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La Seoul di Agents of Mayhem e le limitazioni dell’open world moderno

Agents of Mayhem ha saputo sorprenderci, pur con i suoi difetti. Parte del suo segreto? Un approccio all'open world "particolare", che fa delle limitazioni una improbabile forza

SPECIALE di Aligi Comandini   —   19/08/2017

Agents of Mayhem è un titolo open world, o perlomeno "dovrebbe" esserlo. La sua Seoul però non è una mappa facilmente avvicinabile a quelle di altri noti appartenenti al genere: è un esempio di deviazione dai canoni tipici, non particolarmente rivoluzionaria ma indicativa di un movimento generale delle software house verso soluzioni diverse da quelle a cui ormai siamo abituati. Il motivo? Semplicemente le vecchie strutture non funzionano più: sono diventate tediose, dispersive, ripetitive al limite del sopportabile. Oggi cercheremo di capire in parte il perché, con una rapida analisi di un problema molto più profondo, che forse sta già lentamente sparendo grazie a questo tipo di esperimenti.

Prendi il realismo e buttalo nel cesso

Partiamo appunto da Seoul, che in Agents of Mayhem è stata strutturata seguendo una linea di pensiero molto vicina a quella del gioco originale: l'abbandono totale di qualunque realismo. La Seoul del gioco non ricalca quella reale e le uniche location davvero vicine alla capitale coreana sono il Gyeongbokgung Palace (vi sfidiamo a pronunciarlo) e un tempio in centro città, rappresentate in forma virtuale con una discreta fedeltà. Il resto della mappa si ispira sicuramente alla modernità dei palazzi della metropoli ma si prende enormi libertà, innanzitutto concentrandola in un'area infinitamente più limitata, e in secondo luogo schiacciando l'acceleratore sull'elemento fantascientifico, con palazzi altissimi costruiti con materiali moderni, ologrammi e una pletora di edifici che saltano immediatamente all'occhio per via della forma o delle insegne al neon. Siamo lontani ad ogni modo dal cyberpunk cupo: lo stile scelto è pulitissimo, perché la mappa non vuole essere impressionante dal punto di vista visivo... la missione di fondo qui era massimizzare la percorribilità delle varie zone ed evitare la confusione (almeno per quanto riguarda il movimento, visto che il gioco è quanto mai caotico in tutto il resto). È riuscita.

La Seoul di Agents of Mayhem e le limitazioni dell’open world moderno

In pratica i ragazzi di Volition hanno fatto la furbata: Seoul non è un "parco giochi", bensì una grossa pista per macchine super veloci con ostacoli - i palazzi - facilmente scalabili grazie all'incredibile agilità dei personaggi o a marchingegni sparsi che permettono di raggiungere altezze improponibili. Niente danno da caduta, ben poche barriere invisibili o forzature; è tutto calcolato in modo da dare il massimo senso di libertà al giocatore durante il movimento, e per offrire campi di battaglia abbastanza variegati da non contribuire all'inevitabile senso di noia che deriva da un gameplay incentrato su una singola attività e prolungato per molte ore. È insomma una mappa sandbox pensata per permettere agli sviluppatori di creare missioni alternative incentrate sul movimento e ai giocatori di "combinare casini", la cui reale funzione è quella di contenitore di quest più studiate: perfetta per sfogarsi ma non per rappresentare il fulcro del gioco.

Uno di infiniti mondi

La soluzione adottata è furba, ma non priva di falle: scegliere di utilizzare una mappa simile è un chiaro segnale al giocatore, che implica la volontà di abbandonare l'elemento esplorativo in favore del gameplay puro. Funziona con un prodotto come Agents of Mayhem, improntato quasi del tutto attorno all'eccesso e all'azione, ma non può rappresentare l'unico approccio al genere open world, o anche semplicemente a giochi con fasi free roaming. L'evoluzione vera dell'elemento esplorativo la si è vista ad esempio nell'ormai fin troppo citato Breath of the Wild: un titolo in grado di offrire un mondo di gioco immenso e completamente esplorabile, costruito attorno a una serie di equilibri di una genialità al limite del folle. Si tratta di un gioco con qualche imperfezione, certo, ma il nuovo The Legend of Zelda è inarrivabile nella sua capacità di creare una mappa dove l'interattività riesce quasi da sola a innalzare l'esperienza. Ciò che il giocatore fa ha effetto sulla natura che lo circonda, e tutto è pensato per sembrare reattivo, vivo, parte dell'insieme (ma segue in realtà regole prestabilite di una fisica "irrealistica" pensata per massimizzare il divertimento dell'utente). È una corporeità che non si è mai vista a questi livelli negli open world fino ad oggi, e rende il titolo Nintendo una pietra miliare del gaming moderno che indubbiamente influenzerà molti altri sviluppatori.

La Seoul di Agents of Mayhem e le limitazioni dell’open world moderno

Attenzione però. Un lavoro simile a questo non è certo facile da portare a termine senza le menti e le risorse di una casa comunque leggendaria come quella di Kyoto, pertanto molte software house dovranno comunque tentare altre strade. Quella di Agents of Mayhem è una delle tante possibili: rozza e funzionale, e proprio per questo non necessariamente superiore alle altre. Prendiamo The Witcher 3 ad esempio (altro titolo che ha richiesto tempistiche e risorse enormi, ma comunque importantissimo) che non ha rivoluzionato certo la struttura tipica delle mappe open world, ma è riuscito a sollevarsi al di sopra della concorrenza per via dell'elemento narrativo. Ogni quest del titolo CD Projekt, dalla più importante alla più dimenticabile, è studiata e curata per far sentire il giocatore parte di una grande storia; non vi sono missioni prive di vicende significative, dialoghi ben scritti o personaggi interessanti, e questa soluzione è talmente intelligente da far passare in secondo piano la piattezza strutturale di certi compiti. Da un punto di vista narrativo, siamo insomma davanti all'evoluzione di ciò che veniva fatto dall'eccelso Red Dead Redemption, sempre ricordando comunque l'incredibile importanza del lavoro di Rockstar al momento del lancio.

La Seoul di Agents of Mayhem e le limitazioni dell’open world moderno

Insomma, non siamo più davanti a uno smottamento di poco conto ma a un movimento tellurico importante, che sembra voler abbandonare i mondi inutilmente estesi e riempiti di compiti banali per allungare il brodo in favore di mondi più ristretti ma congegnati in modo più assennato, o mappe enormi ma capaci di stupire grazie a brillanti soluzioni di design. Le esperienze eccessivamente guidate e le linee guida messe in campo dai primi Grand Theft Auto non sono più sufficienti, devono evolversi; gli sviluppatori ne sono ormai consapevoli, e fanno esperimenti sempre più peculiari per superare le limitazioni del genere e dei suoi derivati. Chiaro, anche le soluzioni sopra descritte hanno mancanze, e in particolare quella utilizzata dai Volition deve svilupparsi ulteriormente, poiché valorizza gli aspetti migliori del gioco ma non è in grado di fare da cornice al tutto in modo realmente rivoluzionario. Siamo in tutta sincerità curiosi di scoprire se questo progetto sarà solo l'inizio per la casa, o se avanzando dovrà obbligatoriamente ispirarsi alle idee di altri sviluppatori. Non siamo insomma ancora fuori dal pantano in cui il genere sguazza ormai da anni... è solo l'inizio della bonifica.