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Videogame e polemiche: i dieci giochi più controversi di sempre

Quali sono stati i videogiochi più controversi di sempre, almeno secondo l'opinione pubblica mondiale?

SPECIALE di Massimo Reina   —   10/08/2017

La storia dei videogiochi è piena di titoli che a giusta ragione o meno sono stati considerati "controversi" dall'opinione pubblica. Titoli accusati di essere pornografici, brutali, sessisti o razzisti, perché realmente tali o magari solo in base alla percezione distorta che qualcuno ha avuto e ha voluto dare di essi. O ancora, in certi casi, perché rilasciati in un'epoca in cui la distanza tra il mondo dei videogiochi e l'opinione pubblica era ancora abissale, e dunque c'era poca conoscenza in materia, ed era dunque facile scandalizzarsi per poco. Ma tant'è, sono giochi che loro malgrado hanno fatto la storia anche per questi motivi (alcuni proprio "solo" per queste ragioni!), e noi ne abbiamo selezionato alcuni dei più rappresentativi tra quelli coinvolti in scandali e situazioni particolari. La nostra, come sempre, è stata una scelta fatta senza la volontà di creare una lista definitiva sul tema, o che metta d'accordo tutti, quanto piuttosto con l'idea di stilare un elenco di produzioni che potesse stimolare poi il dibattito tra voi lettori. Per la cronaca, ogni titolo è rappresentato in ordine crescente in base all'anno di rilascio, e con accanto la data della prima pubblicazione e il nome della piattaforma dove il videogioco ha visto la luce per la prima volta.

Videogame e polemiche: i dieci giochi più controversi di sempre

Custer Revenge’s (1982, Mystique - Atari 2600)

Siamo agli inizi degli anni '80, durante la cosiddetta Golden Age of Gaming. Un'epoca d'oro per i videogame, dove il VCS2600 di Atari era la console per eccellenza, i videogiochi i simboli ludici di una nuova epoca, e la libertà di espressione artistica consentiva a chiunque di pubblicare titoli con qualunque contenuto e per qualunque target desiderasse. Quindi anche materiale a sfondo erotico. Così, seppur in forma pixellosa, sugli schermi della console Atariarrivò il controverso e poco "politically correct" Custer's Revenge, un prodotto che concettualmente abbinava un discutibile umorismo etnico all'idea della sopraffazione individuale culminante in uno stupro. Nel gioco bisognava infatti guidare il generale Custer, con gli attributi di fuori e penzoloni, fino a una squaw legata ad un palo, per poi abusarne ripetutamente a mezzo di button mashing una volta superati frecce e ostacoli. Il titolo riuscì a conquistare la palma di gioco più estremo del periodo, ma anche quello di più contestato e osteggiato: condannato da diverse associazioni femministe, per le quali il gioco suggeriva "l'idea che lo stupro fosse divertente", e dai nativi americani per razzismo, Custer's Revenge vendette lo stesso decine di migliaia di copie e divenne la mascotte della scorrettezza sessuale in forma digitale.

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Chiller (1986, Exidy - Arcade)

In una lista come questa non poteva certo mancare un titolo come Chiller, un gioco che a dispetto della grafica, all'epoca comunque di tutto rispetto, non può che essere definito "agghiacciante", giusto per citare un noto allenatore di calcio. Chiller era ed è infatti violenza videoludica allo stato puro, senza fronzoli o filtri. Tecnicamente era uno shooter a puntamento col mirino, ma concettualmente era molto di più: per venire a capo di certi ambienti o superare determinate situazioni, il giocatore doveva mettere a segno dei colpi in maniera tale da fare abbassare in fretta il contatore della Monster Meter prima che l'altra barra, quella del tempo, arrivasse a zero decretando il Game Over. E siccome al gioco importava poco quale bersaglio venisse colpito, anche se a volte "spingeva" a centrare certi personaggi regalando dei bonus, l'utente poteva infierire su delle vittime incatenate e sottoposte a indicibili torture, o tentare di salvarle eliminando fantasmi e roditori che le seviziavano. Di fatto l'utente doveva preoccuparsi di "sopravvivere" per superare il livello, ma anche decidere se farlo sacrificando la vita dei prigionieri. Evento che, seppur atroce, avveniva spesso. E se un credito non bastava per completare il gioco, era di sicuro sufficiente per seviziare fino alla fine i torturati del primo quadro facendogli ruotare la pressa sul cranio, sparando ai punti vitali o facendo cedere la mannaia per decapitare il malcapitato la cui vita era sospesa sul filo del rasoio.

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Mortal Kombat (1992, Midway – 2011, Warner Bros. Interactive Entertainment)

Una delle saghe videoludiche più amate dai videogiocatori, ma anche una di quelle che ha suscitato il maggior numero di polemiche fin dal suo esordio, è Mortal Kombat. Bannata in molti Paesi in varie edizioni, la serie di picchiaduro è stata spesso accusata di essere promotrice di violenza, crudele e "pericolosa" per la psiche dei più giovani. Soprattutto coi primi episodi che presentavano una grafica per i tempi straordinaria per il genere, con attori in carne e ossa digitalizzati, che davano quindi alle scene violente un maggiore realismo. E di violenza, grazie alle Fatality, ce n'era a iosa: arti strappati dal corpo, teste mozzate, cuori estratti ancora pulsanti dal petto del nemico sconfitto e così via, in un tripudio di sangue. Quando poi il gioco arrivò nelle case dei videogiocatori, convertito dal cabinato alle piattaforme da gioco domestiche, fu il caos. Un certo professor Eugene F. Provenzo e il senatore statunitense Joe Lieberman gridarono al mostro "promotore di violenza". All'indomani della strage alla scuola di Columbine del 1999, l'allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton lo accusò, assieme a Killer Instinct e Doom, di istigare alla violenza, specie se giocato con una certa ossessività come facevano, sembra, i due autori del massacro, Eric Harris e Dylan Klebold. Con Mortal Kombat, sull'onda dell'indignazione di parenti e benpensanti, inizia a tutti gli effetti il percorso di censura videoludica e preoccupazione sugli effetti della violenza digitale che avrebbe portato alla creazione dell'Entertainment Rating Board nel 1994.

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Night Trap (1992, Digital Pictures – SEGA CD)

Night Trap è stato uno dei primi esempi di "film interattivo", cioè a dire quella tipologia di videogiochi dove l'utente è chiamato a interagire con dei video digitalizzati nel quale recitano attori in carne e ossa, come la sfortunata Dana Plato. Accusato di offrire contenuti poco adatti ai minorenni, ma anche di trattare in maniera leggera temi come il sesso, la violenza su giovani donne e l'omicidio, addirittura di "promuovere" queste azioni, Night Trap sarà, insieme a Doom, Lethal Enforcers e Mortal Kombat, uno dei titoli che porteranno alla creazione del metodo di classificazione Entertainment Software Rating Board. Il titolo, in realtà, non aveva nulla di quello per il quale veniva accusato: niente nudi, niente scene particolarmente violente, nessuna situazione che potesse davvero far pensare all'istigazione alla violenza contro le donne. Anzi, nel gioco bisognava salvarle! Insomma, Night Trap sembrava il classico filmetto pseudo horror anni '80-'90, di quelli senza eccessive pretese che all'epoca venivano spesso prodotti per il solo mercato dell'home video, che un "mostro" da censurare. Ma la percezione dell'epoca del mondo dei videogiochi era diverso da quello attuale, e la disinformazione e i pregiudizi sul tema si sprecavano, col risultato che il titolo venne praticamente demonizzato dalla stampa generalista e dalle autorità.

Doom (1993, id Software - PC)

A gettare ulteriore benzina sul fuoco delle polemiche e delle crociate anti-videogiochi arrivò nello stesso periodo anche id Software col suo Doom. Nel 1993 il mercato dei PC era in fermento, grazie all'uscita del Pentium, la cui potenza hardware era l'ideale per far girare a dovere il nuovo ambizioso progetto di John Carmack e del suo team di sviluppo. Si trattava di un nuovo sparatutto in prima persona intitolato Doom, dove cacodemoni, zombi e creature demoniache piene di impianti tecnologici erano pronti a fare la pelle al protagonista dell'avventura, un marine dello spazio senza nome, decisamente agguerrito e poco propenso a farsi ammazzare dalle orde di creature che incrociava lungo il suo cammino. Ma ciò che la nuova potenza portò in dote fu in particolare una veste grafica condita da una dose esageratamente alta di violenza. Qualcosa che fino a quel momento non si era mai visto in un videogame: giocando a Doom, infatti, l'utente aveva "davvero" la sensazione di squartare orde di demoni a colpi di fucile e motosega, e questo contribuì non poco al successo del titolo, ma anche a scatenare polemiche. La Chiesa e le varie associazioni cattoliche gridarono allo scandalo per via dei vari riferimenti satanici presenti nei livelli di gioco. Giornali, televisioni e partiti politici di ogni fazione si stracciarono le vesti per la presenza di sangue e violenza estrema, e qualcuno si spinse a definirlo perfino un "simulatore di omicidio". E questo per anni: nel 1999, dopo il massacro alla scuola di Columbine, Doom tornò a far parlar male di sé sui giornali e sulle televisioni, poiché i due autori della strage erano patiti del videogioco.

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Carmageddon (1997, Stainless Games - PC)

Potenti autovetture, gare mozzafiato e sangue. Tanto. Era il 1997 quando un gioco apparentemente di corse automobilistiche sconvolgeva letteralmente l'opinione pubblica mondiale con la sua brutale violenza. Una violenza che si concentrava su inermi passanti, da travolgere con l'auto in vertiginose gare su strada per ottenere dei bonus. Ispirato a un vecchio film interpretato da David Carradine, Anno 2000: La corsa della morte, Carmageddon richiedeva infatti agli utenti di gareggiare, vincere le corse per scalare la classifica, ma anche di distruggere le macchine avversarie e uccidere i pedoni presenti sui vari tracciati cittadini in un tripudio di carne maciullata e sangue che poco spazio lasciava alla fantasia del giocatore. Molti Paesi bloccarono la distribuzione del gioco, altri costrinsero gli sviluppatori a operare alcune censure, come quella di sostituire gli umani con dei robot e degli zombi, e il sangue con del liquido nero o verde. Ma questo non servì a chiudere definitivamente le polemiche su uno dei titoli concettualmente forse tra i più "cattivi" di sempre.

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GTA serie (1997, Rockstar Games – PC e console)

La serie di Grand Theft Auto è famosa per il suo essere "politically incorrect" e contenere un elevato tasso di violenza. E questo fin dal primo episodio, pubblicato nel 1997 da Rockstar Games prima su PC e successivamente su PlayStation e Game Boy Color. Nonostante avesse una grafica bidimensionale, il titolo si rivelò un successo immediato grazie a una giocabilità che poneva l'accento sulle scene d'azione urbana e sulla libertà di poter fare quello che si voleva, giusto o sbagliato che fosse. Anche falciare gruppi di pedoni con l'auto, rubare con la forza delle vetture o eliminare i poliziotti. Ma col successo arrivarono anche i primi guai. Le autorità inglesi e tedesche lo condannarono immediatamente, bollandolo come diseducativo e violento, mentre in alcuni Stati il gioco fu addirittura bandito. Da più parti si levarono gli scudi nei confronti di un titolo nel quale si doveva scalare la vetta della malavita locale, compiendo rapine, omicidi e spacciando droga. Le critiche furono davvero feroci, ma paradossalmente finirono per fare pubblicità al videogioco. Un po' quello che accadde anni dopo con Grand Theft Auto III: finalmente calato in una realtà tridimensionale, con questo capitolo il giocatore si ritrovava in una città più realistica, viva e pulsante che mai. Poteva spacciare droga, uccidere poliziotti, rapinare banche e andare con le prostitute. Se voleva poteva pure farle fuori per rubargli i soldi. Le denunce per istigazione alla violenza fioccarono a decine nella sedi di Rockstar Games e Take-Two Interactive, ma ciò non gli impedì di diventare un'autentica killer application per PlayStation 2.

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Rule of Rose (1998, Capcom - PlayStation 2)

Capcom non è nuova a polemiche, talvolta a dire il vero strumentali, che riguardano alcuni dei suoi giochi, basti pensare ai primi Resident Evil, accusati di essere troppo volenti, o al quinto capitolo, tacciato addirittura di razzismo perché i protagonisti uccidevano delle persone infettate da un terrificante virus, di colore. Cosa del resto abbastanza logica, considerando che era ambientato in Africa, e che la popolazione di quel continente, almeno verso sud, è prevalentemente di pelle scura. Eppure in quel 1998, l'azienda giapponese non si aspettava forse di ritrovarsi in mezzo a nuove polemiche. A causarle fu il controverso gioco Rule of Rose, un'avventura con elementi survival che aveva una peculiarità: i "nemici", i mostri da affrontare, da cui difendersi, non erano i classici spettri, zombi o creature dalla ignota provenienza, ma dei sadici, crudeli, "normali" bambini. La trama, infatti, era basata su tematiche forti, e affrontava a modo suo delle situazioni che purtroppo sempre più spesso coinvolgono i ragazzini in tutto il mondo. Gli adolescenti e la violenza. In Italia se ne occuparono, tra mille polemiche, i principali quotidiani e settimanali nazionali, e ci furono perfino interrogazioni parlamentari, tentativi di censura e la proposta di istituire una commissione di vigilanza apposita.

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Manhunt (2003, Rockstar Games – PlayStation 2)

Di titoli classificati come violenti e additati spesso ingiustamente dai media come la causa di tutti i mali del mondo è piena la storia dei videogiochi. Pochi però si sono visti assegnare la palma di gioco "più brutale di sempre" come Manhunt, un action avventuroso con elementi stealth realizzato nel 2003 da Rockstar Games per PlayStation 2, e l'anno dopo per PC e Xbox. L'uscita del gioco venne accompagnata dal solito corollario di polemiche e di interrogazioni parlamentari, specie negli USA, dove a seguito della tragica morte di un ragazzino ad opera di un amico, lo si accusò perfino di aver ispirato la tragedia. Ambientato in un apocalittica e immaginaria città chiamata Carcer City, il titolo narrava le vicissitudini di un detenuto di nome James Earl Cash che, creduto morto dal mondo intero dopo una esecuzione tramite iniezione letale, si ritrovava intrappolato sul set di uno snuff movie. E lì si scatenava uccidendo i suoi avversari nei modi più cruenti e brutali possibili, soffocandoli, decapitandoli, squartandoli, massacrandoli a sprangate e chi più ne ha, più ne metta. Una violenza estrema che il pubblico ritrovò, amplificata, anche in Manhunt 2, la cui distribuzione fu bloccata in Paesi europei quali l'Inghilterra, l'Irlanda e l'Italia, dopo che il governo si era schierato apertamente contro la diffusione di un videogioco che, secondo le parole dell'allora ministro delle comunicazioni Paolo Gentiloni, "incoraggia alla violenza e all'omicidio."

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Canis Canem Edit (Bully) (2006, Rockstar Vancouver - PlayStation 2)

Il bullismo è purtroppo uno dei "mali" più terribili della nostra società. Un problema serio, non sempre affrontato secondo chi scrive con la giusta attenzione e severità da chi dovrebbe vigilare sulla sicurezza dei più giovani e dei più deboli. Tant'è che l'argomento in sé suscita sempre tante polemiche e poche soluzioni, in TV come nei dibattiti politici in Parlamento. Proprio come accadde qualche anno fa, quando venne annunciato addirittura un videogioco dove si poteva interpretare proprio un bullo. Il binomio videogioco-bullismo finì per stuzzicare le fantasie (e non solo quelle) di chi solitamente vede l'intrattenimento elettronico come il Diavolo in persona, scatenando proteste, dibattiti televisivi e politici e interventi dei giudici. E a poco servì, almeno in Europa, ribattezzare il gioco, Bully, in Canis Canem Edit: il prodotto rimaneva sempre l'avventura di un bulletto di quindici anni, e su quelle basi si sviluppavano tutte le azioni in gioco dell'utente. Oltre a cimentarsi nelle diverse missioni (comprendenti scherzi, risse e gare di ogni genere), il protagonista, Jimmy, poteva interagire in una varietà di maniere con i suoi colleghi studenti, minacciandoli, picchiandoli, costringendoli a fare cose contro la loro reale volontà o, nei casi più tranquilli, instaurare con alcuni di loro una sorta di relazione sentimentale, anche omosessuale. Il tutto per diventare il capo assoluto della scuola privata dove veniva rinchiuso dalla madre.

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...e non solo!

Questi sono solo alcuni dei videogiochi che nel corso della storia, per un motivo o l'altro, hanno scatenato polemiche, dibattiti e discussioni, e in molti casi perfino l'intervento delle autorità e della censura. Ma tanti sarebbero ancora i prodotti che potremmo elencare, dal reboot di Tomb Raider con la famosa scena del quasi stupro di Lara che suscitò l'ira di alcune organizzazioni femministe, a Duke Nukem 3D, accusato di pornografia, a Call of Duty: Modern Warfare 2 con la sequenza dell'attacco terroristico all'aeroporto, fino a Fat Princess, gioco "reo" di "generare e amplificare i pregiudizi nei confronti delle donne sovrappeso". E voi, quali giochi inserireste in una vostra ipotetica classifica e cosa ne pensate del modo in cui alcuni titoli sono stati accolti da una certa fetta di pubblico e dalle autorità?