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Sopravvivere all’orrore

Zombi, spiriti incattiviti, demoni infernali e creature mutate: il survival horror nei videogiochi

SPECIALE di Massimo Reina   —   16/07/2013

La variegata e ultradecennale storia dei videogame è fatta di curiosità, aneddoti, ma anche di situazioni per così dire "anomale". Di titoli di buona fattura durati lo spazio di una apparizione e poi caduti nel dimenticatoio, o serviti paradossalmente come fonte di ispirazione per altre produzioni più fortunate, arrivate al successo sfruttandone meccaniche e concept. In questo articolo vogliamo parlarvi proprio di questi prodotti e della genesi di un genere molto amato dal pubblico, che ha fatto la storia dei videogiochi, nonché della sua evoluzione negli anni. Precisiamo fin da subito, onde evitare sterili polemiche, che in nessun modo questo speciale si prefigge di essere una "bibbia" da seguire alla lettera, né vuole essere una qualsivoglia forma di ipotetica mini enciclopedia. Per cui eventuali dimenticanze possono essere volute o casuali, ma mai discriminatorie nei confronti di un prodotto piuttosto che di un altro. Semplicemente esso si prefigge di raccontare, ricordare e far riscoprire i progenitori delle serie più famose o che hanno dato il via al genere survival. Con un pizzico, perché no, di nostalgia per un tempo in cui i poligoni o la grafica ultra pompata non rientravano necessariamente fra i canoni principali da tenere fortemente in considerazione nel valutare un titolo.

La paura nei videogiochi: la storia dei survival horror dalle origini a oggi

Il bello della paura

Dare una definizione dettagliata del termine paura non è impresa semplice, ci sono decine di trattati scientifici in tal senso che analizzano questo stato emozionale. Né ci sembra questo il luogo adatto per parlarne in maniera approfondita (a prescindere, per essere onesti, dalle limitate conoscenze sulla psicologia e sull'argomento in generale di chi scrive questo articolo). In modo molto sintetico e semplificato potremmo definirla come uno di quegli elementi fortemente emotivi derivati dalla percezione di un pericolo, reale o supposto, che accompagnano l'individuo per tutta la vita.

Sopravvivere all’orrore

La paura si manifesta in varie forme, e una di queste, per esempio quella derivante dalla visione di un film horror, da un giro sull'ottovolante o dalla lettura di qualche racconto di fantasmi, può essere perfino una forma di godimento. Per un complesso meccanismo, che i mass media ben conoscono e che definiscono come la "sindrome dell'osservatore", una persona adulta ed equilibrata riesce a provare piacere dal coinvolgimento emotivo in un avvenimento violento e sanguinoso che non lo riguardi direttamente, e che magari nasce da situazioni fantastiche, di quelle impossibili che possano verificarsi nel mondo reale, come l'attacco di uno zombi o di un vampiro. In fondo cosa c'è di meglio che scaricare le proprie paure proiettandole su eventi e situazioni immaginarie? La miglior spiegazione sull'argomento l'ha data forse il regista de Il silenzio degli innocenti, Jonathan Demme, in una intervista del 2002 riportata anche da Repubblica: "Il perché ci piace essere spaventati è una delle domande basilari che ci poniamo nel mondo dello spettacolo e a cui non siamo mai stati capaci di dare una risposta soddisfacente. Più veniamo disturbati più siamo grati al film o al libro che ci ha inquietato. Ma perché? Lo scrittore per bambini Roald Dahl ha parlato a lungo del piacere doloroso della suspence: ecco, la mia teoria è che i film di orrore e di paura ci piacciono perché ci sono tante cose che ci spaventano come esseri umani, ogni giorno, ogni momento. Siamo terrorizzati da problemi di salute, dagli incidenti, da assassini pazzi che girano a piede libero o da eventi mondiali come la guerra nucleare o gli attacchi terroristici, e se andiamo a vedere un film che ci fa urlare dalla paura possiamo in qualche modo scaricarci, abbiamo l' opportunità di gridare che sono terrorizzato da tutto quello che succede oggi nel mondo, 'grazie per darmi la possibilità di urlare!'." Magari giocando a un videogioco ad hoc, un survival horror.

Sopravvivere all’orrore

Cos’è un survival horror

Il termine inglese survival horror viene utilizzato dagli addetti ai lavori e dai semplici appassionati per indicare una tipologia di videogiochi basati principalmente sulla sopravvivenza del personaggio giocato, solitamente in un contesto a sfondo orrorifico, a fronte delle terribili minacce che esso incontra sul suo cammino, di solito zombi, creature mutate, spettri o amenità varie. L'accoppiata di parole, dunque, serve per definire il tema del gioco piuttosto che le meccaniche che lo contraddistinguono. Non per niente, come vedremo più avanti, esistono sul tema diverse variazioni a livello di gameplay, come per esempio avventure, sparatutto in prima e in terza persona, etc. A questa categoria di prodotti appartengono così tutti quei titoli che hanno come peculiarità il mantenimento in vita, come detto, dei o del protagonista. Quest'ultimo va condotto lungo un certo percorso fino alla salvezza che spesso è poi rappresentata da un elicottero, un treno, una nave, o qualunque cosa lo allontani dal pericoloso luogo in cui si trova. Talvolta può anche essere richiesto lui di risolvere il caso che ha generato la situazione in cui si trova coinvolto suo malgrado, ponendovi fine, altre volte no. Per progredire nell'avventura non è sempre necessario eliminare tutti i mostri sullo schermo o presenti nelle varie locazioni, che dunque si possono semplicemente evitare. Né del resto è necessario scoprire ogni singolo dettaglio della storia. Tant'è che sovente, almeno nei serviva tradizionali, bisogna trovare parecchi stratagemmi proprio per evitare le creature che infestano le aree di gioco, specie in quei titoli in cui le munizioni non sono generalmente mai troppe.

La nascita del genere

Secondo gli storici del settore (ebbene si, esistono degli studiosi anche per quello che per noi rimane un meraviglioso hobby. Perfino History Channel ha dedicato ai videogame più di un documentario, alcuni dei quali vi consigliamo di procurarvi, come per esempio La storia del videogioco) il termine survival horror è stato coniato nel 1992, quando comparve per la prima volta sul mercato Alone in the Dark per MS-DOS, Mac OS e 3DO.

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Altri ancora collocano storicamente la nascita del genere nel 1995, in concomitanza dell'uscita del primo Clock Tower per Super Nintendo, anche se questi aveva una giocabilità molto diversa dal titolo di cui sopra, visto che essa era più simile concettualmente a quella di un'avventura grafica vecchio stile. In realtà, se non il termine identificativo, almeno l'origine di questa tipologia di videogiochi andrebbe fatta risalire idealmente al lontano 1989, anno di rilascio di Project Firestart, un gioco d'azione/avventura per Commodore 64. Disegnato da Jeff Tunnell e Damon Slye, e pubblicato all'epoca da Electronic Arts, il prodotto in questione aveva molti di quegli elementi che avrebbero poi caratterizzato stilisticamente i survival horror futuri, così come li conosciamo e apprezziamo oggi. In particolare una storia articolata, per il periodo, con molteplici percorsi e finali alternativi. Sempre del 1989 è l'altro per certi versi capostipite del genere, e cioè Sweet Home di Capcom, gioco per Nintendo 8bit, non fosse altro perché è stato il titolo che anni dopo avrebbe ispirato pesantemente il primo dei moderni survival, Resident Evil. Come nel capolavoro di Shinji Mikami, infatti, la storia raccontata in questo prodotto era ambientata in una magione abbandonata dove cinque personaggi rimanevano bloccati e tormentati da spiriti e altri mostri.

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Tipologie di survival

Proprio per la sua natura il survival horror si è prestato negli anni a varie interpretazioni, per così dire, da parte degli sviluppatori, trovando "sfogo" a sua volta, come accennato all'inizio, in svariati sottogeneri. Al filone che viene definito "classico", che poi sembra essere quello preferito dagli amanti di genere, appartengono quei giochi in cui è presente una forte componente narrativo-esplorativa, condita da elementi thriller e da puzzle-game. Di questa categoria fanno parte titoli come i vari Alone in the dark, in cui le paure "fatte vivere" agli utenti attraverso il gioco erano legate a riti arcaici, spiriti, possessioni e mondi oscuri pronti a entrare in contatto col nostro riversandovi tutto il proprio orrore.

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Poi i primi Resident Evil, i quali avevano certamente nemici differenti nonché uno stile più action rispetto al titolo di Infogrames, ma che da esso tuttavia mutuavano inquadrature, tensione e "regia", e il capostipite di un'altra serie storica del genere, Silent Hill. La paura dell'ignoto, del buio, del trovarsi isolati in un ambiente apparentemente deserto in cui si percepiva però qualche oscura presenza erano le basi su cui si fondava l'esperienza ludico-emotiva del titolo Konami. Un po' come in Project Zero, i cui fantasmi tipicamente asiatici che venivano fuori dai muri o dalle cesta, da affrontare quando possibile a colpi di flash di macchina fotografica, hanno fatto provare più di un brivido lungo la schiena e la nuca anche all'autore di questo articolo. A volte il genere ha svoltato verso un orrore più intimo, umano e quindi, per certi versi forse più spaventoso, come in Rule of Rose, dove i "mostri" non erano creature deformi ma semplici, folli, ragazzine, oppure nella propria testa, come nel sottovalutato Alan Wake. Altre verso ambientazioni spaziali, come il primo Dead Space, che puntava molto sulle atmosfere e sulla tensione derivante da una situazione all'apparenza senza speranza, questa volta a bordo di una astronave infestata da creature terrificanti. Questo, almeno, prima che il brand prendesse una deriva maggiormente action con i successivi episodi.

Survival e azione

Negli ultimi anni, infatti, il genere sembra aver perso un po' del suo stile iniziale, al punto da perdere ogni legame con gli schemi che ne caratterizzavano la giocabilità, eccezion fatta per ambientazioni e nemici, spingendo spesso l'acceleratore più sull'azione pura che sulla volontà di offrire agli utenti sensazioni di paura vera e propria attraverso stratagemmi più classici, e pertanto, in alcuni casi, forse non sarebbe nemmeno corretto identificare certi prodotti con questo termine. Ne sono un chiaro esempio Resident Evil 5, Dead Island o i vari Dead Rising e Left 4 dead. Proprio i due titoli citati per ultimi sono azione allo stato puro, con rari momenti di pausa e poco spazio per la storia.

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Ci sono poi gli ibridi, come per esempio sembrerebbe essere il prossimo Dead Space 3 o lo è l'ultimo Resident Evil, il sesto, che ha visto Capcom mescolare più generi assieme usando come stratagemma tre scenari e tre protagonisti differenti. Inutile dire che ai puristi del genere survival è piaciuto però di più l'episodio con protagonista Leon che gli altri due, dato che a parte qualche elemento stonato come la possibilità di tirare calci rotanti o alcuni momenti action, tutto sommato è il più simile idealmente al concept di gioco dei primi episodi della saga. Per le stesse ragioni molto apprezzato è stato anche Resident Evil: Revelations, riproposto su console domestiche e PC proprio nelle scorse settimane. E chissà che questi apprezzamenti del pubblico, uniti alla volontà della software house nipponica di realizzare prima o poi un remake di Resident Evil 2, non facciano si che ci sia una sorta di definitivo ritorno alle origini del genere, e alla nascita quindi di una serie di nuovi prodotti dallo stile più tradizionale. A noi, francamente, poter rivivere certe atmosfere e certe meccaniche di gioco non spiacerebbe. E in tal senso bene lascia sperare proprio il nuovo progetto del "papà" di Resident Evil, vale a dire Shinji Mikami. Stiamo parlando di The Evil Within, gioco annunciato recentemente e che abbiamo avuto modo di vedere in anteprima esclusiva grazie al nostro Antonio Fucito che si è recato in proposito in Giappone. Il resoconto completo della sua esperienza potete leggerlo qui, qui e qui, mentre noi ci limiteremo in questo articolo solo a sottolineare le parole del boss di Tango Gameworks. Mentre parlava di The Evil Within, infatti, Mikami ha evidenziato come oggi, dal suo punto di vista, non esistano i survival di una volta e che il suo obiettivo con il suo progetto sarà quello di riportare in auge un genere che negli ultimi anni si è mischiato un po' troppo con l'azione a discapito di quegli elementi esplorativi e di tensione tipici del genere. E noi non possiamo che condividere il suo pensiero.