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W l'Italia

THQ apre la filiale italiana e rilancia la corsa al Belpaese: saremo diventati un po' più interessanti?

DIARIO di Andrea Pucci   —   10/03/2007

Innanzitutto l'apertura di una sede è un messaggio chiaro di una multinazionale ad un territorio: siamo arrivati, crediamo di poter vendere molto più di prima, potete contare sui nostri professionisti, non ci vogliamo affidare ad altri per difendere i nostri interessi. Per un'azienda che produce giochi esiste un solo obiettivo: vendere più giochi, sia in termini assoluti, sia in termini relativi rispetto alle altre quote di mercato dei concorrenti. Anche se sembra poco etico, questo obiettivo fa il gioco di noi videogiocatori, poichè per conquistare la nostra attenzione quell'azienda si impegnerà di più: producendo prodotti più idonei al territorio italiano, impegnandosi maggiormente nella localizzazione dei titoli, proponendo edizioni da collezione ed economiche, capillarizzando maggiormente la distribuzione (maggiore reperibilità del prodotto).
Quello che dovremmo augurarci è che THQ sia solo l'ultima in ordine di tempo, così come è accaduto in Francia e ancora di più in Germania, dove molte aziende hanno stabilito addirittura la sede europea. E' un sogno quest'ultimo che noi italiani non potremo mai realizzare non solo a causa della nostra spiccata tendenza alla pirateria rispetto ai nostri colleghi del nord Europa, ma anche per questioni di pura matematica rispetto alla dimensione della popolazione.

Who's next?

Si è auspicato più volte l'arrivo di Konami, un potenziamento di Nintendo (pensate che tuttora i prodotti Nintendo vengono assortiti periodicamente dalla sede tedesca, senza una base logistica in Italia). I soliti beninformati parlano invece di un prossimo arrivo di Sega. Per quanto mi riguarda mi auguro solamente che il processo non si fermi e vada avanti fino a compleamento. Grandi e piccoli tutti sono benvenuti per migliorare sempre più questo nostro amato videogioco.

P.S.: spero che ieri sera abbiate visto, per caso o per gusto, le Invasioni Barbariche su La 7. Si parlava di "intrattenimento digitale si o intrattenimento digitale no". Due squadre di opinionisiti si confrontavano. Si è parlato anche di videogiochi grazie a Jaime D'Alessandro, collega di Repubblica. A memoria è la prima volta che in un talk show si parla di videogiochi senza mostri e morti ammazzati, con normalità. Sono contento. Qualcosa sta cambiando? A tal proposito voglio segnalare un nuovo libro di cui abbiamo acquisito i diritti per l'Italia. Il libro in questione è "Don't Bother Me Mom! I'm learning!" (ancora con titolo inglese). E' un trattato che ha una pretesa: dimostrare che i videogiochi non fanno male. Ma questo è argomento per un altro diario..

Zitto zitto, con perfetto fairplay inglese, il publisher THQ ha aperto la filiale italiana riaprendo di fatto una nuova fase che negli ultimi due anni sembrava essersi spenta. L'ha fatto attingendo al tessuto professionale già esistente, mettendo in capo John Holder, di fatto uno dei capostipiti della distribuzione dei videogiochi in Italia avendo fondato nel lontano 1984 la Leader. Un nome eccellente in cima, ma non trascurando di assicurarsi professionalità formate in Ubisoft e Activision, di fatto due dei maggiori publisher operativi sul territorio italiano. Gli obiettivi di THQ nel Belpaese sono ragguardevoli e, aggiungerei, perfino ambiziosi, considerando che il parco software non è di quelli "facilissimi". Quindi auguro al neoformato team manageriale di THQ di vincere la sfida e dimostrare che l'Italia lo sforzo di investimento che il publisher si è assunto.
Ma la domanda del giorno che prende spunto da questo fatto è: come può influenzare la nostra esistenza di videogiocatori l'apertura di una filiale sul territorio di un publisher o di una software house?