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Sparare a salve

Parliamo dell'articolo del Corriere della Sera che secondo alcuni avrebbe associato gli atti terroristici di Parigi ai videogiochi

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   10/01/2015

Ci fa sempre piacere trovare la casella di posta virtuale stipata di segnalazioni di articoli della stampa generalista con scritta qualche grossa corbelleria sul mondo dei videogiochi, e siamo sempre i primi a dare spazio a speciali o ad editoriali di denuncia sulla superficialità con cui spesso si parla del medium videoludico, che spesso nasce dal presuntuoso assunto che sia solo un giocattolo tecnologico per bambini cresciuti (va detto che pregiudizi simili li hanno anche alcuni operatori specializzati del settore, ma questa è un'altra storia).

Sparare a salve

Siamo però anche i primi a considerare sacrosanto che prima di imparare a scrivere bisognerebbe imparare a leggere, ossia che quando si commenta un testo bisognerebbe saperlo analizzare, per non incappare in errori di giudizio grossolani, come trarre conclusioni di massima leggendo solo il titolo. Senza girarci intorno, stiamo parlando dell'articolo del Corriere della Sera titolato "Se la jihad emula le tecniche dei videogiochi" che tanto scalpore ha generato tra la stampa videoludica, producendo la solita levata di scudi. In effetti il titolo promette battaglia, data l'associazione impropria tra i videogiochi e gli attacchi terroristici che in questi giorni stanno coinvolgendo Parigi e il mondo occidentale tutto. Lasciandosi fuorviare dal pregiudizio è facile leggere l'articolo di Guido Olimpio come l'ennesimo assalto al nostro mondo. In realtà, leggendolo con attenzione, non è proprio così. Anzi, nel testo viene proposta una tesi in parte condivisibile: la forte derivazione mediatica di alcuni comportamenti dei terroristi. Attenzione, non stiamo affermando che i media (Olimpio non tira in ballo solo i videogiochi, ma anche il cinema) abbiano influenzato gli attacchi terroristici, tesi non presente nemmeno nell'articolo. Stiamo invece affermando che i terroristi abbiano vissuto e fatto vivere gli attacchi in modo estremamente mediatico. Anzi, diciamo meglio: eroicamente mediatico, almeno dal loro punto di vista; quindi è assolutamente normale che possano aver imitato dei modelli che fanno parte del loro immaginario, magari per galvanizzarsi prima di affrontare la morte che avevano dato per scontata.

Veramente l'articolo del Corriere della Sera associava terrorismo e videogiochi?

La potenza dell'immaginario

Ma aggiungiamo: se le azioni dei terroristi nella realtà non somigliassero a quelle rappresentate nei videogiochi, sarebbe offensivo e sminuente per i videogiochi stessi, soprattutto per quelli estremamente costosi e curati. E qui se vogliamo il buon Olimpio compie un errore di prospettiva, probabilmente in buona fede, perché secondo lui le azioni dei terroristi parigini imitavano quelle viste nei media. La realtà è che un videogioco (come un film del resto) è spesso frutto di studi complessi condotti sugli argomenti che andrà a rappresentare.

Sparare a salve

Ergo, se Rockstar decide di inserire atti terroristici in Grand Theft Auto V cercherà di inventare il meno possibile e studierà invece il comportamento dei terroristi nella realtà, per riprodurlo in gioco nel modo più convincente, con gli ovvi paletti dettati dalle esigenze del gameplay e delle convenzioni di genere. Non c'è niente di scandaloso in tutto questo e anzi, è giusto che sia così: se si vuole creare un'esperienza di gioco coinvolgente e verosimile imitando un fenomeno esistente nella realtà, per quanto brutale esso sia, bisogna studiarlo e riprodurlo in modo tale che i fruitori lo riconoscano nei suoi tratti fondamentali e che non lo mettano in dubbio, così da non spezzare la volontaria sospensione dell'incredulità perdendo ogni possibilità d'immedesimazione nel tessuto videoludico. Secondo voi chi sviluppa la serie FIFA deve conoscere il gioco del calcio? Ossia: tollerereste vedere giocatori che infilano la palla in rete schiacciando con le mani? Assolutamente no, eppure in un contesto virtuale gli sviluppatori avrebbero tutta la libertà di cambiare le regole a loro piacimento. Quindi, a nostro giudizio, l'unico errore commesso dall'articolo del Corriere è il pensare che i terroristi reali imitino i terroristi dei videogiochi, quando in realtà si tratta di un rapporto di scambio reciproco, in cui i due soggetti si avvicendano nel ruolo dell'osservato e dell'osservante.

Niente barricate

Chi ha studiato un po' di filosofia saprà meglio di noi che non stiamo raccontando niente di nuovo o di rivoluzionario, visto che quello sul rapporto tra arte e realtà è un dibattito antichissimo che possiamo far partire per convenzione da Platone e che è stato affrontato infinite volte lungo i secoli che formano la storia umana. Non bisogna stupirsi o avere paura che dei terroristi condividano parte del nostro immaginario. È normale che sia così, perché viviamo nello stesso mondo. Oltretutto quante possibilità ci sono che i terroristi di Parigi, che sono dei giovani cresciuti in occidente, non abbiano mai visto un film o giocato a un videogioco? È assurdo anche solo pensarlo.

Sparare a salve

Questo non significa che i loro gesti siano stati ispirati dai videogiochi, tesi che come già detto non è mai stata avanzata da nessuno, nemmeno dal giornalista del Corriere della Sera, ma non è escluso che possa esserci stata una qualche forma di teatralizzazione, vuoi per un background culturale, vuoi per mandare un messaggio il più chiaro possibile all'occidente sfruttando forme comunicative ben conosciute dagli abitanti di questo lato del globo. Non è un caso a nostro parere che nel momento esatto in cui i telegiornali raccontavano degli ostaggi in mano ai jihadisti, l'opera per eccellenza che mette in scena la lotta tra forze speciali e terroristi, ossia Counter-Strike: Global Offensive di Valve, abbia fatto segnare il suo picco storico di videogiocatori collegati contemporaneamente sui server. Si tratta solo di un'ipotesi, ma la coincidenza è incredibile e dopo molte ricerche non abbiamo trovato altri motivi che possano giustificare il picco di accessi e di vendite proprio quel giorno, in mancanza di offerte o di altre iniziative promozionali di Valve, a parte un aggiornamento contenente una cassa dal valore attuale di circa 6€ nel Marketplace di Steam, con dentro oggetti rarissimi dal valore attuale di circa 300€. Noi continuiamo a cercare e siamo pronti a tornare sui nostri passi nel caso emergano nuovi elementi; se voi sapete qualcosa, commentate o contattateci. Comunque non scandalizzatevi per il nostro assunto perché non è un comportamento da leggere in modo negativo. Se un gioco ci mette nei panni di criminali, deve provare a farci sentire come tali, indicandoci però a fine partita la via d'uscita dal ruolo appena interpretato, agevolando il rientro in noi stessi, cosa che Counter-Strike: GO fa benissimo. In questo caso è giusto sospendere ogni giudizio, rilevando l'impennata di accessi al gioco di Valve solo come un possibile segno di reazione della società che ben conosce i videogiochi ai fatti della realtà, tentando di sublimarli dentro un'opera di finzione ispirata alla realtà stessa.

Sparare a salve

Finché non accetteremo la forza comunicativa del medium videoludico e la sua pervasività, che va ben oltre il mero divertimento, non lo comprenderemo mai pienamente e continueremo a sottovalutarlo noi stessi, pur volendo difenderlo. I videogiochi non dovrebbero avere bisogno di nessuna barricata per esistere, perché la loro libertà di essere usati come forma di espressione dovrebbe essere scontata. Purtroppo non lo è e la strada è ancora lunga per un loro riconoscimento completo e senza fraintendimenti. Nel frattempo è giusto difendersi con buone argomentazioni da chi muova accuse assurde, come quelle della pediatra contro GTA V di cui vi abbiamo lungamente parlato tempo fa, ma è altrettanto necessario che non ci si armi ogni volta che qualcuno fuori dall'industria tenti di confrontarsi con la cultura videoludica in modo lecito, come fatto da Guido Olimpio con il suo articolo, nonostante qualche ingenuità o imprecisione. Perché ricordiamoci sempre che quelli che sparano su chiunque esprima concetti che non gradiscono, chiudendosi a riccio di fronte a ogni tentativo di dialogo, si chiamano terroristi.