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Le case dell'orrore nei videogiochi

Una panoramica sulle più famigerate case dell'orrore nei videogiochi.

SPECIALE di Giorgio Melani   —   06/12/2018

La casa infestata è il topos horror per antonomasia, spesso utilizzato al cinema come nell'imminente La Casa delle Bambole. Un motivo ricorrente che però si ritrova anche perfettamente rappresentato in diversi videogiochi. Il potere, tipico di questo medium, di immergere direttamente l'utente all'interno dei luoghi in cui si svolge l'azione, ha consentito la costruzione di alcune ambientazioni paradigmatiche anche in questo genere, sebbene le suggestioni della letteratura e gli influssi stilistici del cinema abbiano profondamente modellato queste location secondo alcuni principi abbastanza canonici. Tuttavia, si possono trovare delle variazioni interessanti nella rappresentazione della casa infestata in forma videoludica, che a fronte di un immaginario comune si è declinata in modi diversi a seconda del gusto, della sensibilità e anche delle esigenze di gameplay in numerosi videogiochi, tra occidente ed oriente, dalle prime avventure semi-testuali come Mystery House su Apple II nei primi anni 80 ai survival horror moderni. Facciamo una panoramica su alcune delle case che più di altre sono rimaste impresse nella memoria dei giocatori.

Derceto, Alone in the Dark

Una delle case più famose dell'orrore videoludico è indubbiamente Derceto, ampia magione dove si svolge il primo Alone in the Dark. La villa in stile vittoriano è un classico dell'immaginario lovecraftiano, anche se qui ci si sposta dal New England alla Lousiana e allo stesso modo le presenze che infestano l'edificio sono dichiaratamente ispirate alle opere dello scrittore di Providence. La possessione di Derceto è di tipo fortemente metafisico, richiamando divinità pagane e primordiali abitanti nelle fondamenta della magione, le cui manifestazioni fisiche emergono in mostri, fantasmi e varie altre presenze oscure in giro per le numerose stanze. L'utilizzo delle inquadrature fisse riesce ad esaltare l'inquietudine che scaturisce dalle ricche ma austere strutture interne della casa, tra arredamento, carta da parati e luci. La tetra architettura di Derceto, insomma, crea una vibrazione più sottile ma costante, sottesa all'orrore più esplicito delle creature che la abitano ma non meno potente.

Le case dell'orrore nei videogiochi

Spencer Mansion, Resident Evil

La villa degli Spencer nel primo Resident Evil è anch'essa un luogo tipico dell'orrore, tanto che anche i capitoli successivi, in un modo o nell'altro, ne riproducono in qualche punto le atmosfere, diventando una sorta di marchio di fabbrica per la serie Capcom. Curiosamente, si potrebbe considerare un'interpretazione nipponica del medesimo soggetto messo in scena dai francesi di Infogrames con Alone in the Dark, visto che i due titoli condividono molte caratteristiche. È diversa la matrice dell'oscurità che pervade la villa, qui più terrena e meno metafisica, derivante da esperimenti scientifici più che da divinità e culti esoterici, ma la magione vittoriana di Resident Evil gioca su inquietudini che viaggiano sulle stesse lunghezze d'onda di Derceto: anche qui le inquadrature fisse fanno risaltare le architetture e le suppellettili ricche e decadenti di una casa troppo grande da ospitare una quantità angosciante di ombre.

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Appartamento 302, Silent Hill 4: The Room

Silent Hill 4: The Room è uno dei pochi videogiochi horror ad essere riusciti a riprodurre un tipo di paura particolarmente angosciante, basata sull'intromissione di elementi sovrannaturali all'interno di un contesto familiare e quotidiano. L'incubo di Henry Townshend parte dalla normalità più assoluta, quella del suo appartamento al terzo piano di un condominio e sfocia nel surreale quando si ritrova imprigionato senza possibilità di contatti con l'esterno. Mentre il mondo intorno sembra proseguire nella banalità quotidiana, Henry si trova a viaggiare per ambientazioni terrificanti che partono tutte dal proprio appartamento, fino a ritrovarsi con presenze oscure che traspaiono dalle pareti e dagli oggetti di casa, il tutto reso ancora più inquietante dall'utilizzo della soggettiva nei momenti in cui se ne esplorano le stanze. Sebbene non esente da difetti, il quarto capitolo della serie resta memorabile proprio per questa capacità di fondere l'ordinario con l'oscurità tipica di Silent Hill.

Le case dell'orrore nei videogiochi

Himuro Tei, Fatal Frame

Un esempio perfetto dell'ambientazione tradizionale nipponica in chiave horror è fornito dalla casa Himuro, protagonista di Fatal Frame (o Project Zero). Nel gioco Tecmo due giovani gemelle sensitive si ritrovano a vagare nell'antico edificio in stile giapponese, unendo il fascino dell'architettura classica alle tipiche inquietudini dell'horror orientale, più impostato sul metafisico tra fantasmi e possessioni, rese ancora più spaventose dalla necessità di utilizzare la speciale macchina fotografica per imprimerli su pellicola. Il bello è che la Himuro Mansion è effettivamente protagonista di una famosa leggenda metropolitana, legata a oscuri riti che si sarebbero tenuti per anni all'interno di questa misteriosa villa nelle foreste fuori Tokyo. Col sostrato di "eventi realmente accaduti" o presunti tali, il mito dell'edificio in questione, dimora di spiriti inquieti e vendicativi, risulta ancora più potente e affascinante, oltrepassando i confini del videogioco e raggiungendo la cultura popolare.

Great Hall

Stauf's Mansion, The 7th Guest

Il vecchio Stauf costruì una casa e la riempì di giochi, sei ospiti invitò una sera e le loro urla furono gli unici suoni. Un'inquietante filastrocca introduceva la strana storia di The 7th Guest, avventura horror ricordata anche per essere uno dei primi videogiochi a sfruttare le possibilità offerte dal CD-ROM. Come gli altri titoli qui, anche questo è ambientato interamente all'interno di una casa, la magione di Henry Stauf, un folle giocattolaio che decise di disseminare la propria villa di macabri enigmi da risolvere. Anche in questo caso abbiamo a che fare con architetture e interni nello stile classico dell'alta borghesia americana di inizio 900, ma quello che è rimasto impresso di The 7th Guest è la precisione con cui il gioco rappresenta le ambientazioni, con un utilizzo all'epoca avanzato del 3D pre-renderizzato che rendeva estremamente realistiche la varie ambientazioni del gioco, dando l'impressione di trovarsi all'interno di una casa vera e spaventosa.

Le case dell'orrore nei videogiochi

Casa Baker, Resident Evil 7

La rivoluzione apportata da Resident Evil 7 alla serie parte proprio dalla sua ambientazione, coinvolgendo poi la struttura stessa del gioco, in un ritorno all'horror vero. La grande e fatiscente casa della famiglia Baker a Dulvey, in Lousiana, tra i boschi e il bayou, è una delle location più paurose che si ricordino nella storia dei videgiochi, pur risultando piuttosto realistica e sulle prime nemmeno troppo terribile. È il fatto di penetrare all'interno della vecchia casa, scoprendo i segreti della famiglia di mostri e scappando da loro per l'impossibilità di sconfiggerli affrontandoli a viso aperto a farci calare velocemente nella spirale del terrore, mentre gli incubi si intensificano e quella che sembrava una malmessa casa piuttosto normale si rivela un ricettacolo del male più oscuro. Eppure è proprio tra quelle suppellettili sporche e malandate che dobbiamo trovare la salvezza, nascondendoci di stanza in stanza alla ricerca della verità e di una via di fuga, in un rapporto tra giocatore e ambientazione che si rivela molto intenso.

Casa suburbana, P.T.

Tra le rappresentazioni più moderne della casa infestata non possiamo evitare di menzionare quella di P.T., nonostante si tratti di un'esperienza molto particolare e un semplice accenno di quello che sarebbe dovuto essere un videogioco completo. Tuttavia, è bastato questo teaser giocabile da qualche minuto per creare un vero e proprio mito, forse una delle esperienze horror di maggior impatto mai viste in ambito videoludico. La ripetizione ossessiva dei medesimi corridoi e stanze, con la progressiva aggiunta di elementi orrorifici, la sensazione costante di essere osservati e braccati da un fantasma, gli enigmatici messaggi e le terrificanti, seppure ermetiche, apparizioni metafisiche creano un'angoscia crescente, moltiplicata dal realismo con cui è rappresentata l'ambientazione di gioco, ovvero una normalissima - e per questo ancora più inquietante - casa suburbana americana che, evidentemente, è stata teatro di un male profondo rimasto ad aleggiare tra le sue pareti.

Greenbriar Mansion, Gone Home

Inserire quella di Gone Home tra le case horror può sembrare improprio, tuttavia pochi giochi riescono a costruire un'atmosfera con punti di tensione e di inquietudine così alti come quelli presenti in questa particolare avventura ad impianto narrativo. La magione dei Greenbriar si distingue peraltro per un notevole carisma, derivante dal fatto di essere un po' la vera protagonista della storia: le linee narrative della trama, che mischiano le storie dei vari membri della famiglia in periodi storici diversi, trovano infatti nella casa il loro vero punto d'incontro, un nodo focale che si rivela teatro di ribellioni giovanili, sereni quadretti di vita familiare, drammi esistenziali, riscatti e dolori profondi, fino a raggiungere alcuni dei più oscuri segreti che si celano negli angoli più bui dell'antica costruzione in stile coloniale ma che potrebbero nascondersi in qualsiasi normale e "rispettabile" dimora. D'altra parte, l'avvio del gioco con la casa misteriosamente deserta e buia e la tempesta che batte alle finestre non è messo a caso, ma anticipa ed evidenzia alcuni toni che caratterizzano la sua storia.