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Bulli, pixel e terroristi

La violenza e i videogiochi: può un'opera di intrattenimento da sola spingere una persona a commettere dei reati?

SPECIALE di Massimo Reina   —   03/08/2016

I videogame sono sempre stati, a vario titolo, al centro di polemiche più o meno articolate, spesso con l'accusa di danneggiare la salute o di istigare alla violenza. Un "film" già visto decine di altre volte anche in epoche passate, solo con altri soggetti: negli anni '50 un'improvvisa escalation di violenza giovanile venne attribuita agli effetti del rock'n roll, negli anni '80 e nei '90 certi atteggiamenti aggressivi dei giovani erano causati dai cartoni animati giapponesi, dal wrestling e dai primi videogame di successo. Oggi, come detto, sono solo "loro" i colpevoli. Tant'è che sono "bastati", si fa per dire, due gravissimi fatti di cronaca avvenuti recentemente in Francia e in Germania per riportare in auge la vecchia e mai del tutto sopita teoria secondo la quale tutti i mali del mondo, tutte le crudeltà, le violenze, le follie che martirizzano il nostro povero pianeta e molti dei suoi abitanti sono le conseguenze nefaste dei videogiochi sulla psiche umana. Proprio così: pensateci, il fondamentalismo religioso di qualsiasi tipo, il fanatismo politico, la crudeltà di alcuni individui e il sadismo di altri, sarebbero frutto della troppa esposizione ai videogame, e non della follia umana, della società alienante, della cultura dell'odio inculcato a questo o a quel soggetto dalla famiglia o da sedicenti guide spirituali e politiche, o da un mix di tutto ciò. Per carità, c'è la possibilità che alcune frange estremiste abbiano usato davvero le console per reclutare militanti o per pianificare attentati, così come esistono al mondo individui facilmente influenzabili che possono farsi condizionare anche da un videogame. Ma da qui a generalizzare e a trasformare una forma di intrattenimento in mostro ce ne passa.

Un videogioco o qualsiasi opera di intrattenimento possono da soli spingere un individuo alla violenza?

La vera follia è credere nel demone videoludico?

A scatenare come sempre preoccupazione, perplessità e dibattito fra la gente comune, ci hanno pensato alcuni media generalisti, i quali anziché documentarsi e documentare il pubblico, hanno finito ancora una volta per confonderlo ulteriormente cavalcando l'onda emotiva degli attentati per rispolverare un loro vecchio leitmotiv, quello secondo il quale tutti i mali del mondo, tutti i problemi che affliggono la nostra martoriata Terra, sono causati dai videogiochi. La storia è sempre quella e si ripete più o meno ciclicamente: un ragazzo disagiato e vittima di bullismo un giorno esplode, impugna il fucile e fa una strage in un centro commerciale? Giocava a Call of Duty e ad altri titoli violenti.

Bulli, pixel e terroristi
Bulli, pixel e terroristi

Un fondamentalista islamico travolge e uccide col camion decine di poveri individui a Nizza perché li vede come "crociati" o loro alleati (come i musulmani veri, quelli moderati)? Si è ispirato a Grand Theft Auto. Un kamikaze si fa saltare in aria uccidendo decine di civili? Colpa dei videogame. E Dio ci salvi dalla possibilità che l'inviato di turno scopra magari che da piccolo l'attentatore giocasse a Bomberman, o sarebbe la fine. Anche se accuse tragicomiche come queste non sono mancate lo stesso. Per carità, porsi l'interrogativo se i giochi violenti possano potenzialmente provocare atteggiamenti di emulazione da parte di chi ne fruisce è assolutamente legittimo, ma lo è allora anche domandarsi se, al contrario, essi non abbiano il potere di funzionare come valvola di sfogo per certe pulsioni e rendere di conseguenza le persone meno inclini ai gesti violenti nella vita reale. Detto questo bisognerebbe riflettere sul fatto che persone facilmente vampirizzabili dal punto di vista psicologico, al punto da essere condizionate da quanto vedono in un videogame, e dunque sullo schermo, potrebbero subire l'influenza di qualsiasi cosa, e reagire di conseguenza. Occorre pensare che le cause scatenanti siano altre e ben più complesse che un giochino digitale. Queste persone potrebbero infatti vivere in pessime condizioni sociali, oppure in famiglie disfunzionali; avere problemi a scuola, con i compagni di classe o con qualche bullo; e ancora, patire per qualche trauma infantile mai rivelato ai propri cari e quindi mai "curato". Oppure potrebbero essere semplicemente cattive, sentirsi superiori a tutto e tutti e amare fare del male. Di conseguenza, perché prendersela solo con i giochini elettronici? Ogni caso, se lo si analizza a fondo, fa storia a sé: se nel caso di Monaco di Baviera la violenza e l'indifferenza subita in passato dall'autore della strage hanno assunto i contorni del maltrattamento psicologico che poi è esploso attraverso un atteggiamento distruttore verso gli altri, in talune circostanze sono stati altri "malesseri", anche interiori, a far tracimare un certo disagio interiore o l'odio verso il diverso in atti di terrorismo estremo. Sono stati questi fattori ad armare i killer, ad alimentare la loro avversione, la loro follia. A farli cibare di forme errate, manipolate, contorte, di ideali religiosi in realtà in antitesi con quelli reali, ma indispensabili ai loro occhi per attribuire un senso ai loro gesti. Parafrasando una frase di Antonio Socci, "la legittimazione della violenza fisica per una 'brutta parola' o per una vignetta liquida la civiltà giuridica", ma cestina anche ogni forma di credenza religiosa. Se esiste un Dio, non vuole certo che i suoi creati ammazzino in suo nome.

I videogiochi vanno controllati, non censurati

La verità è che quando ci si fossilizza su certi concetti precostituiti, poi diventa difficile sradicarli dalle menti di alcuni, che si comportano esattamente come coloro che giudicano vittime dell'influenza del demone videoludico, condizionati come sono dalle loro teorie. In realtà basterebbe ragionare, documentarsi, razionalizzare determinati eventi per capire che non esiste un videogioco, un'idea, un credo o un oggetto che possano definirsi "cattivi", capaci cioè da soli di influenzare le azioni degli individui: semmai sono questi ultimi a fare un uso inappropriato di loro. In fondo nessuno ha mai visto una pistola sparare da sola, semmai si sono visti uomini impugnarle per farlo.

Bulli, pixel e terroristi

Quindi se da un lato troviamo estremamente corretto che la diffusione dei videogiochi violenti tra i minori debba essere impedita attraverso adeguati organi di monitoraggio e tramite specifiche sanzioni per punire coloro che li aggirano, dall'altro siamo contrari a una censura preventiva dei contenuti giudicati "pericolosi" da chissà quale commissione, magari per partito preso. In tal senso confidiamo piuttosto nel fatto che prima o poi qualche organizzazione si metta sul serio a studiare il grado di influenza dei videogiochi sui reati di violenza giovanile, ma con adeguati strumenti di misurazione e utilizzando un campione selezionato in modo sensato. Perché il vero quesito dovrebbe essere il seguente: come ridurre l'esposizione dei più giovani o dei più sensibili a contenuti violenti nei film e nei videogiochi senza per questo impedire agli altri di vivere comunque delle esperienze di violenza virtuale? Quali provvedimenti, politiche e normative possono aiutare in tal senso? Il tutto partendo sempre dal presupposto che non si può circoscrivere a un solo elemento la causa della furia omicida di qualcuno, o della follia di altri. Da questo punto di vista pensiamo che le ricerche debbano essere condotte analizzando, come accennato prima, anche l'ambiente sociale, culturale e familiare entro il quale è cresciuta la potenziale "vittima" dell'influenza di questa o di quell'opera di intrattenimento. Probabilmente soltanto così si potrà eliminare ogni dubbio sul fatto che la teoria secondo la quale a spingere una persona a fare del male a un'altra sono i videogame è sbagliata come dimostrato tra l'altro da diversi studi, e mettere fine a certa disinformazione a cui assistiamo periodicamente. Perché la follia umana non nasce dai pixel o dai poligoni, di cui raramente si alimenta, altrimenti noi della redazione saremmo un branco di psicopatici, ma da altri fattori ben più profondi, e semmai solo dopo può eventualmente prendervi un po' di ispirazione: non basta, insomma, censurare una scena o bloccare un videogioco per far si che orde di bestie dalle sembianze umane la smettano di uccidere. Magari fosse così semplice. Fissarsi quindi su questo preconcetto non solo non porta da nessuna parte, ma a nostro parere costituisce per certi versi la vera follia dell'intera faccenda.