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Il caso della mancata traduzione in italiano di Torment: Tides of Numenera sta diventando un inutile e patetico psicodramma da social?

Quand'è che l'indignazione super il livello della ragionevolezza e diventa qualcos'altro?

NOTIZIA di Simone Tagliaferri   —   01/02/2017

Siamo tutti dispiaciuti per la mancata localizzazione di Torment: Tides of Numenera in italiano e siamo tutti d'accordo sul fatto che inXile avrebbe potuto gestire meglio le tempistiche dell'annuncio del taglio. Manca un mese al lancio e, dopo anni di attesa, molti dei delusi pregustavano di poterci finalmente giocare. Insomma, l'amarezza è comprensibilissima, ma dopo più di una settimana dal fatto vedere migliaia di persone che continuano a lamentarsi e a prodigarsi in minacce assortite, costringendo gli sviluppatori a tornare sull'argomento, per spiegare qualcosa che avevano già spiegato, mette tristezza.

A pensarci bene però, i conti non tornano. Perché tutta questa rabbia? Ma, soprattutto, chi sono questi "arrabbiati"? Gli unici che hanno diritto di lamentela sono pochi backer della campagna Kickstarter, ossia coloro che avevano già speso dei soldi motivati espressamente dalla promessa della traduzione in italiano. Quanti sono? Il numero preciso non si conosce, ma contando che gli italiani che hanno finanziato Torment: Tides of Numenera sono poche centinaia, tra i quali chi scrive, da dove spunta questa massa di persone che si affolla in ogni dove a lanciare strali contro inXile? Perché per gente che non aveva ancora comprato il gioco la mancata traduzione in italiano è improvvisamente diventata una questione d'importanza capitale? Sono decine i giochi non tradotti, alcuni anche più commerciali di Torment (pensate al recente Conan Exiles, tanto per dire): anche per questi si sta alzando un polverone perché non in italiano? Oppure in questo caso conta soprattutto la promessa? Ma conta per chi, se tanto la maggior parte dei più infervorati non aveva comunque finanziato il gioco? Insomma, per loro, in termini assoluti, cosa cambia tra un Torment e un qualsiasi altro titolo non tradotto?

Viene da sorridere a pensare al fatto che se anche soltanto una frazione degli "indignati" comprasse davvero i giochi, le software house avrebbero tutto l'interesse a tradurli. Invece ogni volta titoli come Torment: Tides of Numenera fanno numeri bassissimi nel nostro paese, tradotti o non tradotti che siano, come dimostrano Wasteland 2 (sempre di inXile) e Pillars of Eternity, che pure sono due grandi successi a livello internazionale. Ma se volete possiamo continuare a oltranza, visto che tanto l'elenco di titoli osannati che da queste parti non hanno venduto nulla (ma che hanno giocato tutti... chissà come), è sterminato. Viene da sorridere anche per il fatto che questo psicodramma collettivo da social stia colpendo una società che, tempistiche a parte, si è comunque dimostrata correttissima, risarcendo completamente chiunque ne faccia richiesta (basta motivarla con il taglio della traduzione in italiano). Giusto ieri abbiamo pubblicato uno speciale pieno di campagne di crowdfunding andate in malora che non prevedono nessuna forma di risarcimento per i poveri backer. Insomma, lamentarsi va bene ed è ammissibile che qualcuno ci sia rimasto davvero male, ma ormai questa faccenda ha ampiamente superato la soglia della ragionevolezza ed è sfociata nel patologico. È vero che la rete fa da cassa di risonanza a qualsiasi non-problema, trasformandolo in un leviatano, ma qui il rischio è che si passi dall'avere una qualche ragione, all'apparire patetici.