più nocivo che innovativo e il "baratto" di conquiste che trasformò il RvR più in un reality show che in una guerra senza frontiere. Qua e là, Warhammer Online spiccava pure il volo con la sua atmosfera un po' troppo tetra ma sicuramente coinvolgente, la bizzarria delle sue razze, la particolarità del suo sistema di progressione. Tutto questo, però, non bastò a fermare una vera e propria emorragia di utenti, che scivolarono come acqua tra le dita di Mythic. E poi c'erano le figuracce, inanellate con un ritmo tale che veniva da pensare che lo facessero apposta, la più eclatante delle quali fu quella delle sottoscrizioni multiple addebitate sulle stesse carte di credito, rea di aver mandato temporaneamente sul lastrico alcuni giocatori. Con un curriculum così, chi è che poteva voler affidare il proprio denaro a Mythic? E non che Mythic avesse fatto granché per risolvere la situazione, attenzione: per certi versi, Warhammer Online fu abbandonato al suo destino. Le patch si susseguirono, poco ma sicuro, ma con una pigrizia tale che appariva chiaro come gli sviluppatori - quelli rimasti, perlomeno, dato che in molti gettarono la spugna nel giro di pochi mesi - non ci credessero nemmeno più. Alla fine del 2010, con una mediocre espansione alle spalle, sembrava un girotondo: non miglioriamo il gioco perché tanto ci giocano in pochi e ci giocano in sempre di meno perché il gioco non migliora. Una lenta agonia, un miliardo e passa di dollari in perdita per Electronic Arts. Forse Warhammer Online sarebbe proprio dovuto diventare free to play, ma a a Mythic non passò neppure per l'anticamera.

Nella sua "lettera d'addio", il producer Carrie Grouskos ha rivelato che il team stava per lanciare una versione free to play del gioco in Cina, salvo poi cancellarla all'ultimo momento. Forse non avrebbe avuto molto successo (non l'ha avuto neppure RIFT, per fare un esempio recente) ma magari avrebbe aiutato a risollevare le sorti di un titolo che aveva promesso troppo e poi non aveva mantenuto quasi niente.

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E badate bene che Warhammer Online, nel suo piccolo, ha contribuito parecchio a quello che i MMORPG sono oggi, gettando le basi per idee che sono state riprese dalla concorrenza senza troppi complimenti. Si è parlato tanto delle FATE di Final Fantasy XIV o degli eventi dinamici di Guild Wars 2, ma non sono altro che la versione riveduta e corretta delle innovative "public quest" introdotte proprio da Warhammer Online, pur con quei difetti che sono stati proprio i concorrenti a limare (uno su tutti, la dinamicità della difficoltà). E Warhammer Online è stato il primo MMORPG a introdurre il concetto di "achievement" che oggi appare praticamente in qualunque gioco appartenente allo stesso genere. Warhammer Online, tutto sommato, ci mancherà. Era una fucina di idee che al mercato ha fatto bene, e che in mano a uno sviluppatore diverso avrebbe quasi sicuramente condotto una vita migliore. Resta il malcontento dei fan che gli avevano dato fiducia e il dispiacere di quelli che magari ci hanno giocato fino all'ultimo e che non si sono visti ricompensati neppure con un evento di chiusura degno di questo nome: il massimo che Mythic ha saputo fare è stato implementare degli oggetti che potenziavano i giocatori nel RvR e che andavano comprati... con la valuta stessa del RvR. Ma se al tuo gioco non ci gioca più nessuno, come cribbio se li devono comprare gli oggetti dell'evento di chiusura quei quattro gatti rimasti?! Signore e signori, la Mythic di Warhammer Online: fedele a sé stessa fino all'ultimo.

di Christian La Via Colli

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Tecnologia Nvidia G-Sync - Parla Tim Sweeney di Epic
Per molti anni abbiamo guardato solo il numero di frame contenuti in un secondo di output video senza considerare troppo un elemento che oggi è parte integrante dei test di fluidità. Parliamo dell'intervallo tra un frame e l'altro, spazio di tempo che può essere fortemente irregolare e può aumentare la gravità e la percezione dei problemi che ancora affliggono i videogiochi tridimensionali. Si tratta, ovviamente, dello stuttering, del tearing e di tutta una serie di anomalie visive legate alla mancata sincronizzazione dell'immagine prodotta dalla scheda video con quella inviata allo schermo. Per risolvere il problema Nvidia ha realizzato G-Sync, un chip per monitor atto proprio a sincronizzare l'immagine che esce dal frame buffer della scheda video con quella che appare a video. Ma qual è l'effettivo impatto di questa tecnologia sulla vita di tutti i giorni del giocatore medio? D'altronde con una configurazione è possibile giocare piuttosto bene anche adesso, senza G-Sync. Si tratta di una domanda a cui non è facile rispondere, tanto più che i primi monitor equipaggiati con la tecnologia Nvidia saranno 1080p, una risoluzione che è ancora un obiettivo per le console ma che si appresta a diventare il passato nel mondo dei PC. A dare una risposta, interrogato dalla stessa Nvidia, ecco Tim Sweeney di Epic in un'intervista in cui parla dell'importanza di eliminare artefatti e desync per migliorare l'esperienza videoludica. I benefici del G-Sync, afferma Sweeney, trascendono la potenza del sistema e sono evidenti sia a 30 che a 60 frame.

Gli addii del 2013
La fine dell'anno è in vista e quegli allegroni di Network World hanno deciso di accompagnarci verso l'inevitabile appuntamento con una classifica dei morti eccellenti del 2013, ovviamente pescati nel campo della tecnologia. Il primo, prevedibilmente, è Aaron Swartz, hacker e attivista tecnologico che si è tolto la vita dopo essere stato accusato di furto in seguito alla "liberazione" di tonnellate di articoli conservati negli archivi digitali del MIT. Teorie del complotto, vivacità del personaggio e attualità della questione copyright fanno di Aaron il personaggio del 2013, ma durante quest'anno abbiamo perso moltissimi altri esponenti di spicco della sfera tecnologica.

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Uno di questi è senza dubbio Harry Pile, uno dei ragazzi che ha lavorato al Datapoint 2200 ricordato come uno dei primi computer da scrivania. E, cosa ancora più importante, Pile ha collaborato a realizzare la tecnologia che ha portato alla nascita dell'Intel 8008, il primo microprocessore realizzato per scopi commerciali. Un nome eccellente, indubbiamente al pari di quello di John Harker, veterano di IBM e inventore del Removable Disk Storage, uno strumento all'epoca davvero rivoluzionario che è culminato negli IO Disk ed è stato usato per anni in ambito professionale per essere poi soppiantato dagli HD USB. Celebriamo infine Douglas Engelbart, pioniere dell'interazione tra uomo e macchina e inventore della periferica di controllo più longeva ed efficiente di sempre, il mouse. E sullo stesso piano, nel campo del sonoro troviamo Ray Dolby il cui nome dice assolutamente tutto. E lo stesso si può dire di Amar Bose, non un inventore ma un rifinitore della qualità audio i cui prodotti sono infine giunti alla grande distribuzione. Ma il nome più conosciuto, almeno in questi lidi, è indubbiamente quello di Hiroshi Yamauchi, lo storico presidente di Nintendo rimasto in carica per oltre mezzo secolo.

Avegant Glyph - Visori 3D allo sbaraglio

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Dal giorno dell'annuncio a oggi Oculus Rift, il visore tridimensionale che ha rilanciato il sogno della realtà virtuale, ha superato con successo una campagna di finanziamento su Kickstarter, dimostrato le proprie potenzialità, ricevuto investimenti milionari, si è evoluto e ha attirato a sé personalità celebri del mondo videoludico come John Carmack. Un background niente male ma per ottenere tutti questi risultati sono serviti diversi mesi durante i quali la concorrenza si è organizzata. Valve ha già rivelato di essere al lavoro su un proprio visore e in questi giorni è spuntata Avegant, una nuova compagnia che ha tirato fuori dal cilindro il visore tridimensionale Glyph. Decisamente diverso dal Rift, il display stereoscopico di Avegant non avvolge per intero il campo visivo dell'utente ma copre appena 45 gradi. Eppure promette un'immagine coinvolgente e di qualità estrema grazie alla peculiare tecnologia adottata. Invece dei due schermi stereoscopici del Rift, il Glyph sfrutta due milioni di piccoli specchi che ricostruiscono l'immagine di uno schermo da 80 pollici direttamente nell'occhio di chi indossa visore. I vantaggi, tutti da verificare, dovrebbero consistere nella compatibilità con qualsiasi contenuto video, una cuffia più leggera, peso inferiore e un consumo minore. L'uscita del Glyph è prevista per il tardo 2014, al pari della versione consumer dell'Oculus Rift.

di Mattia Armani