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Il male dentro

E se la rinascita del survival-horror non fosse poi così horror?

PROVATO di Mattia Comba   —   27/05/2014

Dopo aver lasciato Capcom, Mikami è andato in cerca di una nuova dimensione lavorava nella quale dare sfogo alla propria creatività, possibilmente senza le catene imposte da un publisher di peso come quello nipponico.

Il male dentro

La voglia di ritornare alle origini del survival horror gli ha dato la spinta propulsiva per mettere insieme un suo team di sviluppo, i Tango Gameworks, da subito al lavoro nel tentativo di riportare in auge un genere fin troppo bistrattato negli ultimi anni. Recentemente, titoli come Outlast e Daylight hanno fatto sobbalzare sulla sedia anche i giocatori più temerari con le loro atmosfere cupe, i corridoi bui e la generale sensazione di costate pericolo e impotenza difronte a creature mostruose e decisamente pericolose. Nel caso di The Evil Within, invece, Mikami sta dimostrando di non volersi distaccare più di tanto dai suoi lavori precedenti, mantenendo intatta quella vena action che da sempre ha contraddistinto i suoi lavori. Ecco quindi che ci troveremo nei panni di Sebastian Castellanos, detective assegnato ad indagare su un tanto misterioso quanto brutale e inspiegabile omicidio plurimo avvenuto all'interno di un ospedale psichiatrico, nel quale sono stati uccisi anche i primi poliziotti giunti sulla scena. Con questo incipit, invero non troppo originale ma pieno di potenzialità, prende il via una storia dai contorni ancora poco definiti che porterà il nostro protagonista a farsi strada tra nemici umanoidi, orrende creature e situazioni al limite della follia nel tentativo di mettere insieme i pezzi di un puzzle talmente assurdo e contorto da portarlo perfino a dubitare della propria sanità mentale. Carichi di speranza siamo quindi volati a Londra per provare per la prima volta la nuova creatura del papà dei survival horror: è stato un incontro breve, intenso, non particolarmente denso di contenuti ma, purtroppo, un tantino deludente.

E se con The Evil Within la rinascita del survival-horror non fosse poi così horror?

Sull'orlo della pazzia

Per mantenere ancora più riserbo sulla trama principale, la nostra sessione di prova è iniziata direttamente con quello che sarà il quarto capitolo della versione finale, in arrivo nei negozi il 24 ottobre prossimo dopo il recente rinvio.

Il male dentro

Senza introduzioni particolari, ci siamo ritrovati in compagnia di un dottore visibilmente agitato mentre ci facciamo strada all'interno di un villaggio rurale infestato da pericolose creature deformi e armate di tutto punto. Dai dialoghi si intuisce che i due sono sulle tracce della giovane Leslie, una paziente del dottore scappata in preda al delirio dal manicomio dov'era ricoverata. Dopo un po' di girovagare alla luce della luna e qualche incontro tutt'altro che piacevole (in primis quello con il fratello del dottore) riusciamo finalmente a trovare la ragazza, visibilmente confusa e bisognosa di cure. A questo punto però, si manifesta quella che ha tutta l'aria di essere una delle principali figure antagoniste in The Evil Within, ovvero Ruvik, misterioso personaggio apparentemente invulnerabile col potere di apparire in un istante, manipolare lo scenario circostante e lo spiacevole dono di ridurre al minimo la vita del nostro protagonista con un semplice tocco. Vittime dei suoi poteri, in un attimo ci ritroviamo immersi fino alla gola in una stanza piena di sangue con alcuni semplici enigmi ambientali da risolvere per proseguire nel livello.

Il male dentro

In questo caso dobbiamo armeggiare con alcune leve, facendo attenzione a evitare le bombe e le trappole disseminate per lo scenario: rimanendo a debita distanza possiamo disinnescarle ricavandone preziosi componenti e ingranaggi che danno vita a un sistema di crafting potenzialmente interesse, ma che purtroppo non abbiamo avuto modo di testare in prima persona. Il secondo scenario che abbiamo affrontato, il capitolo otto, è incentrato invece su un'unico enigma più complesso, dalla cui risoluzione ricaviamo l'accesso all'ala principale di una misteriosa villa vittoriana, chiara citazione a quella di Resident Evil. Per sbloccare la porta dobbiamo far scattare tre serrature utilizzando il sangue estratto dal cranio di altrettante cavie umane vittime di efferati esperimenti condotti da uno scienziato molto probabilmente implicato nell'indagine di Sebastian. Farsi largo tra i nemici che infestano le stanze della villa non sarà semplice, ma in entrambi i capitoli è risultato cristallino quanto il gameplay di The Evil Within sia maggiormente indirizzato verso l'azione piuttosto che verso l'horror, limitandosi al gore e allo splatter senza mai riuscire a spaventare il giocatore in modo convincente.

Il fuoco è tuo amico

L'idea di Mikami, infatti, è quella di un detective scaltro, equipaggiato con una buona varietà di armi e per nulla intimidito dalla surreale situazione in cui è invischiato. Sebastian, così come Joel in The Last of Us, non indugerà nell'attaccare i nemici alle spalle, distrarli lanciando bottiglie in giro per lo scenario, dribblarli camminando furtivamente per non farsi scoprire o correre via consumando stamina quando necessario.

Il male dentro

Se la situazione si fa critica, può sempre infilarsi in un armadio o scivolare sotto un letto, anche perché in caso di scontro diretto potrà fare affidamento solamente su pochi preziosi proiettili da indirizzare, come da tradizione, alla testa dei nemici per eliminarli in un sol colpo. In tal senso, i fiammiferi si sono rivelati essere una risorsa interessante nell'economia degli scontri, da usare per dar fuoco alle creature stordite oppure per incendiarne contemporaneamente più d'una e farsi strada senza esplodere nemmeno un proiettile. L'arma più versatile è invece la balestra, che con dardi di diverso tipo (esplosivi, accecanti e perforanti) si rivela adatta ad ogni occasione. Durante le fasi più concitate, una volta che ci si sottrae agli attacchi nemici l'energia viene recuperata in modo automatico solamente per una minima parte, mentre per ristabilirla completamente bisogna ricorrere alle classiche siringhe o ai medikit sparsi col contagocce in giro per gli scenari, con quest'ultimi decisamente più complicati da utilizzare. È infatti necessario trovare un luogo appartato prima di spararsi in vena il potente mix curativo che, una volta entrato in circolo, stordisce e disorienta il nostro detective lasciandolo indifeso per una decina di secondi. In alcuni casi, però, tutto ciò non servirà a nulla.

The Truman (splatter) Show

L'incontro con nemici particolarmente potenti e, almeno inizialmente, invulnerabili, sfocia in scene scriptate che hanno il palese fine di limitare le azioni del giocatore, intrappolarlo in spazi angusti e alzarne l'adrenalina, ma con effetti tutt'altro che positivi.

Il male dentro

Incontrare per i corridoi Ruvik o uno dei suoi colleghi ci imprigiona in situazioni così fortemente preconfezionate (in talune occasioni non potremo neanche utilizzare le armi) da innescare un pericolosissimo meccanismo di trial and error con relativa ripetizione della stessa sezione di gioco col solo scopo di uscirne vivi. La prima critica da muovere a questa scelta di game design è l'abbattimento del livello di rigiocabilità: una volta che si è scoperto il meccanismo, infatti, rigiocare un capitolo sapendo già perfettamente come, dove e quando fare qualcosa, toglie una buona parte di coinvolgimento. Secondariamente, in queste situazioni, se non azzecchi l'azione giusta, muori. E muori male. E devi ricominciare dal checkpoint precedente rigiocandoti parte del livello per affrontare nuovamente la stessa scena che, una volta risolta, non ti lascia mai quella bella sensazione di autocompiacimento tipica di un videogiocatore che ha appena superato un passaggio alquanto ostico. Anche dal punto di vista tecnico, siamo rimasti con l'amaro in bocca. La build che abbiamo provato girava su PC, ma il risultato era nettamente inferiore al potenziale dell'id Tech 5. Gli scenari interni ed esterni non impressionano per ricchezza e cura al contrario dei modelli di personaggi e mostri, più convincenti e dettagliati.

Il male dentro

Escludendo gli ottimi effetti di luce, le fiamme e i particellari, abbiamo inoltre assistito a fenomeni di interpolazione poligonale piuttosto frequenti e fastidiosi pop-up delle texture, che ci auguriamo possano essere corretti all'arrivo del titolo nei negozi. Il primo contatto, pad alla mano, con le atmosfere e i toni di The Evil Within ha in parte deluso le nostre aspettative: l'aria che si respira è pesante, densa, quasi venefica e la sensazione che stia per succedere qualcosa di terribile e terrificante ci accompagna ad ogni passo, salvo poi sostanziarsi solamente in scene troppo guidate che soffrono pesantemente i problemi di cui sopra. La sensazione, ancora tutta da verificare in maniera approfondita, è quindi che Mikami sia partito dalla base di Resident Evil 4, l'abbia arricchito con il sistema di controllo di The Last of Us per dargli una maggiore dinamicità, ma abbia fatto un passo indietro sulla componente horror, riciclando il poco convincente artificio del mostro invulnerabile senza riuscire a sfruttarlo al maglio in termini di spavento e coinvolgimento emotivo.

CERTEZZE

  • Resident Evil 4 unito alle meccaniche di The Last of Us
  • Atmosfera sinistra e inquietante
  • Ambientazione e personaggi hanno un gran potenziale
  • Sangue a gogò

DUBBI

  • Scene scriptate poco efficaci
  • Rigiocabilità da verificare
  • Non ci ha fatto paura