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La lunga marcia

Dear Esther è un videogioco particolare. Alcuni potrebbero addirittura non considerarlo un videogioco. Cerchiamo di scoprirlo senza lasciarci prendere dai pregiudizi

RECENSIONE di Simone Tagliaferri   —   20/02/2012

Il compito di descrivere Dear Esther è di una facilità estrema, quasi puerile. Al giocatore è richiesto solo di attraversare i livelli passeggiando e di ascoltare il protagonista che recita delle lettere apparentemente senza capo nè coda, indirizzate a una certa Esther (da cui il titolo). L'unica interazione è una torcia elettrica che il protagonista accende automaticamente quando entra in ambienti bui e che serve a... nulla. Volendo ci sarebbe anche la possibilità di zoomare cliccando sul tasto sinistro del mouse, ma è veramente tutto qui. Capirete bene da soli che, se cercate un videogioco tradizionale, potete anche guardare altrove senza remore. Però, prima di scappare via, cercate di fare uno sforzo e continuate a leggere.

La lunga marcia

Non cercheremo di convincervi di quanto sia bello o brutto Dear Esther, cui si potrebbe dare un voto qualsiasi tra 0 e 10 senza cadere in alcuna contraddizione, ma cercheremo di spiegarne la genesi e capire quali profondi contenuti ne fondino il fascino che ha colpito più di qualcuno (in poche ore dal lancio ha venduto le copie che gli servivano per andare in pareggio). Dear Esther nasce nel 2007 come una mod di Half-Life 2, realizzata per un progetto universitario dell'Arts & Humanities Research Council. Il progetto artistico, nella sua semplicità, piace talmente tanto che gli autori ottengono un finanziamento dall'Indie Fund per svilupparlo e farlo diventare un prodotto autonomo. All'autore originale, Dan Pinchbeck, si aggiunge una figura chiave, l'artista Robert Briscoe, cui dobbiamo, tra gli altri suoi lavori, lo stile visivo di Mirror's Edge.

La lunga marcia

Briscoe riprende quanto fatto con la mod e riplasma il mondo di gioco come fosse uno scultore davanti a un blocco di marmo appena scalfito dallo scalpello di un altro artista. La colonna sonora viene invece realizzata dalla talentuosa Jessica Curry, che interpreta l'azione creando brani di grande impatto emotivo e perfettamente legati con i testi scritti da Pinchbeck. Insomma, avete sicuramente capito che a Dear Esther hanno lavorato giovani che hanno talento da vendere e che, dal punto di vista audiovisivo, hanno realizzato un lavoro eccezionale. Rimane però aperta la domanda fondamentale: come fa a piacere un gioco che, in fondo, è solo una lunga marcia?

Paesaggio emotivo

Potremmo ridurre tutto a un "tu chiamale se vuoi, emozioni", ma così facendo non avremmo spiegato molto e avremmo solo accatastato una pessima citazione. Dear Esther è lento, i monologhi del protagonista, ovvero la lettura di alcune lettere indirizzate a una certa Esther, di cui si scoprirà l'identità soltanto verso la fine, sono apparentemente sconnessi, contraddittori e di difficile comprensione, soprattutto se non si conosce bene l'inglese (fortunatamente il gioco è in via di traduzione nella nostra lingua, vedete box sottostante).

La lunga marcia

Obiettivamente non c'è niente da fare. Si cammina e si ammira il malinconico paesaggio. Eppure, se ci si lascia trasportare e si entra nello spirito giusto, Dear Esther diventa un'esperienza totalizzante. Presto si viene invasi dalla stessa solitudine che trascina il protagonista fino al suo destino (è faticoso raccontare un titolo simile senza fare accenni alla trama, scusate se scappa qualche anticipazione), si ammira l'ambiente in cui è costretto a vivere e se ne assapora il senso di vuoto e di vacuo dovuto all'assordante abbandono che lo circonda. La camminata diventa la marcia di un condannato a morte che ripercorre brani della sua esistenza avvolto in un delirio che ha espresso anche nel suo conflittuale rapporto con l'isola, quest'ultima è il correlativo oggettivo dello stato disperante in cui versa un corpo che non appare mai e che è lo stesso giocatore, costretto suo malgrado a partecipare a una storia che si racconta e trova un senso solo nella sua fine. Dear Esther non è divertente anzi, è decisamente angosciante, ma non vuole nemmeno esserlo e non è mai stato presentato come tale. È un'esperienza estetica profonda che mette in scena l'introspezione di un condannato che riflette sul senso della sua esistenza. Non ci sono vie di mezzo: o lo si accetta o lo si rifiuta. Ma non fatevi ingannare, non è una questione di gusti; è più una predisposizione mentale. Anzi, diciamo meglio: come videogioco tradizionale fa schifo (perdonate la brutalità) ma, semplicemente, non gli interessa affatto non farlo.

Dear Esther in italiano

La barriera linguistica rappresentata dalla difficile comprensione dei testi in inglese che compongono il gioco, particolarmente importanti per apprezzare appieno Dear Esther, potrebbe demotivare molti nel dare una possibilità all'opera di Dan Pinchbeck. Se siete curiosi di provarlo, ma siete frenati, sarete felici di sapere che nel giro di poche settimane il gioco sarà tradotto il diverse lingue, italiano compreso. Quando accadrà, vi aggiorneremo sicuramente.

L’isola che non c’è

L'isola di Dear Esther, immensa allegoria più che luogo reale, per quanto disegnata con un gusto fotografico che trova pochi paragoni nel mondo dei videogiochi, è percorsa da sentieri e viottoli che permettono di raggiungere anche i suoi recessi più nascosti. Lungo la strada il giocatore incontrerà un faro, delle grotte con dentro disegnati degli strani simboli, una nave insabbiata, degli edifici in rovina, delle grotte e così via. I quattro livelli che compongono l'opera, se esplorati con attenzione, si esauriscono in un paio d'ore. Tornando a quote più basse, possiamo dire che non esiste un altro titolo realizzato con il motore Source altrettanto bello da vedere, nemmeno tra le opere di Valve.

La lunga marcia

Soprattutto gli ultimi due livelli sono un continuo spettacolo visivo. Più che i singoli dettagli, stupisce l'affresco generale che si compone davanti agli occhi del fruitore, affresco la cui descrizione complessiva è resa ancora più penetrante e pervasiva dalla colonna sonora, con il suono del vento e la musica (quando presente) che si mescolano in una sinfonia di sonorità ricercata e potente. Tutto serve per creare empatia verso le scombinate parole del protagonista, memorie disconnesse come la polvere sollevata dalle folate. Questo viaggio nella lucida follia di chi raccoglie i frammenti della propria vita e tenta di dar loro un senso impossibile da cogliere, non poteva che terminare con uno splendido paesaggio lunare, con la luce del satellite naturale della Terra che disegna i confini tra il mare e la terra e che rende manifesto il fantasma evocato durante tutto il viaggio, in un crescendo che ha una sola possibile conclusione.

Conclusioni

Multiplayer.it
9.0
Lettori (73)
8.6
Il tuo voto

Come avrete capito non è facile giudicare Dear Esther. Tutto dipende da come lo si approccia e da cosa si cerca avviandolo. Anche se molto facile, non è un gioco per tutti perché richiede una buona apertura mentale per essere compreso e apprezzato. Sicuramente è un'esperienza unica e per certi versi sconvolgente. Dalla sua parte ha il fatto di non essersi mai offerto per quello che non è, anche se molti hanno deciso comunque di criticarlo per la mancanza di meccaniche di gioco forti. Sicuramente è un titolo controverso, ma ha molto da offrire a chiunque desideri un'esperienza videoludica originale e capace di comunicare di più di quanto normalmente non facciano i videogiochi tradizionali. Se non gradite l'impostazione scelta dall'autore, pensate sempre che nessuno vi impedirà di giocare ad altro e che, in fondo, un medium fluido come quello videoludico ammette esperienze di gioco anche molto diverse tra loro. Non è questa la sua vera forza?

PRO

  • Un'esperienza estetica eccezionale
  • Splendida ricerca paesaggistica
  • Colonna sonora azzeccata e ben suonata

CONTRO

  • Annoierà chi cerca un gioco tradizionale
  • Annoierà chi non cercherà di capire dove vuole andare a parare l'autore
  • Annoierà chi sentirà la mancanza delle armi da fuoco

Requisiti di Sistema PC

Configurazione di Prova

  • Processore: Intel Core 2 Quad Q6600
  • RAM: 4 GB
  • Scheda video: GeForce GTX 560 Ti OC
  • Sistema operativo: Windows Vista 32 bit

Requisiti minimi

  • Sistema operativo: Windows XP / Windows Vista / Windows 7
  • Processore: Pentium 4 3.0GHz
  • RAM: 1 GB
  • Scheda video: con 128 MB e supporto per Shader model 2.0 o superiore
  • Spazio su disco: 2 GB
  • DirectX: 9.0c

Requisiti consigliati

  • Processore: Intel core 2 duo 2.4GHz o superiore
  • Scheda video: compatibile con DirectX 9 con Shader model 3.0. NVidia 7600, ATI X1600 o superiore