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Intervista a Toru Iwatani

Il padre di Pac Man si racconta e immagina il futuro dei videogiochi

INTERVISTA di Lorenzo Fantoni   —   31/10/2015

Se non ci fosse l'Italia non avremmo la pizza e senza la pizza non esisterebbe Pac Man. Tutti conoscono la storia di questa icona dei videogiochi, nata dall'idea di un uomo che voleva avvicinare le donne alle sale giochi e che un bel giorno, osservando una pizza senza uno spicchio, ebbe l'ispirazione per creare uno dei personaggi più riconoscibili di tutti i tempi. Insomma prendiamoci anche noi una fetta del merito, per certi aspetti senza di noi il mondo dei videogiochi non sarebbe più lo stesso. Eppure, al di là di qualche riconoscimento personale e di una serie di promozioni, Iwatani non ha beneficiato in maniera particolare dell'incredibile successo del suo giallo figlioccio, era un semplice impiegato e tale è rimasto fino al 2007, anno in cui ha lasciato l'azienda è si è dedicato all'insegnamento. Oltre a Pac Man e a tutti i suoi spin off, Iwatani ha curato a vario titolo lo sviluppo di circa 50 videogiochi, anche se ovviamente nessuno ha eguagliato i traguardi dell'acerrimo nemico dei fantasmini. D'altronde sarebbe come debuttare in serie A con una tripletta di rovesciate, difficile fare di meglio. Attualmente è professore al Politecnico di Tokyo, ovviamente la sua materia sono i videogiochi e chiacchierandoci si ha l'impressione di trovarsi di fronte a una persona molto gentile e disponibile, che parla con la solennità tipica dei giapponesi e con la serenità di chi nella vita sa di aver creato qualcosa che rimarrà per sempre nella memoria dell'umanità. Curiosamente, quando durante la Games Week siamo arrivati all'incontro, Iwatani-San si stava rilassando in un modo molto particolare: stava facendo shadow boxing, ovvero tirava pugni contro il nulla.

Il creatore di Pac Man adora i flipper e non ama molto i nuovi videogiochi: noi lo abbiamo intervistato.

Un sguardo al presente

Che ne pensa dell'attuale situazione dell'industria videoludica?
Se guardo il mercato di oggi vedo una situazione molto frammentata. Il mercato americano, giapponese, europeo e asiatico sono molto diversi tra loro. Poi c'è la questione delle piattaforme: da qualche anno anche questo scenario sta diventando sempre più eterogeneo, col mobile sempre più importante. Tutti ora hanno uno smartphone e possono giocare in qualunque momento, tuttavia allo stesso tempo limitiamo le potenzialità dei videogiochi a schermi molto piccoli. Dovremmo liberarci dalla limitazione di uno schermo così piccolo ed esplorare altre forme di visualizzazione.

Intervista a Toru Iwatani

Se potesse sviluppare un videogioco oggi, che tipo di gioco sarebbe?
Personalmente amo molto i giochi action, quindi probabilmente sarebbe un gioco di questo tipo. Come dicevo, oggi il mobile è un settore in crescita, ma mi piacerebbe recuperare l'atmosfera delle vecchie sale giochi. Se sviluppassi un gioco oggi dovrebbe essere qualcosa che unisce questi due mondi, dunque un titolo che sia possibile giocare a casa o sul cellulare e poi continuare in sala giochi.

Cosa ne pensa dei giochi di oggi? Le piace Destiny, Metal Gear Solid o qualche altro titolo uscito di recente?
Sinceramente al momento gioco soltanto a un titolo mobile chiamato Q, un puzzle game basato sulla fisica. Un'altra cosa che adoro sono i vecchi flipper, ma non gioco a nessuno dei titoli moderni.

Fantasmini, tute e realtà virtuale

Parlando di Pac Man, lei si aspettava un successo così grande? Ha mai intuito che stava dando forma a una vera e propria icona?
All'epoca fui il primo a essere sorpreso di questo incredibile successo mondiale. Durante il processo di sviluppo io volevo creare qualcosa che piacesse alle donne e fosse appetibile per il mercato arcade giapponese. All'epoca in Giappone solo gli uomini andavano nelle sale giochi e io volevo invertire questa tendenza. Le sale giochi erano posti brutti, sporchi e puzzolenti, credevo che la presenza delle donne li avrebbe resi migliori. Per questo motivo pensai a personaggi che fossero carini e a una meccanica di gioco molto semplice, priva di tasti e mosse complicate. Volevo un gioco che tutti potessero capire e giocare in pochissimo tempo. Questo è stato probabilmente il segreto del suo successo.

E come si è adattato a questa nuova situazione?
Ho progettato Pac Man a 360 gradi, curando ogni aspetto, incluso il merchandising. Visto che il personaggio era molto carino ho presto intuito che potevo farne magliette, peluche e altre cose. All'epoca cucii io stesso i loghi di Pac Man su t-shirt e cappellini e creai i primi prototipi del pupazzo.

Sappiamo come è nato Pac Man, ma può raccontarci qualcosa sui fantasmini?
Fin da subito ho pensato che i fantasmini dovessero essere colorati, sempre per il discorso che doveva piacere anche alle donne. Tuttavia il mio capo pensava che non avesse senso colorarli in maniera differente e voleva che fossero tutti rossi, perché altrimenti non erano abbastanza minacciosi. Ovviamente non potevo dire al mio capo che non aveva senso quel colore e che la mia era migliore, quindi feci un sondaggio nel team per decidere se era meglio usare i fantasmi multicolore o quelli rossi. Fortunatamente il risultato mi diede ragione, quindi ebbi la possibilità di usarlo per convincere il capo senza rimetterci il posto.

Intervista a Toru Iwatani

Ultimamente il dibattito sui videogiochi come arte si è fatto molto acceso, qual è la sua opinione?
Sviluppando Pac Man posi tantissima attenzione al design, recentemente ho sentito Shigeru Miyamoto dichiarare che Pac Man è stato il primo gioco a curare questo aspetto in maniera particolare, mi riferisco non solo al design delle meccaniche ma soprattutto alla parte visiva. Già all'epoca pensavo che fosse qualcosa di artistico, quando ho saputo che avrebbero messo Pac Man al MoMa di New York, vicino a Andy Warhol e altri maestri dell'arte moderna ho capito che avevo visto giusto. Ormai non c'è più da chiedersi se i videogiochi siano arte o meno, lo sono già, altrimenti non starebbero in un museo.

Che cosa si aspetta dalla prossima generazione di console? Cosa vede nel futuro dei videogiochi? Credo che i videogiochi avranno molti futuri, uno di questi potrebbe consistere nelle "Gaming Suits" che ho ideato e che mescolano performance artistica e videogioco, liberando l'utente dalla costrizione del singolo schermo e rendendolo, con i suoi movimenti, parte attiva del gioco. [Durante la conferenza svoltasi poco dopo abbiamo visto un filmato che illustrava quest'idea e francamente ci è sembrata un po' estrema, seppure alquanto geniale. Immaginate di indossare una tuta con degli schermi posizionati in differenti parti del corpo su cui vedere il gioco e fateci sapere se vi immaginate di giocarci nei prossimi dieci anni].

E cosa ne pensa della realtà virtuale? Possibile futuro o mercato completamente differente?
La realtà virtuale è un nuovo mercato che stupisce la prima volta che lo provi, ma stanca troppo sul lungo termine, non è un prodotto pensato per il mercato di massa. L'ideale per me sarebbe smettere di limitare il gioco allo schermo e far sì che l'ambiente diventi il gioco.

Un'ultima domanda... ma perché l'hanno sostituita in Pixel?
Per un motivo molto semplice: non so recitare!