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Da Doom a Doom

Prospettive e aspettative per il nuovo titolo di id Software... sempre che sia ancora id Software

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   24/01/2016

In "Pierre Menard, autore del Don Chisciotte" Borges fa un'analisi dettagliata dell'opera di un romanziere immaginario, il Pierre Menard del titolo, che ha riscritto il Don Chisciotte di Cervantes nel '900. Stando al racconto, non lo avrebbe rielaborato con parole sue, ma riprodotto cercando di ricostruirne i presupposti culturali, ossia imitando alcuni aspetti della vita di Cervantes per dare significato a un lavoro di cui non rimane una singola pagina. Menard andava alla ricerca del senso delle parole che formavano il Don Chisciotte, cercandone i presupposti, ossia la vita che stava loro dietro, ma si trovò di fronte a un paradosso irrisolvibile: il suo Don Chisciotte, per quanto identico all'originale, era invece completamente diverso.

Da Doom a Doom

Quelle parole, riscritte dopo centinaia di anni, assumevano inevitabilmente significati che in origine non avevano. Un videogioco, come una qualsiasi opera prodotta dall'ingegno umano, non è solo se stesso, ma anche un tempo e un luogo. Doom di id Software esce nel 1993. Doom di id Software uscirà nel 2016. La correlazione tra i due titoli sembra fortissima, invece è flebile come il respiro di un vecchio morente. Sono passati ventitré anni, id Software non è più id Software, ossia, si chiama ancora id Software, ma non condivide più nulla con la prima id Software. Perché id Software era un tempo e un luogo di un gruppo di persone, prima che un nome registrato in un qualche ufficio di un ente americano. Doom non è solo un videogioco, ma è anche una casa su un lago con dei ragazzotti geniali che tra giochi di ruolo, patatine, film, letture e una grande conoscenza dell'informatica e dei videogiochi, riversarono in un mondo virtuale tutto il loro immaginario, condiviso da buona parte di quello che sarà il loro pubblico. Visti oggi, alcuni aspetti del Doom del 1993 appaiono ingenui, quando non infantili; tra cacodemoni, zombi e creature demoniache piene di impianti tecnologici. L'obiettivo di John e Adrian Carmack, John Romero e Tom Hall, che avevano alle loro spalle un portfolio di più di quindici titoli, era di rendere in 3D i giochi d'azione, fino ad allora resi essenzialmente in 2D per via dei limiti tecnologici delle macchine da gioco più diffuse.

Cerchiam di capire se Doom (2016) ha davvero qualche possibilità di essere Doom (1993)

Il 1993 di Doom

Il mercato videoludico era allora dominato da Super Nintendo / Super Famicom, Megadrive / Genesis. I personal computer con processori x86 con MS-Dos si stavano però affermando con forza, grazie agli immensi passi in avanti dovuti all'introduzione di nuove tecnologie grafiche e sonore. Marchi storici come l'Amiga stavano morendo per l'incapacità di seguire i ritmi dell'evoluzione del settore e per la pirateria rampante.

Da Doom a Doom

L'aria che si respirava era molto diversa da quella di oggi: era appena iniziato il disarmo nucleare tra USA e Russia, Rudolph Giuliani diventava sindaco di New York, mentre dalle nostre parti eravamo in piena Tangentopoli, con la mafia che metteva bombe per avviare una fruttuosa trattativa con lo stato. Musicalmente ascoltavano il grunge dei Nirvana e di molti altri gruppi, i Radiohead muovevano i loro primi passi, adoravamo i Pearl Jam e, in generale, pensavamo ancora che un mondo hard rock fosse possibile. Il mondo dell'informatica casalinga vedeva l'arrivo del primo Pentium, i 256 colori su schermo delle schede VGA erano ancora una caratteristica d'avanguardia di cui vantarsi, mentre l'accelerazione 3D era molto in là da venire. Il mondo delle console e quello dei computer erano ancora divisi e apparentemente inconciliabili, gli smartphone non esistevano e in verità anche i telefoni cellulari non erano ancora diventati prodotti di massa. Internet esisteva, ma era utilizzato da pochi e non somigliava affatto a quello che è oggi. La massa lo ignorava completamente. In quell'epoca turbolenta e di profondi cambiamenti storico/sociali, in cui un occidente rimasto senza nemici sul piano internazionale cadde preda di un delirio di onnipotenza che ha tra i suoi figli la crisi che stiamo vivendo ancora oggi, Doom fu il palesarsi in pixel di una visione che stava per esplodere. L'individualismo aveva bisogno delle sue rappresentazioni. Il fallo vincente andava celebrato. In questo senso Carmack e soci divennero i grandi sacerdoti dell'industria videoludica, che ancora non si definiva nemmeno tale.

Nuovo inizio o epitaffio?

Da Doom a Doom i videogiochi hanno subito profondi cambiamenti: da manufatti per pochi, sono diventati prodotti di massa con ambizioni espressive, considerati capaci di introdurre nella cultura personaggi e senso, quindi è arrivata la dissoluzione e la dispersione in mille rivoli, con la nascita di nuovi mercati che hanno imposto una diversa concezione di ciò che i videogiochi sono e, soprattutto, saranno.

Da Doom a Doom

Anche a livello produttivo i cambiamenti sono stati immensi e il modello id Software, che poi era quello tipico degli studi di sviluppo emergenti, non regge più se non sulla scena indie. Oggi una manciata di personaggi brillanti non basta per produrre un titolo tecnologicamente adeguato e un team di sviluppo di un prodotto tripla A è necessariamente composto da centinaia di persone. Nel frattempo il gruppo dei fondatori di id Software è finito in pezzi: John Romero è stato schiacciato dal suo ego e ora vive di ricordi, Tom Hall è finito in una software house dedita ai titoli casual, PlayFirst, mentre John Carmack lavora attivamente per Oculus VR. Doom (1993), Doom II (1994), Quake (1996), Quake II (1997), Quake III: Arena (1999), Doom 3 (2004) e Rage (2011) non sono solo il portfolio di una grande software house, ma anche un percorso che culminerà con Doom (2016), il primo titolo di id Software senza id Software, mosso dalla prima versione dell'id Tech (la sesta) senza Carmack. È l'immagine plastica dell'industria dei videogiochi moderna, che tende a mantenere i marchi e imitare il suo passato, perché essenzialmente priva di nuove idee o, meglio, perché spaventata dalle nuove idee; industria che contemporaneamente seppellisce e dimentica chi quel passato lo ha reso grande, ma è ormai inadeguato al nuovo corso. Eppure dovrebbe far riflette che il Doom del 2016 miri a essere quanto più possibile simile al Doom del 1993, pur avendo ucciso tutti i suoi padri, che le loro colpe comunque le hanno. In realtà si tratta del secondo Doom del 2016, visto che il primo è stato cancellato in corso d'opera perché troppo poco Doom e, a quanto pare, fin troppo Call of Duty.

Da Doom a Doom

Così ecco tornare i demoni di allora, ma molto più lucidi e materici, e con essi sono tornate le armi caratteristiche della serie, tra le quali la sega elettrica, il fucile a pompa e il BFG 9000. Ma il BFG o, meglio, la "Big Fucking Gun" non vi ricorda subito gli anni '90? Non ha un maledetto odore di garage e il suono di amici che chiacchierano, dicono la prima stupidaggine che gli viene in mente, ne ridacchiano, gli piace e infine la usano? La sega elettrica non vi fa venire in mente un brufoloso e ilare John Romero che provoca amichevolmente il più serioso John Carmack facendo finire a terra una ciotola di pop-corn? La possibilità di segare in due i nemici non vi racconta dei film splatter della fine degli anni '80? E quei dannati cacodemoni non vi proiettano in una sessione di Advanced Dungeons & Dragons in cui il party dei John e di Tom ha appena incontrato un beholder? Immaginateli che chiacchierano di come sta andando il combattimento, con qualcuno che magari se ne esce ridendo: "sarebbero da abbattere con un fucile a pompa". Marte, marine, fucili a pompa, demoni, tecnologia. Che fine faranno quegli eccessi di design? Gli sarà messa la museruola della modernità? Saranno normalizzati in onore dei tempi che corrono, con un team di centinaia di persone che guarderà soddisfatto la rimozione di quelle imperfezioni, oggi inaccettabili, che rendevano grande l'originale? Insomma, cosa ne sarà di Doom in Doom? Solo la risposta a questa domanda potrà dirci se ci troviamo di fronte a un nuovo inizio, o a un triste epitaffio.