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Final Fantasy XV rappresenta davvero una svolta per il mercato giapponese?

Il Giappone non rischia di perdere la sua identità?

NOTIZIA di Simone Tagliaferri   —   29/12/2016

Final Fantasy XV non è un titolo importante per il solo fatto che ci ha messo dieci anni ad arrivare sul mercato o perché appartiene a una saga storica. Lo è soprattutto perché è una produzione di altissimo livello, indirizzata a un pubblico mondiale. È uno di quegli sforzi nello sviluppo di cui l'industria videoludica giapponese ha bisogno per risvegliarsi dal torpore in cui versa, ed è un punto di contatto concreto tra un genere tipicamente nipponico come quello dei giochi di ruolo giapponesi e il mercato internazionale. Se sarà un successo o meno ce lo diranno i prossimi mesi. Intanto è indubbio che si tratti di uno dei titoli più chiacchierati di questa fine 2016.

La rilevanza di Final Fantasy XV è stata sottolineata da molti big dell'industria nipponica, tra i quali il presidente di Sony Worldwide Studios Shuhei Yoshida, che ha dichiarato in merito: "Final Fantasy XV ha fatto cadere le regole del genere cosiddetto JRPG, e ritengo che abbia avuto successo nel tentativo di ridefinire Final Fantasy, ponendolo in linea con gli standard degli attuali RPG presenti nell'industria occidentale, grazie al sistema di combattimento e al mondo open world.

È stato fantastico condividere l'andamento dello sviluppo, comunicare irettamente con gli utenti, e trasmettere in anticipo le sensazioni del mondo e dei personaggi tramite un film e un anime. Si tratta di un obiettivo monumentale, che rimarrà nella storia del genere RPG e dimostra ai fan d'oltreoceano che anche l'industria tripla-A giapponese sta lavorando sodo."

Anche Hironobu Sakaguchi, il padre della serie Final Fantasy, attualmente a capo di Mistwalker, il suo studio di sviluppo cui dobbiamo Lost Odyssey, Terra Battle e altro, ha speso molte buone parole verso il gioco, dimostrando grande fair play e rinnovando il suo amore per quella che in fondo rimane una sua creatura.

Rimane da capire se tanta eccitazione sia davvero motivata, ossia se l'occidentalizzazione di uno degli ultimi baluardi della cultura videoludica nipponica alla lunga non possa rivelarsi controproducente. Siamo certi che la perdita dell'identità culturale di un genere che affonda le sue radici nelle tradizioni possa fare bene all'intera industria nazionale? Siamo certi che non comporterà, invece, una divisione sempre più netta tra chi potrà puntare a un mercato mondiale e chi si rinchiuderà ancora di più nel suo recinto?

La risposta non è banale, perché se è vero che l'operazione Final Fantasy XV è di ampio respiro, qualche critico potrebbe far notare che esistono ancora esempi di titoli che non hanno girato le spalle alle loro origini e che risultano comunque nuovi, freschissimi e sono anche molto venduti. Prendiamo Pokémon Sole e Luna o i Monster Hunter. Insomma, è davvero difficile capire quale sia la strada migliore da seguire. Presto comunque avremo un altro esempio di serie giapponese che ha finito per abbracciare modelli di gameplay più occidentali. Stiamo parlando di quella The Legend of Zelda che con Breath of the Wild sposerà in parte la filosofia degli open world moderni. Insomma, il Giappone dei tripla A sembra muoversi in una direzione precisa. Speriamo solo che rimanga qualcosa di ciò che lo ha reso grande nel mondo dello sviluppo dei videogiochi.