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The Witcher, la recensione della serie TV Netflix

La recensione di The Witcher, serie TV su Netflix disponibile da oggi in streaming basata sulla saga di Geralt di Rivia: abbiamo visto le prime puntate e siamo pronti a raccontarvi quanto ci siano piaciute in questa recensione rigorosamente senza spoiler

RECENSIONE di Pierpaolo Greco   —   20/12/2019

Chi scrive questa recensione di The Witcher, serie TV su Netflix disponibile da oggi in streaming, non ha mai nascosto la sua affezione per l'universo videoludico dello strigo, giudicandolo in molteplici occasioni più rifinito, scorrevole e coerente dei romanzi di Andrzej Sapkowski a cui CD Projekt si è ispirata per mettere in piedi l'eccezionale trilogia di RPG. Allo stesso tempo non possiamo nascondere di esserci avvicinati a questa nuova serie firmata Netflix con delle aspettative veramente molto basse: troppi erano i dubbi sul cast, sulla continua volontà di ribadire la sua lontananza dall'immaginario videoludico in favore di un rispetto assoluto del materiale scritto, sull'inevitabile rischio di confronto con altre produzioni medievali e fantasy di enorme valore.

E invece, lo diciamo fin da subito con grande schiettezza: quello che abbiamo visto della serie The Witcher non ci ha solo convinto, ma ci è proprio piaciuto. Purtroppo non abbiamo potuto visionare l'intera stagione e questo non ci mette al riparo da un eventuale abbassamento qualitativo del finale o magari da qualche incastro narrativo non ben riuscito o, ancora, da un epilogo con annesso cliffhanger troppo audace e furbetto.

Witcher Cavill

Il nostro account di anteprima ci ha infatti permesso di goderci le prime 5 puntate delle 8 complessive: 5 ore abbondanti di materiale filmico che ci hanno intrattenuto piacevolmente e, soprattutto, ci hanno lasciato desiderosi di vedere come Lauren Schmidt Hissrich, la showrunner, deciderà di concludere l'arco narrativo di questa prima stagione, ormai saldamente in carreggiata per una seconda season già confermata da Netflix.

Videogioco o libri?

Sia chiaro che eviteremo in ogni modo possibile di scrivere qualsiasi spoiler qui dentro, ma un minimo di contesto è doveroso farlo, se non altro per approfondire l'ambientazione e le scelte narrative alla base di questa produzione.

La serie Netflix The Witcher, come detto in molteplici occasioni, si allontana completamente dalle storie raccontate da CD Projekt nella trilogia videoludica, espansioni comprese. Tuttavia ci sono una serie di elementi di familiarità che possiamo ritrovare e che i fan non faticheranno ad apprezzare fin da subito, su tutti il nucleo centrale di personaggi composto dal protagonista Geralt e da un gruppo ristretto di comprimari: Yennefer, Cirilla, Triss e Ranuncolo (o Jaskier o Dandelion a seconda se abbiate letto i libri in inglese o giocato ai titoli della software house polacca).

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Il lavoro fatto dalla showrunner in questa prima stagione è stato quello di prendere i sette racconti del secondo libro scritto da Andrzej Sapkowski (che però è ambientato cronologicamente per primo), Il guardiano degli innocenti, insieme a una piccolissima manciata di temi e figure de La spada del destino, per creare una storia estremamente affascinante e scorrevole che riesca a introdurre con la giusta quantità di dettagli le principali figure di cui sopra, mettendo in moto contemporaneamente gli avvenimenti chiave che rappresentano poi l'ossatura dell'intera saga libraria.

L'origine dell'appellativo del carnefice di Blaviken dato a Geralt, il concetto della Legge della sorpresa tanto cara ai Witcher, la caduta di Cintra, la lunga fuga di Ciri, la scoperta delle competenze magiche di Yennefer, sono solo alcuni dei temi toccati nelle prime 5 puntate e che dimostrano quando la Hissrich sia stata competente e fedele nel tradurre su schermo quello che Sapkowski ha scritto spesso in modo disordinato e poco chiaro. Non mancano una serie di libertà che la showrunner si è presa, soprattutto nelle ultime due puntate, e che sono quelle che maggiormente ci hanno sia fatto storcere il naso che stupito per i possibili risvolti sul resto della serie e su quello che verrà dopo, ma deve essere chiaro fin da subito che se avete apprezzato gli scritti dell'autore polacco, non farete alcuna fatica a seguire la serie TV e, anzi, probabilmente apprezzerete anche le scelte di semplificazione operate dalla Hissrich.

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Tuttavia se il vostro background con lo strigo si limita al videogioco o, addirittura, neanche a questo, preparatevi a una sana dose di punti interrogativi che inizieranno a rimbalzare nella vostra testa. La serie Netflix The Witcher infatti, soffre in piccola parte proprio a causa del disordine narrativo dei primi due libri che non hanno la forma classica di un romanzo con un suo preciso arco narrativo, ma raccolgono una manciata di racconti "brevi" che ruotano intorno a Geralt, ai Witcher e ai comprimari già elencati.

Queste storie non sono posizionate in ordine cronologico e spesso si mescolano tra loro senza che sia perfettamente chiaro il contesto in cui sono avvenute, talvolta infilando nel mezzo tutta una serie di temi e nozioni relativi al Continente, la terra dove è ambientata la saga letteraria, che diventano più chiari solo leggendo i libri successivi. La complessità strutturale dell'opera di Sapkowski è in parte presente anche in questa serie e non possiamo nascondere che pur apprezzando la scelta di mantenere la profondità originale, è possibile che in un paio di occasioni possiate rimanere spiazzati o non vi siano chiare alcune dinamiche o la successione cronologica degli eventi.

Calarsi nella parte: i personaggi

Come scrivevamo in apertura di articolo, una delle maggiori preoccupazioni riguardanti la trasposizione in serie di Netflix era inerente il casting. Quando un prodotto visivo d'intrattenimento riesce a dare vita, forma e sostanza a dei personaggi letterari fissando nelle teste delle persone dei connotati estetici ben precisi, diventa davvero complesso offrire un diverso approccio alla fisicità di quei protagonisti senza accendere tutta una serie di critiche basate sui pregiudizi.

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Per intenderci in modo più concreto, il processo che portò al coro di critiche in merito a Marvel's Avengers la prima volta che Crystal Dynamics mostrò la sua interpretazione degli eroi dei fumetti dopo più di 10 anni di film in cui quei personaggi erano impersonati da determinati attori, con The Witcher è avvenuto al contrario. Geralt doveva essere una figura longilinea, smagrita, estremamente tirata e asciugata dalle mutazioni e da una vita in costante movimento, come lo stesso Sapkowski lo definisce in diversi passaggi dei libri, e come siamo abituati a vederlo nei videogiochi di CD Projekt, e invece ci ritroviamo Henry Cavill, un bellissimo ragazzone inglese con un bel mascellone squadrato tirato su a pane e bilancieri.

Tuttavia, basta vedere la prima puntata per rendersi conto come qualsiasi pregiudizio possa crollare davanti a un attore in grado di entrare in modo così genuino nella parte che gli è stata assegnata, complice il suo amore per quel personaggio e per il suo stile di vita. Cavill, al netto di qualche smorfia di troppo, è un Geralt assolutamente credibile: si muove come ce lo immaginiamo, combatte con destrezza e rapidità (la battaglia finale del primo episodio è davvero un meraviglioso condensato di coreografia e fisicità), ha la presenza scenica che si addice a uno strigo e parla esattamente come il lupo bianco in The Witcher 3: Wild Hunt. Perché quando l'attore dichiarava di essersi ispirato al doppiatore del videogioco per modulare la sua voce, vi possiamo garantire che aveva ragione: se avrete la possibilità di seguire la serie in lingua originale, vi stupirà per come Cavill sia stato in grado di esprimersi in quelle espressioni stizzite, brevi e dritte al punto, regolando il suo timbro vocale in modo da essere perfettamente identico al Geralt videoludico.

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Un discorso simile ci sentiamo di farlo anche per le altre due figure chiave della serie, Yennefer e Ciri che, pur rimanendo lontane dall'immaginario costruito nei videogiochi, godono di una interpretazione e una credibilità che le 2 attrici sono riuscite a donarle. Rispettivamente la splendida Anya Chalotra e l'angelica Freya Allan trasportano su schermo 2 personaggi profondi, traboccanti di mistero e capaci di guadagnare furbizia man mano che l'arco narrativo procede costringendole a interfacciarsi con un mondo spietato, violento, maschilista e anche razzista, qual è quello delineato e raccontato dall'autore originale.

Il fantasy medievale di The Witcher è sporco, malvagio, colmo di una spietatezza inaudita dove gli uomini si muovono alimentati da una bramosia di potere che forse è seconda soltanto a quella che abbiamo visto nella saga di Game of Thrones. Tra l'altro è un fantasy nel vero senso della parola visto che la magia e i mostri sono parte integrante del mondo, sono minacce che qualcuno deve affrontare e tenere a bada, per l'appunto i witcher. Il tutto senza tralasciare quella xenofobia tipica di un'umanità con la mente ristretta; una xenofobia che nella serie TV è spesso in secondo piano, ma è sempre lì, strisciante, pronta a esplodere negli episodi in cui si intravedono come vengono trattati i nani e gli elfi e molto spesso persino gli strighi, questi esseri metà umani, metà mostri che meritano solo di essere assoldati e pagati per uccidere o allontanare una minaccia di entità maggiore.

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Ma ci sarebbero altri numerosi dettagli che abbiamo apprezzato e che ci hanno fatto volare via le 5 ore passate con la serie: la forza di moltissimi personaggi secondari come Calanthe, la regina di Cintra, o Ranuncolo, o la principessa Renfri, così come l'introduzione e la gestione di tutta quella sottotrama che riguarda la congregazione dei maghi e la loro gestione dei nuovi adepti alla magia.

Sangue e sesso

Game of Thrones ha chiaramente insegnato anche in questo senso e Netflix non si è fatta alcun problema a mettere su schermo non solo una storia adulta e talvolta poco "politically correct", ma lo ha fatto non lesinando sul sangue e sulla violenza brutale dei molti combattimenti ricreati sui set. E lo stesso vale anche per la malizia di alcune scene dove sesso e nudità sono sbattute in faccia allo spettatore senza filtri e in modo coerente, soprattutto quando riguardano le interazioni di Yennefer, una maga che sa ammaliare e sfruttare gli uomini deboli proprio facendo leva sulla sua bellezza conquistata a caro prezzo.

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Non tutto però è splendido da vedere perché è chiaro che in questa prima stagione Netflix ci sia voluta andare con i piedi di piombo sul fronte degli investimenti, non solo assoldando un cast privo di facce riconoscibili (ad eccezione ovviamente di Cavill, sfruttato a dovere anche per la sua notorietà), ma riducendo all'osso inquadrature in campo lungo e panorami a perdita d'occhio. Moltissime scene sono al chiuso o in quelli che sembrano essere set molto ridotti in dimensioni, gestiti con l'intelligenza di chi piazza la telecamera cercando di riprendere soprattutto le interazioni tra i personaggi, lasciando la scenografia sullo sfondo adeguatamente fuori fuoco. Aiutato poi dalla competenza di un bravo direttore della fotografia.

Anche la computer grafica è poco incisiva e i mostri che Geralt si trova a combattere in questi 5 episodi non brillano particolarmente per qualità delle animazioni e credibilità. È un prezzo da pagare per una serie che non ha voluto probabilmente esagerare con il budget della prima stagione, ma quell'aria di artigianalità che si respira mentre si guardano le puntate, quasi come se il concetto di b-movie venisse applicato alla serialità, non ci ha comunque infastidito. O, sarebbe meglio dire, ci si riesce a passare sopra senza troppa difficoltà.

In questo senso è emblematico anche il lavoro svolto sulla colonna sonora della serie che ricorda con la forza di un deja-vu, le sonorità di The Witcher 3: Wild Hunt senza mai riuscire però a superarle completamente. Chi ha giocato il videogioco apprezzerà sicuramente la familiarità degli strumenti utilizzati e dei cori, ma si percepisce chiaramente la mancanza di un tema più incisivo e magari anche più originale.

Conclusioni

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8.0

Come abbiamo detto nella recensione, le prime 5 puntate della serie TV The Witcher su Netflix ci hanno indubbiamente convinto. La showrunner Hissrich è riuscita a mettere insieme un cast che, nonostante alcuni dubbi iniziali, funziona e sembra aver già creato una bella alchimia sul set, ed a trasportare con competenza e anche qualche intelligente ritocco, un libro complesso e confusionario qual è Il guardiano degli innocenti. Al netto di una computer grafica qualitativamente mediocre e di svariate scelte registiche e di scenografia all'insegna di un budget ristretto, le prime 5 ore che abbiamo visto scorrono via che è un piacere e, siamo certi, le potrete apprezzare indipendentemente dal vostro grado di fanatismo nei confronti della saga (videoludica e non) di The Witcher.

PRO

  • Ottime le coreografie di alcuni combattimenti
  • Il cast funziona ed è perfettamente nella parte
  • L'arco narrativo è abbastanza coerente con i libri

CONTRO

  • Chi non conosce la saga libraria potrebbe faticare a seguire alcuni passaggi della trama
  • Il comparto visivo tradisce qualche ristrettezza economica