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Buon compleanno, Resident Evil!

Il capostipite della serie ideata da Shinji Mikami compie vent'anni: festeggiamoli insieme

SPECIALE di Massimo Reina   —   22/03/2016

Capcom ha sempre mostrato una certa predilezione per i giochi di "paura", e già a partire dagli anni '80 ha iniziato ad esplorare ogni aspetto del genere attraverso una serie di produzioni caratterizzate da tematiche e gameplay differenti, ma con sullo sfondo sempre una certa componente horror. Ma è con la serie Resident Evil che l'azienda giapponese ha raggiunto sull'argomento l'apice a livello di qualità e di successo. Quando il primo titolo uscì su PlayStation nel lontano 22 marzo 1996, nessuno avrebbe potuto prevedere che sarebbe diventato uno dei più grandi successi di sempre, o che avrebbe generato una lunga serie di sequel, spin-off, film e merchandise vario. Né che avrebbe dato vita praticamente a un "nuovo" genere di videogiochi, vale a dire il survival horror, definizione coniata dalla stessa Capcom e adottata da quel momento in poi proprio per identificare i giochi simili a Resident Evil come struttura e impostazione. Infatti, anche se il termine è probabilmente uno dei più labili del panorama videoludico e per alcuni i "papà" del genere sarebbero i vecchi Project Firestart e Sweet Home, Resident Evil, o Bio Hazard com'è conosciuto in Giappone, viene comunque riconosciuto come il capostipite di quella tipologia di videogiochi moderni basati principalmente sul concetto di sopravvivenza. Quelli che vedono generalmente un personaggio impegnato a lottare e a tentare di fuggire dai pericoli che lo circondano in un contesto a sfondo quasi sempre horror, sfruttando i pochi mezzi a sua disposizione, siano essi da difesa o d'attacco. Ad ogni modo, per celebrare i vent'anni della nascita del franchise, abbiamo pensato di dedicargli questo speciale che attraverso lo scritto racconta la genesi del primo capitolo, mentre attraverso i video la storia dell'intera saga.

Il 22 marzo del 1996 usciva il primo Resident Evil: celebriamo insieme i vent'anni della saga

Da Disney agli zombi

Nel 1994 Capcom era intenzionata a portare sull'imminente PlayStation di Sony e su SEGA Saturn il rifacimento di un suo vecchio successo per Nintendo Entertainment System, ovverosia Sweet Home. Il titolo, basato su una pellicola diretta dal regista Kiyoshi Kurosawa, era caratterizzato da una impostazione simile a quella di un gioco di ruolo, ma con un'ambientazione palesemente horror e alcune meccaniche avventurose. La storia si svolgeva all'interno di una isolata e tetra magione, dove i protagonisti, i membri di una troupe televisiva incaricati di girare un documentario, un'infermiera e una addetta alle pulizie, dovevano sopravvivere nel tentativo di cercare una via di fuga. La villa, infatti, era piena zeppa di trappole, puzzle da risolvere e spettri minacciosi contro i quali si poteva combattere o, in alternativa, fuggire.

Buon compleanno, Resident Evil!

Il compito di progettare il remake, o comunque un gioco fortemente ispirato a Sweet Home, venne affidato a un giovane e promettente game designer interno che si era messo in luce in quel periodo con una serie di successi legati ad alcuni videogiochi basati su licenza Disney, come Goof Troop e soprattutto Disney's Aladdin. Il suo nome era Shinji Mikami. Il futuro fondatore e CEO di Tango Gameworks iniziò immediatamente a fermare su carta e computer tutta una serie di idee, appunti e quant'altro di utile venisse fuori dalla sua fervida immaginazione. Nei primi sei mesi di sviluppo, Mikami lavorò praticamente da solo al progetto, scrivendo ben quaranta pagine di storia e realizzando tra le altre cose i concept art di parecchi mostri, locazioni e personaggi. Tra questi oltre ai prototipi dei futuri Chris e Jill c'erano anche un giovane e divertente afroamericano di nome Dewey, e Gelzer, una sorta di grosso cyborg super armato: due personaggi che avrebbero dovuto fungere da supporto alla coppia di protagonisti attraverso una modalità co-op in locale. Non è chiaro se in quella fase di sviluppo si stesse pensando a scenari in qualche modo futuristici, seppur ambientati sulla Terra, ma pare addirittura che Capcom, guardando al successo ottenuto l'anno prima da Doom di id Software su PC, sia stata sfiorata dall'idea di far adottare al suo gioco una visuale in soggettiva e meccaniche tipicamente da FPS. L'opzione venne però presto accantonata, come del resto altre che prevedevano un'impostazione da sparatutto in terza persona. Shinji Mikami voleva infatti dare un'impronta diversa al progetto, che nelle sue intenzioni doveva incutere timore al giocatore. "Volevo fare un gioco davvero spaventoso", svelò in un'intervista del 1996, "ma non con fantasmi o stronzate del genere. Volevo mostri reali che si potevano vedere, che sarebbero venuti incontro ai personaggi e partiti all'attacco alla loro vista". Nelle settimane successive, affiancato da uno staff di collaboratori, alcuni dei quali faranno poi parte di Capcom Production Studio 4 (gruppo che per un certo periodo comprenderà i principali sviluppatori della compagnia), il game designer montò e smontò più volte la sua creatura, provando e riprovando varie opzioni, fino a quando non fu soddisfatto del risultato.

Bio Hazard

Traendo spunto da molteplici racconti e film tra i quali Alien, Lo squalo, Shining di Stanley Kubrick, il cui Overlook Hotel si rivelò fonte inesauribile di ispirazione per la creazione di alcune aree all'interno della magione, e le pellicole sui morti viventi di George A. Romero, Mikami rivide un po' la trama e diede forma al suo personale mondo di terrore. Un mondo dove la paura sarebbe stata sempre dietro l'angolo buio di un corridoio o ai vetri sporchi delle finestre di una stanza, e che a livello di visuali e di alcune meccaniche avrebbe tratto spunto da Alone in the Dark. Senza ovviamente dimenticare la base, il già citato Sweet Home, da cui riprendere e rielaborare aspetti come l'enfasi posta sul concetto di sopravvivenza attraverso elementi di gioco quali l'inventario dagli spazi limitati da gestire, gli enigmi da risolvere o l'uso di appunti sparsi qua e là per la villa quale ingrediente supplementare alla narrazione canonica che avveniva via dialoghi o scene di intermezzo.

Buon compleanno, Resident Evil!
Buon compleanno, Resident Evil!

Di fatto il progetto stava evolvendosi in un videogioco per certi versi originale, un'avventura in terza persona dallo stile più statico rispetto a uno sparatutto action, dove non c'erano caricatori da svuotare a piacimento sui nemici, ma poche munizioni e risorse da sfruttare con astuzia. E dove non c'era più spazio per l'ironia di Dewey e la forza bruta di Gelzer, che verranno sostituiti nel ruolo con opportune modifiche al gameplay, dai più "normali" Rebecca Chambers e Barry Burton nella nuova stesura. Nell'agosto del 1995 il gioco apparve finalmente in pubblico in occasione del V-Jump Festival, grazie a un prototipo Alpha: fino a quel momento, infatti, le uniche immagini disponibili del prodotto erano state una manciata di foto pubblicate da qualche rivista cartacea. Col solo Chris Redfield come personaggio giocabile, la dimostrazione di quello che venne presentato col titolo di Bio Hazard mostrava un prodotto ancora incompleto. Molti degli scenari erano per esempio spogli e privi di alcuni elementi chiave per la risoluzione di quegli enigmi che sarebbero stati inclusi in futuro; il protagonista aveva un aspetto rudimentale, mentre era presente una caratteristica poi rimossa dall'edizione messa in commercio, vale a dire quella che permetteva al giocatore un rapido cambio dell'arma senza dover accedere al menu, semplicemente premendo il tasto Cerchio del joypad di PlayStation. Contrariamente a quanto preannunciato, non c'era poi nessuna modalità co-op. Eppure, nonostante tutto, il gioco colpì positivamente il pubblico presente all'evento e la stampa specializzata: la grafica era ancora grezza, certo, ma offriva già qualche interessante spunto su ciò che sarebbe potuta diventare una volta completata. Allo stesso modo le musiche, l'ambientazione, le inquadrature con angolazioni fisse, i personaggi, gli zombi e le creature poligonali all'interno di ambientazioni prerenderizzate, non solo evidenziarono l'assenza di quegli elementi lovecraftiani e i toni soprannaturali e spettrali di Alone in the Dark, a conferma che per certi versi quello sarebbe stato un prodotto differente, ma colpirono l'immaginario collettivo dei videogiocatori, che iniziarono a pregustare la prospettiva di poter vivere quanto prima un'avventura, per l'epoca, dal taglio cinematografico.

Quella villa accanto al cimitero

Quando il 22 marzo del 1996 Bio Hazard arrivò nei negozi giapponesi, fu subito un successo: la popolare rivista giapponese Famitsu gli attribuì una serie di 9 e 10, mentre nei punti vendita il titolo andava letteralmente a ruba. Un trionfo bissato poco dopo, quando il prodotto giunse con qualche censura negli Stati Uniti d'America (30 marzo 1996) e divenne un autentico best seller, cambiando però nome per problemi di copyright in Resident Evil. Chris Kramer, Direttore responsabile per le relazioni pubbliche e la comunicazione di Capcom in Nord America, raccontò che il titolo venne scelto dopo una sorta di concorso svoltosi all'interno dell'azienda.

Buon compleanno, Resident Evil!
Buon compleanno, Resident Evil!

Alla fine vinse Resident Evil, dal momento che il gioco si svolgeva in una villa popolata da creature mostruose, e che le alternative sembra fossero piuttosto stupide. Ad ogni modo, con quello stesso titolo il gioco arrivò anche in Europa nell'agosto del 1996, ricevendo pure nel Vecchio Continente un'ottima accoglienza dalla critica e dal pubblico, letteralmente catturato da storia, personaggi, giocabilità e realizzazione tecnica. L'avventura era ambientata nel 1998 e raccontava di una serie di strani incidenti avvenuti nei pressi della cittadina di Raccoon City, sui monti Arklay, a gruppi di campeggiatori e di escursionisti, molti dei quali erano stati ritrovati morti. Per cercare di capire cosa stesse accadendo, il Dipartimento di Polizia locale inviava a indagare il B.R.A.V.O. team del reparto speciale S.T.A.R.S. Ma i suoi membri scomparivano a loro volta poco dopo il decollo, così da costringere il Comando centrale a mandare sulle sue tracce una seconda squadra, quella denominata A.L.P.H.A. Una volta atterrati in un bosco e attaccati apparentemente da un branco di cani inferociti, quattro dei suoi componenti si rifugiavano in una vecchia villa signorile, dove si ritrovavano ad affrontare un vero e proprio incubo ad occhi aperti, in una disperata lotta per la sopravvivenza. La magione, che apparteneva a Lord Oswell E. Spencer, nascondeva infatti nelle sue viscere i laboratori segreti di una Compagnia chiamata Umbrella Corporation, dove si sperimentavano agenti patogeni letali e armi biologiche conosciute come B.O.W. A seguito di un incidente, il terribile T-virus era sfuggito al controllo degli scienziati, infettando tutti gli occupanti dell'area: la villa e i suoi dintorni venivano quindi popolati da zombi e creature mutate estremamente aggressive. A quel punto entrava in ballo il videogiocatore, che nei panni degli agenti Chris Redfield o Jill Valentine doveva cercare di risolvere il caso, sopravvivere e fuggire.

L'inizio di una leggenda

La struttura, il sistema di controllo e le meccaniche di Resident Evil divennero da subito gli archetipi del genere stesso. Gli sfondi prerenderizzati e i personaggi 3D che vi si muovevano in tempo reale, il giusto equilibrio tra avventura, ragionamento e azione, le telecamere fisse e le inquadrature di stampo cinematografico che cambiavano costantemente anche nello stesso ambiente e che contribuivano ad aumentare la tensione, ben si adattavano allo scenario survival. E incutevano paura. Il fatto di non sapere cosa lo aspettava dietro l'angolo spingeva l'utente a stare all'erta, e lo costringeva sovente a fermarsi un attimo in silenzio, per ascoltare un lamento o dei passi che potessero tradire la presenza di un nemico non ancora inquadrato dalla telecamera. C'erano poi le porte che si aprivano solo dopo un breve filmato, i bauli "magici" dove conservare gli oggetti che al momento non servivano ed occupavano spazio nei pochi slot disponibili nell'inventario dei protagonisti, i proiettili e i nastri di inchiostro da centellinare, rispettivamente per non trovarsi sprovvisti di ricariche durante gli scontri coi boss, o per salvare al momento giusto la partita utilizzando le apposite macchine da scrivere.

Senza dimenticare i personaggi, alcuni carismatici, altri meno, ma comunque in grado di affascinare l'utenza come nel caso dei vari Albert Wesker, Barry Burton, Chris Redfield, Jill Valentine, il Tyrant, gli Hunter e soprattutto gli spaventosi zombi. Il successo di Resident Evil a livello internazionale fu immenso, al punto che si ritiene sia stato addirittura fondamentale nell'affermazione della prima console Sony sul mercato. Conversione del gioco, con qualche sensibile modifica rispetto all'originale, si ebbero per SEGA Saturn, Microsoft Windows e Nintendo DS, mentre nel settembre del 1997 uscì una versione aggiornata con nuove inquadrature, cambi nella disposizione degli oggetti e dei nemici, più qualche aggiunta qua e là: venne intitolata Resident Evil: Director's Cut, e di fatto fu un'operazione messa in piedi da Capcom anche per compensare il ritardo accumulatosi per il rilascio di Resident Evil 2, una demo del quale era compresa nella confezione. Nel 2002 venne poi realizzato un remake con lo stesso nome per GameCube, con una grafica aggiornata e importanti modifiche al gameplay e alla storia, grazie a una serie di accorgimenti tecnici e novità rispetto alla versione del 1996, come nuovi scenari, la diversa dislocazione di file di testo, oggetti, puzzle e nemici, e un maggior approfondimento delle tematiche relative alla storia, grazie anche alla presenza del personaggio di Lisa Trevor. Un remaster ad alta definizione di questa produzione è stato a sua volta rilasciato nel 2015 per le piattaforme moderne. Negli anni successivi Resident Evil generò, come detto nell'introduzione di questo articolo, una miriade di seguiti e spin-off praticamente per ogni tipo di piattaforma e, a confermare l'effettivo valore del brand, divenne sempre più un fenomeno globale in grado di andare oltre l'universo dei videogiochi, sfociando sul mercato del cinema, dei fumetti, dei libri e dei gadget. A dimostrazione che la serie, nel bene o nel male e nonostante qualche passo falso, rimane tutt'ora una delle più amate di sempre.