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Conquista e videogiochi: perché non possiamo farne a meno?

Cerchiamo di comprendere insieme perché nei videogiochi è così importante dover conquistare e combattere per ottenere qualcosa e perché non possiamo farne a meno.

Conquista e videogiochi: perché non possiamo farne a meno?
SPECIALE di Mattia Pescitelli   —   20/11/2023

Raccogli dieci mele. Prendi il libro. Ottieni lo scettro. Conquista la regione. "Prendi", "ottieni", "conquista": sono parole che i videogiocatori conoscono molto bene. Le hanno imparate sin dai loro primi istanti davanti a uno schermo. Il gioco dà degli obiettivi che vanno portati a termine, alcuni più semplici, altri più complessi. Non si riescono a completare? Ecco, allora, che si presenta l'ombra proteiforme del malus. E se il gioco ha catturato l'attenzione del giocatore, qualsiasi cosa atta a intaccare la perfetta esecuzione della sua partita diventa come l'angelo della morte, con l'unica differenza che non lo aspetterà l'aldilà, ma solo impulsi passeggeri di risentimento e mestizia; a volte rabbia. Così eccoci a raccogliere, prendere, ottenere, conquistare. Ma perché vogliamo così tanto? Perché teniamo così tanto a un mondo altro, che è solo marginalmente in grado di ricompensarci nella vita di tutti i giorni? E, soprattutto, perché siamo così maledettamente ossessionati di possedere, collezionare, assoggettare e controllare all'interno dei videogiochi?

Non ci illudiamo di poter dare una risposta a questi quesiti (che vanno ben oltre il mondo videoludico) in un singolo articolo. Tuttavia, ci piacerebbe iniziare questo discorso con voi e sentire anche il vostro parere a riguardo. Cerchiamo di capire insieme perché conquista e videogiochi vanno così bene a braccetto.

Perché ci piace conquistare?

Conquista e videogiochi: respiriamo la storia dei grandi conquistatori ogni giorno
Conquista e videogiochi: respiriamo la storia dei grandi conquistatori ogni giorno

L'essere umano è fatto di brame. Senza il desiderio e la convinzione di essere qualcosa "di più", non sarebbe arrivato dove si trova oggi. Dalle teorie socratiche all'antropocentrismo e oltre, ecco sorgere una specie fatta di menti intenzionate ad assoggettare al loro volere tutte le istanze dell'esistenza. Il desiderio di conquista deriva dalla necessità umana di comprendere e controllare. Non tutti lo esternano (e per fortuna, altrimenti l'uomo si sarebbe fermato molto più indietro lungo la linea cronologica della storia universale), ma tutti noi lo abbiamo, dormiente, al nostro interno e lo lasciamo scatenare con le piccole conquiste quotidiane.

Che sia ottenere una scrivania a lavoro o mettere in ordine la stanza, tutti abbiamo raggiunto almeno un obiettivo che ci eravamo prefissati. Piccole conquiste, appunto. Nulla in confronto all'annessione di un territorio o alla colonizzazione di luoghi selvaggi, ma pur sempre delle conquiste. Questa sete insaziabile, che la maggior parte di noi riesce a tenere a bada, chiede di venire dissetata, di tanto in tanto.

Dare sfogo al desiderio di conquista

Conquista e videogiochi: il mondo dell'intrattenimento ha dato modo all'uomo di sfogare i suoi istinti
Conquista e videogiochi: il mondo dell'intrattenimento ha dato modo all'uomo di sfogare i suoi istinti

Ed ecco che si arriva all'intrattenimento. Storie di grandi eroi e immense battaglie. Persone comuni si riscoprono i prescelti per la salvezza dell'umanità tutta. Il singolo, in sostanza, si fa protagonista: diventa l'unica pedina che conta sulla scacchiera di quei mondi alternativi. Ma alle storie è sempre mancato qualcosa: la possibilità di scegliere. È il narratore a decidere per noi e chi ascolta non può fare altro che assorbire quelle informazioni passivamente. Il videogioco e i suoi precursori hanno cambiato le carte in tavola.

Avere la possibilità di interagire con l'alter ego che abita quel mondo "secondario" permette al giocatore di avere un minimo controllo sulla situazione. Diventa, così, un'entità attiva: può scolpire la storia (per quanto ricalcata sulla decalcomania di quella orchestrata dal direttore creativo) che si trova a "vivere" attraverso un avatar, un secondo sé. Questo discorso, ovviamente, non può essere fatto per tutti i videogiochi, perché non tutti permettono di allontanarsi dai binari sapientemente posati dagli sviluppatori. Tuttavia, non è neanche la conquista di un semplice obiettivo che vogliamo indagare in questa sede. No, vogliamo proprio andare a scomodare l'accezione lapalissiana della parola "conquista": il puro assoggettamento di un territorio.

La conquista nei videogiochi

Conquista e videogiochi: una partita a Crusader Kings III ci ha fatto domandare perché non riuscivamo a smettere di conquistare
Conquista e videogiochi: una partita a Crusader Kings III ci ha fatto domandare perché non riuscivamo a smettere di conquistare

L'idea di questo articolo è venuta giocando a Crusader Kings III, uno strategico in tempo reale che permette di costruirsi la propria dinastia in un mondo medievale più o meno storicamente accurato. Così, tanto per provare, abbiamo deciso di partire da una piccola e remota regione dell'Asia nord-orientale con l'intento di conquistare quanto più possibile. Una volta portato sotto il nostro controllo gran parte del territorio asiatico, abbiamo guardato la mappa e ci siamo resi conto che l'unico limite era il nostro desiderio di spingerci oltre. Non si trattava più di identificarci con il personaggio con il quale avevamo iniziato la partita, perché ormai deceduto da generazioni. Cosa ci spingeva ad andare avanti? E, soprattutto, perché non riuscivamo a fermarci?

Quando i mondi virtuali si sono espansi (e le identità con essi)

Conquista e videogiochi: quando il mondo è cambiato e, con esso, i giocatori
Conquista e videogiochi: quando il mondo è cambiato e, con esso, i giocatori

Con gli anni, specialmente quando il medium si è staccato dalle sale giochi ed è tornato tra le mura domestiche, sui computer di ultima generazione (per il tempo, chiaramente), sono iniziati a fiorire videogiochi dall'ampio respiro, non più legati a una sequela di livelli da superare, bensì a una concezione stratificata di mondo di gioco. Strategici, gestionali, giochi di ruolo. Mondi che potevamo controllare e sui quali le nostre decisioni avevano una ripercussione che non si traduceva unicamente in un punteggio alla fine della partita. Ore e ore spese a portare sotto al proprio dominio regioni di un mondo inesistente o a debellare eserciti di codice per il solo gusto di farlo.

James Paul Gee, nel suo saggio "Learning by Design: good video games as learning machines" identifica tre tipi di identità che intercorrono nell'interazione tra videogiocatore e videogioco: l'identità "reale" del giocatore, quella del suo alter ego e quella che il primo vorrebbe attribuire al secondo. Questa triplice natura, se la applichiamo a un videogioco dove non esiste un vero e proprio "doppio videoludico", tende a sovrapporsi, perché noi non siamo fisicamente nel gioco, ma non possiamo neanche ammettere di esserne totalmente al di fuori. Non sappiamo se qualcuno si senta a proprio agio nell'identificarsi con un dio, ma, di base, la posizione che ricopriamo, quando giochiamo a questo tipo di videogiochi, è quella di scultori di mondi.

Chi sta giocando?

Conquista e videogiochi: senza alter ego, dove va a finire la terza identità?
Conquista e videogiochi: senza alter ego, dove va a finire la terza identità?

La terza identità descritta da Gee, quella che vorremmo il nostro doppio acquisisse, è, quindi, ciò che vorremmo per noi stessi? Oppure esiste effettivamente un alter ego che mettiamo a scudo delle nostre conquiste? Un sé completamente digitale, che non è altro che la nostra copia carbone, ma sul quale possiamo scaricare tutto il peso di una vita virtuale fatta di guerre e dominio? Forse la teoria delle tre identità non si applica in casi come questo. Magari, dato che in gioco non c'è la vita di nessuno, ci sentiamo solo liberi di poter sprigionare quella natura insita nell'animo umano che teniamo costantemente a bada. Quella sete, che prima appagavamo con libri e film, oggi la possiamo anche scatenare su un mondo simulato.

Uno spazio nostro

Conquista e videogiochi: uno spazio sicuro dove l'errore non ci intimorisce come nella vita reale
Conquista e videogiochi: uno spazio sicuro dove l'errore non ci intimorisce come nella vita reale

Cosa accadrebbe se fossi un conquistatore? Questa è la domanda che la nostra mente si pone ogni volta che ci cimentiamo nell'arte della guerra in formato videoludico. Prendiamo senza freno perché ci sentiamo al sicuro, e la sicurezza ci appaga. Superare una sfida senza avere il timore di una ripercussione fattuale nella vita reale ci mette in quello "spazio protetto" che ci conferisce la fiducia necessaria per portare a termine un obiettivo, indifferentemente da quanto complesso o irraggiungibile possa sembrare. E quando quella sfida aumenta, continuiamo a sentirci appagati, perché cresciamo insieme a essa. Il segreto per un buon design di gioco è far credere al giocatore di aver superato unicamente con le proprie abilità la sfida proposta.

Ed eccoci quindi a conquistare quella parte della Manciuria o quel territorio ittita con sempre più avidità e con sempre meno difficoltà, fino a che non si ripresenta un nuovo, grande ostacolo che dobbiamo imparare a superare; fino a che le nostre mire non raggiungono le corone più brillanti del mondo. Quella sete di cui parlavamo, se la soddisfi, non si ferma. Si alimenta sempre più e diventa sempre più grande. L'unico modo per fermarla è prendere tutto o farla annoiare provandoci. E una volta che avrete conquistato il mondo, vi sentirete un po' vuoti, perché, dopo tanto impegno, avete raggiunto i confini di quell'universo digitale.

Chiunque, se messo davanti a un discorso del genere anche solo cento anni fa, avrebbe detto che, ora, quella sete desidererà straripare oltre quei confini e conquistare qualcosa di più tangibile. Ma no. Una volta chiuso il gioco, la sete scompare. Non si ripresenta nella vita, se non sotto forma di mire ottenibili. Ai videogiochi doniamo una parte di noi stessi che non esiste altrove. È una parte creativa, attiva, con altre concezioni di giusto o sbagliato. È la nostra parte istintiva, lasciata libera in un vasto campo che gli occhi del mondo non hanno ancora raggiunto. È il nostro terreno di caccia. Il nostro regno.

Anche voi avete sete di conquista?

Conquista e videogiochi: voi fino a dove siete disposti a spingervi in nome della conquista?
Conquista e videogiochi: voi fino a dove siete disposti a spingervi in nome della conquista?

Il discorso sul legame tra conquista e videogiochi non finisce qui, ma non vogliamo dilungarci troppo in sentieri che porterebbero inevitabilmente in territori accademici poco consoni a questa sede. Questo ci sembra un buon punto per passare la palla a voi.

Perché la conquista ci affascina così tanto? Perché i videogiochi sprigionano un lato di noi che nella vita reale non si palesa? Voi provate questa spinta innata? La sezione dei commenti è pronta per accogliere tutti i vostri pensieri.