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20 anni di Rockstar Games

Facciamo il sunto di venti anni di attività di Rockstar Games, probabilmente lo studio di sviluppo più prestigioso dell'intera industria videoludica.

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   18/12/2018

La storia di Rockstar Games iniziò ben prima di quanto si possa pensare, almeno se la si considera dal lato sviluppo. La società in sé fu fondata nel dicembre del 1998 come sussidiaria di Take Two. Formalmente è statunitense, ma il suo cuore è assolutamente inglese. Take-Two acquisì infatti tutte le proprietà intellettuali e le risorse del publisher BMG Interactive e decise di sfruttarle in qualche modo.

20 anni di Rockstar Games

Per questo mise a capo della neonata società, cui furono affidati i nuovi asset, Sam Houser, Dan Houser, Terry Donovan e Jamie King. I primi tre erano degli ex-dirigenti di BMG Interactive, mentre King era un uomo di Take-Two stessa. Lo studio più prestigioso di BMG Interactive era sicuramente DMA Design, che poi diventerà Rockstar North, in cui mossero i loro primi passi gli Houser stessi. DMA Design era uno studio inglese con sede a Edimburgo fondato da David Jones, Russell Kay, Steve Hammond e Mike Dailly e reso famoso dai suoi concept sfrontati e controversi, nonché dall'eccellenza dei suoi prodotti. Senza scendere troppo nei dettagli, che esulerebbero dallo scopo di questo articolo, prima di iniziare una serie di cambi di mano che fu fatale per la vecchia dirigenza, DMA sviluppò titoli del calibro di Menace, Blood Money, Lemmings, Walker, Hired Guns e Unirally. Fu il successo di quest'ultimo, pubblicato su Super Nintendo, a dare il là ad alcune trattative con Nintendo per la realizzazione di un gioco di lancio del Nintendo 64, chiamato Body Harvest, trattative che si conclusero in un nulla di fatto per gli eccessi del gameplay, fin troppo violento, che convinsero infine Nintendo a tirarsi indietro.

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Nell'ottobre del 1997 DMA Design pubblicò Grand Theft Auto, senza sapere assolutamente cosa ne sarebbe scaturito negli anni seguenti. Si trattava di un gioco di scuola britannica nella concezione, figlio illegittimo di titoli quali Night Driver per ZX Spectrum e di quella scena fatta di produzioni anarchiche e anticonformiste, che spesso miravano a scioccare il pubblico con contenuti sopra le righe, affrontando temi che le produzioni giapponesi e americane preferivano non toccare. Del resto stiamo parlando di uno studio che ha fatto la sua fortuna con l'epopea di una tribù di strani animaletti con tendenze suicide. Da notare che gli Houser non ebbero molto a che vedere con il primo GTA, per il quale collaborarono soltanto alla realizzazione di London 1969, un pacchetto di missioni extra pubblicate nel 1999, a ridosso dell'uscita del seguito. Quando fu pubblicato GTA 2 nel 1999, Rockstar North firmava ancora come DMA Design. È con questo capitolo che Sam Houser subentrò come producer e Dan Houses come sceneggiatore, iniziando di fatto la loro carriera nella serie, che sfruttarono per mettere in pratica alcune loro visioni di derivazione fortemente cinematografica.

20 anni di Rockstar Games

DMA Design

All'epoca comunque la serie GTA non faceva numeri grandissimi. Vendeva bene, questo sì, ma era solo uno dei tanti brand pubblicati da Rockstar Games, che si muoveva come un publisher puro, in modo molto simile a quanto faceva e ancora fa 2K Games, altra sotto etichetta di Take-Two. Soltanto nel 1999 Rockstar Games immette sul mercato altri quattro giochi, tutti dimenticabilissimi: Monster Truck Madness 64, port per Nintendo 64 di Monster Madness 2 per PC di Terminal Reality, il mediocre platform 3D Earthworm Jim 3D di VIS Entertainment, Il misconosciuto Evel Knievel di Tarantula Studios (che diventerà Rockstar Lincoln) e l'altrettanto dimenticato e dimenticabile Thrasher Presents Skate and Destroy di Z-Axis. A conti fatti Rockstar in quel periodo non aveva ancora grandissimi giochi in catalogo. La sua punta di diamante era sicuramente DMA Design, ma le vicissitudini societarie l'avevano indebolita moltissimo e le competenze all'interno dello studio erano ridotte. Lo si vedeva bene proprio da GTA, un titolo realizzato con competenza ma che non eccelleva in nulla.

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Comunque, che DMA fosse centrale per Rockstar lo dimostrò anche l'anno 2000, in cui l'unico titolo degno di menzione pubblicato dal publisher è Wild Metal, un gioco di guerra tra carri di fattura mediocre. I due Austin Powers di Tarantula Studios e Surfing H3O di Opus, usciti lo stesso anno, non erano certo migliori (anzi). L'uomo della svolta per Rockstar fu sicuramente Leslie Benzies, un producer di grande carisma che iniziò a comporre il team di sviluppo di Grand Theft Auto 3 nel 1998 sotto DMA Design. Benzies è un tecnico puro, unico capace con i suoi uomini di affrontare e superare le difficoltà offerte dallo sviluppo di un titolo complesso come GTA 3. È probabile che senza di lui gli Houser, più versati sul lato creativo, meno su quello realizzativo e organizzativo, non sarebbero andati da nessuna parte, per questo ha fatto male vederlo estromesso dalla società con un cavillo contrattuale dopo il lancio di GTA 5. Ma rimaniamo a noi. GTA 3 fu pubblicato nel 2001 su PS2, dopo che il secondo capitolo non aveva sostanzialmente lasciato grosse tracce nel mondo dei videogiochi.

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Nel frattempo il catalogo di Rockstar era cresciuto, con l'aggiunta di serie quali quella Midnight Club, in mano alla divisione di San Diego, sopravvissuta fino al 2008 e congelata nonostante i buoni riscontri di critica e pubblico, e quella Smuggler's Run, morta nel 2002. Da notare che GTA 3 era ancora firmato DMA Design, nonostante la collaborazione con la sede di Rockstar a New York. Il cambio di nome di DMA in Rockstar North arriverà solo nel 2002. In GTA III Benzies e i suoi ripresero quanto fatto nei GTA precedenti e lo tradussero in 3D, rivedendone però molti aspetti e creando quello che possiamo considerare il prototipo dei moderni open world luna park, in cui il giocatore vagabonda liberamente per vasti ambienti svolgendo diverse attività, non necessariamente legate alla campagna principale. Nei panni di criminale emergente, il giocatore di GTA 3 veniva lasciato libero di scorrazzare liberamente per la città facendo ciò che voleva. Gran parte del successo del gioco, che da allora ha venduto la bellezza di 14,5 milioni di copie, la si deve proprio alla sua violenza, con il giocatore che poteva investire pedoni e ammazzare liberamente chi voleva. Il passaparola e l'aura di prodotto proibito furono determinanti per il successo di un titolo complessivamente molto più rozzo di quello che molti ricordano, non tanto in termini tecnici, quanto di scrittura vera e propria.

Gli anni della sedimentazione

Grand Theft Auto 3 fu un momento di passaggio importante per Rockstar, che da publisher dedito a progetti multipli, iniziò sempre più a essere riconosciuto come lo sviluppatore dei GTA, nonché di una serie di prodotti violenti e controversi, che non mancavano mai di suscitare accese polemiche, soprattutto al di fuori dell'industria dei videogiochi. Ma se GTA 3 e lo spin-off GTA: Vice Cities generarono dei grossi vespai, furono Manhunt (2003) e Grand Theft Auto: San Andreas (2004) a produrre un vero e proprio fuoco di fila contro Rockstar.

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In particolare quest'ultimo fu oggetto di uno dei più grandi scandali dell'industria videoludica, quello della mod Hot Coffee. Riassumiamolo brevemente: nel codice di San Andreas era nascosto un minigioco pornografico, tagliato dalla versione finale, che dei modder riuscirono a sbloccare realizzando una mod di pochissimi kb. Dalla sua emersione ne nacque una diatriba che vide coinvolta l'intera società statunitense e che finì anche in parlamento. Paradossalmente la vicenda Hot Coffee non solo non affossò Rockstar, ma le diede forza aumentando a dismisura la sua notorietà, soprattutto tra quel pubblico che si voleva evitasse i suoi giochi, ossia i più piccoli. Da lì in poi la storia di Rockstar Games si fa più rarefatta e intangibile: lo studio si chiuse a riccio e iniziò a far trapelare pochissimo all'esterno. Ovviamente sul mercato continuarono e continuano ad arrivare i suoi prodotti, ma in numero sempre minore. Rockstar divenne lo studio dei GTA. Il lato publishing fu piano a piano prosciugato.

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I progetti più rilevanti, oltre ai GTA, furono la già citata serie Manhunt, che finirà per essere composta di soli due capitoli (l'ultimo è del 2007); The Warriors (2005), action survival ispirato all'omonimo film, realizzato per seguire la passione degli Houser per la pellicola; gli estemporanei Rockstar Games Presents Table Tennis e Bully, entrambi del 2006, il primo un simulatore di Ping Pong, mentre il secondo è un action adventure in terza persona con ambientazione scolastica, epigono moderno di Skool Daze. Nel 2009 fu pubblicato lo strambo Beaterator, un titolo musicale di cui pochissimi si ricordano, mentre nel 2011 fu la volta di L.A. Noire di Team Bondi, l'ultimo gioco in cui Rockstar svolse il ruolo di publisher. Quest'ultimo purtroppo fu un titolo macchiato da uno sviluppo problematico e da infinite polemiche per le condizioni lavorative cui furono sottoposti gli sviluppatori. Infine, nel 2012 fu pubblicato Max Payne 3, seguito di una serie di action in terza persona di Remedy Entertainment che, nonostante abbia venduto 5 milioni di copie, fu considerato un insuccesso.

GTA e Red Dead, le ultime due serie attive

Attualmente le uniche due serie di Rockstar Games che risultano sopravvissute sono quella GTA e quella Red Dead. Dal terzo capitolo in poi la serie GTA ha mietuto successi su successi, piazzando milioni di copie con ogni uscita maggiore. GTA IV uscì nel 2008 e ottenne un successo strepitoso che lo portò a vendere più di venti milioni di copie, successo coronato dalle due splendide espansioni The Lost and Damned e The Ballad of Gay Tony, due dei picchi più alti mai raggiunti dalla scrittura di Rockstar.

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Da molti il quarto viene considerato il capitolo narrativamente più maturo della serie per i temi trattati e i toni del racconto. Senza citare i numerosi port e spin-off della serie GTA, facciamo un salto al 2013, l'anno di Grand Theft Auto 5, il gioco che ha cambiato definitivamente il volto a Rockstar per il suo strepitoso successo sia dal lato vendite che dal lato microtransazioni. Stiamo parlando di più di cento milioni di copie vendute tra tutte le versioni. Da GTA 5 Rockstar non ha pubblicato più alcun gioco fino al recente Red Dead Redemption 2 (2018), limitandosi ad aggiornare i contenuti di GTA Online, la modalità multiplayer di GTA 5 che ha fruttato letteralmente centinaia di milioni di euro al publisher Take-Two e a Rockstar stessa. Il successo è stato tale da aver portato alla cancellazione delle previste espansioni single player del gioco e alla ridefinizione completa del modello di business della società, sempre più orientata verso la realizzazione di giochi come servizi puri, accompagnati magari da modalità single player di prestigio, ottime per motivare i giocatori. La stessa formula è stata ripetuta con il recente e già citato Red Dead Redemption 2, seguito di Red Dead Revolver (2004) e di Red Dead Remption (2010).

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Come saprete si tratta di un immenso open world a tema western che sintetizza appieno la passione degli houser per il cinema di genere e per le mega produzioni (ci hanno lavorato più di tremila persone... tra quelle riconosciute). Il lancio del gioco è stato accompagnato da numerose polemiche per l'eccessivo ricorso agli straordinari durante lo sviluppo, polemiche che non gli hanno comunque impedito di vendere milioni di copie in poche settimane. Come proseguirà la storia di Rockstar è difficile da prevedere, anche se fare ipotesi sensate non è poi troppo complicato. Nell'immediato futuro è ovvio che gestirà Red Dead Redemption 2, spingendo Red Dead Online e lavorando ai port per PC e per console di nuova generazione. Nel mentre, e con GTA Online ancora attivo, svilupperà Grand Theft Auto 6, di cui non si sa praticamente nulla di certo ma che è evidentemente destinato a ripetere il successo del quinto capitolo. Per il resto i margini di ripresa di altre serie sono minimi. Si è parlato di un seguito di Bully, ma per ora non se ne sa nulla di certo. Agent è stato definitivamente abbandonato dopo anni di limbo. Max Payne non appare più nemmeno tra le voci di corridoio, così come i Midnight Club. In fondo per sviluppare un gioco come RDR 2 Rockstar ha impiegato più di sette anni, quindi è difficile che riesca a lavorare a troppi progetti di questo calibro contemporaneamente. Insomma, aspettiamoci lanci sempre più diradati e diciamo addio a tutti quei brand che non sono adatti per questo nuovo mercato, sperando che tra altri vent'anni storia della società sia ricca quanto quella appena raccontata e non sia fatta solo di una manciata di titoli.