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Escher sarebbe contento

Scopriamo questo mix eccezionale tra puzzle e art game, con un pizzico di Portal che non guasta mai

RECENSIONE di Simone Tagliaferri   —   06/02/2013

La prima volta che si avvia Antichamber non si può fare a meno di notarne lo stile visivo minimalista, fatto di forme geometriche elementari e colori netti, quasi senza alcun fronzolo. Quindi si compiono i primi passi, un po' spiazzati, nella stanza iniziale, dove si trova la parete delle opzioni (un vero e proprio muro con le varie impostazioni modificabili in tempo reale), una mappa interattiva, che presto scopriremo utilissima per navigare nel dedalo cervellotico in cui ci perderemo, e una parete vuota, che nel proseguo dell'avventura si riempirà di consigli con disegni e testi.

Escher sarebbe contento

Entrati nel labirinto ci si guarda intorno e non si nota niente di particolare, poi improvvisamente, ci si trova senza punti di riferimento. Ci viene detto di saltare, lo facciamo, ma finiamo in una nuova stanza con un disegno stampato sulla parete. Cliccandoci sopra appare un consiglio, che sembra una specie di massima di vita. Un aforisma? Presto scopriremo che questo luogo indefinito è pieno di questi piccoli quadrucci portatori della saggezza che serve per interpretare ciò che accade sullo schermo. Antichamber agisce in continuazione sulla percezione del giocatore, spiazzandolo, smarrendolo, costringendolo a ripensare alcuni atteggiamenti tipici del videogiocatore, imponendogli di sperimentare e, in generale, chiedendogli una ristrutturazione cognitiva.

Escher sarebbe contento

Alexander Bruce, lo sviluppatore, gioca con lo spazio creando un ambiente dai confini indecifrabili, in cui ogni linea e ogni parete possono essere menzogne; delle semplici immagini che nascondono una via d'accesso a un altro ambiente o la risoluzione di un enigma. Bastano pochi minuti per sentirsi intrappolati in una specie di dipinto di Escher interattivo, in cui la geometria sfida la logica e tutto quello che si fa sembra produrre soltanto output inattesi, quanto spiazzanti, che sembrano allontanare ogni possibilità di comprensione, come se tutto ciò che accade fosse fine a sé stesso.

Fuori dal labirinto

Prendiamo un enigma dei più semplici. Finiti in una stanza con un solo accesso, seguiamo un corridoio nero che ci porta, dopo una serie di svolte, davanti a due rampe di scale: una va verso l'alto, l'altra verso il basso. Prendendo quella che va verso il basso ci si trova di nuovo nel corridoio di prima e avanzando si raggiungono di nuovo le scale; prendendo la scala che va verso l'alto ci si trova in un vicolo cieco.

Escher sarebbe contento

Volendo si può tornare indietro per trovarsi in un nuovo corridoio che permette di tornare in un punto precedente della mappa, dove è possibile confrontarsi con un puzzle modificato rispetto alla prima volta che ci trovavamo nello stesso posto (anche la descrizione è abbastanza contorta, ce ne rendiamo conto, ma è proprio questa labirinticità concettuale il bello del gioco). Andando avanti seguendo un percorso dettato da reazioni naturali a sollecitazioni visive varie, giungiamo a uno dei numerosi e già citati consigli che ci invita a cercare una strada dove pensavamo che non ci fosse. Lì per lì non è stato facile interpretarlo, ma il nostro peregrinare ha voluto che ci ritrovassimo nella stanza con un solo accesso descritta all'inizio del paragrafo. Imboccando il corridoio nero già percorso ci è venuto in mente il consiglio e abbiamo infine scorto un corridoio celato, molto difficile da individuare in condizioni normali. Avviando una nuova partita e tornando nello stesso posto, abbiamo trovato subito il corridoio, che quindi non era legato effettivamente al consiglio se non in termini di approccio necessario per trovarlo; lasciandoci guidare dalla nostra percezione non avevamo fatto caso alla presenza di quell'accesso, ma imboccati dal dubbio cognitivo giusto, abbiamo interpretato quel nero in modo diverso e lì dove non avevamo visto niente, perché convinti che non ci fosse effettivamente niente, abbiamo infine trovato una via essenziale per proseguire nel gioco. E questa che vi abbiamo raccontato è soltanto una delle innumerevoli situazioni in cui Antichamber invita il giocatore a rivalutare e rileggere le sue percezioni per trovare la via giusta.

Un nuovo Portal?

Guardando le immagini e cercando di capire lo stile di Antichamber, a molti verrà sicuramente in mente Portal di Valve. Se è vero che entrambi i titoli condividono il desiderio di sperimentare soluzioni ludiche usando lo spazio in modo creativo, come soltanto i videogiochi permettono di fare, Antichamber ha un focus estremamente diverso da quello di Portal, più concentrato quest'ultimo sul proporre una serie di puzzle dal filo riconoscibile legato all'idea dei portali e al loro intenso sfruttamento. Antichamber invece cerca di variare il più possibile i puzzle, fondando la sua essenza sullo smarrimento del giocatore nella sua tela metafisica.

Gestalt

Antichamber teorizza nel migliore dei modi che negare le attese del giocatore, logiche e di gameplay, non è un delitto ma, anzi, consente di aprirgli mondi creativi e diversi, altrimenti impossibili. Ci sono elementi originali anche quando gli eventi sembrano imboccare la via del già visto. Ad esempio quando si trovano i fucili che permettono di raccogliere dei cubetti colorati, utili a vari scopi, ci si aspetta una maggiore linearità nella trama degli enigmi, linearità che non arriva mai.

Escher sarebbe contento

Alcuni potrebbero mettere sotto accusa la brevità del gioco (lo abbiamo finito al secondo tentativo, per circa tre ore complessive), ma si tratterebbe di una critica un po' ingiusta, poiché lo sviluppatore ha fatto di tutto per evitare ripetizioni, in modo da creare l'esperienza più intensa e variegata possibile. Se si fosse messo a riciclare gli stessi enigmi avrebbe sicuramente allungato il brodo, ma il risultato sarebbe stato peggiore e meno affascinante, oltre che più complicato da gestire in termini di coinvolgimento (se fondi la tua opera sulla psicologia della Gestalt, non puoi ripetere due volte lo stesso trucco, altrimenti perdi lo smarrimento nel fruitore necessario per rendere l'esperienza credibile). Insomma, avrete capito che Antichamber è un titolo dalle molte sfaccettature che merita di essere giocato anche solo come esperienza estemporanea. Evitatelo soltanto se odiate i puzzle game e se in fondo al vostro cuore pensate che la De Filippi sia una bella donna.

Conclusioni

Multiplayer.it
9.0
Lettori (40)
8.8
Il tuo voto

Antichamber è un capolavoro di design, sia dal punto di vista delle meccaniche di gioco, che da quello grafico. Certo, va preso per il verso giusto (paradossale, nevvero?). Apparentemente sembra non narrare nulla e può spiazzare al punto da farsi rifiutare. Per apprezzarlo dovete partire dall'assunto che non siete soltanto voi a giocare con lui, ma è anche lui che gioca con voi, a volte scherzando, a volte ingannandovi, a volte irridendovi e a volte offrendovi la soluzione più ovvia su un piatto d'argento, sapendo però che il resto del vissuto dentro il gioco vi suggerirà invece di provare l'alternativa più assurda. Qualcuno lo accusa di mancare di personalità, ma a parere nostro un qualsiasi tratto che rompesse la splendida asetticità di questa sinfonia geometrica sarebbe semplicemente un delitto.

PRO

  • Ingegnoso è dir poco
  • Escher lo apprezzerebbe
  • Stilisticamente meraviglioso

CONTRO

  • Il backtracking può infastidire
  • Non è lunghissimo

Requisiti di Sistema PC

Configurazione di Prova

  • La redazione usa il Personal Computer ASUS CG8250
  • Processore Intel Core i7 2600
  • 8 GB di RAM
  • Scheda video NVIDIA GeForce GTX 560 Ti
  • Sistema operativo Windows 7

Requisiti minimi

  • Sistema operativo: Windows XP SP2, Vista, or Windows 7
  • Processore: 2.0+ GHz o superiore (raccomandato un dual core)
  • RAM: 2 GB
  • Scheda video: NVIDIA serie 8000 o superiore (compatibile con gli Shader Model 3)
  • Spazio su disco: 1 GB
  • DirectX: 9.0c